La roccaforte di Scopelliti ora trema

La festa è finita. Ora è il momento dell’odio. Giuseppe Scopelliti, il governatore, l’ex sindaco inventore del “Modello Reggio”, in pieno consiglio regionale attacca i giornalisti, i nemici della città. “Ma questa è democrazia?”, e si chiede a pochi minuti dallo sciogliemtno. Il potere perde la testa e nella città dei “Boia chi molla” incita alla rivolta. “Se credete scendete in piazza”, urla Scopelliti. Ma i ras del Pdl sanno che il colpo è durissimo. La città è in ginocchio, qui la crisi morde più che altrove. Il simbolo sono gli operai che hanno occupato Palazzo San Giorgio, sede del Comune. “Non sappiamo dove finisce la politica e dove inizia la ‘ndrangheta” è scritto in uno striscione appeso tra i banchi dei consiglieri comunali.
Tutti a casa. La roccaforte di Peppe dj è infiltrata dalla ‘ndrangheta. Ma i guai del governatore della Calabria, sono anche altri: dalle voragine delle casse comunali ai consiglieri regionali, ben tre, arrestati in meno di due anni. C’è chi, come Santi Zappalà, è andato a baciare le mani ai boss di San Luca e chi, come Franco Morelli, era in contatto con i referenti milanesi delle cosche di Archi. L’ultimo, Antonio Rappoccio, prometteva posti di lavoro inesistenti in cambio di voti.
Il sistema di potere ha iniziato a scricchiolare qualche anno fa quando è scoppiato il “caso Fallara”, Orsola la responsabile della macchina finanziaria del Comune, vittima di un misterioso suicidio nel dicembre 2010. Una morte che ha fatto scoprire un buco di bilancio di 180 milioni. Soldi sprecati nei fasti del “modello Reggio”. Feste con Lele Mora e Valeria Marini, lustrini e illusioni. Una voragine che ha reso la vita impossibile all’attuale sindaco Demetrio Arena, uomo ombra di Scopelliti. I due, adesso, soffiano sul fuoco della rivolta. Ma la realtà è che nella città dello Stretto domina la ‘ndrangheta. Lo racconta la relazione della Commissione di accesso inviata al ministro Cancellieri, lo raccontano i pentiti. Nino Fiume, ex cognato del boss Peppe De Stefano e killer della famiglia mafiosa di Archi. conosceva bene Scopelliti. Negli anni novanta erano i giovani della “Reggio bene”, frequentavano le stesse discoteche e avevano le stesse idee politiche: «Posso contare voto per voto, elezione per elezione. I politici venivano a bussare alla nostra porta. C’era gente che valeva venti o trenta voti e se ne ritrovava migliaia». A luglio, il pentito fa tremare la città dello Stretto: «Io stimavo alcune persone della politica tra cui Peppe Scopelliti, anche se lui ora certe cose non le ricorda».

Fiume ha detto tutto al pm Peppe Lombardo. Nei suoi memoriali c’è un pezzo di storia di Reggio, anche “l’imbasciata” che il boss Carmine De Stefano mandò a Scopelliti nel 1995 quando l’ex sindaco della città dello Stretto fece il salto di qualità e diventò presidente del Consiglio regionale: «Digli di assumere mia moglie, altrimenti gli metto una bomba alla Regione». «Mi sono impegnato in prima persona per conto di un politico nelle campagne elettorali per le regionali prima del 2000 e per le comunali – aggiunge –. Chi si è rivolto a me sapeva che ero intraneo alla cosca De Stefano».
Nessuno ha replicato alle parole di Fiume che ha dipinto la città per quella che è: soffocata da una cappa funzionale tanto alle cosche quanto ai gruppi di potere che tengono le chiavi dei palazzi “buoni”. Il tutto amalgamato da pupari col grembiulino che tirano le fila in un teatro dove le marionette vengono scelte dalla massoneria: «Il 5% degli appalti andava alla ‘ndrangheta e il 10% alla politica». 

«Lo schifo di Reggio è la “Reggio bene”». E una parte di questa ha firmato un manifesto contro lo scioglimento del Comune per mafia.
(con Lucio Musolino pubblicato su Il fatto Quotidiano del 10 ottobre 2012)