Quegli appalti “raccomandati” da Matteo Messina Denaro
A Trapani può accadere che un imprenditore arrestato per mafia, che decide di ammettere le colpe e svelare il sistema delle commistioni, che rifiuta un programma di protezione e chiede di potere continuare a lavorare anche per riscattare le malefatte di prima, viene guardato un pò da tanti come un “untore”, uno del quale diffidare, la società non gli concede nulla, la stessa società che prima però lo omaggiava di tanto rispetto, riconoscendone quindi lo spessore mafioso, di “ntiso”. A Trapani può accadere che un altro imprenditore che viene arrestato, rende dichiarazioni nella misura giusta, limitata, senza fare danni (e a dirlo saranno gli stessi “compari”) per accedere ad un patteggiamento, possa tornare tranquillamente a fare impresa, a interessarsi di appalti pubblici, costruzioni, cantieri privati, con società nelle quali il suo nome non compare più, ma a contrattare, “alla luce del sole” è ancora e sempre soltanto lui, lui gira nei cantieri e per gli uffici, e nessuno si pone problemi, d’altra parte l’andazzo è questo, non è quell’altro.
Oggi a Trapani ad un imprenditore che operava secondo questo “registro” di vita Polizia e Finanza hanno sequestrato beni per 25 milioni di euro. L’imprenditore è Vito Tarantolo, 66 anni, originario di Gibellina. Stamane ai finanzieri e ai poliziotti che eseguivano i sequestri lui candidamente ha opposto la sua estraneità, ha letto sulle carte l’elenco delle imprese e delle società colpite ed ha esclamato che stavano sbagliando persona, “mica io c’entro nulla con queste imprese”. Reazione che ovviamente non ha fermato l’attività che questa mattina Polizia e Guardia di Finanza hanno eseguito su ordine della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, che ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di ben 83 beni immobili, di una trentina di beni mobili, tra auto, mezzi meccanici, di una quarantina di conti correnti, di società e quote societarie. I giudici hanno accolto la proposta di sequestro avanzata dal questore Carmine Esposito a conclusione di un lavoro condotto dalla divisione anticrimine diretta dal dott. Giuseppe Linares e dalle fiamme gialle del col. Pietro Calabrese, comandante provinciale, e del col Milan che comanda il nucleo investigativo. In pochi mesi è il terzo colpo inferto alla criminalità organizzata che va sotto il nome del super latitante Matteo Messina Denaro.
Polizia e Finanza infatti non hanno dubbi: la cassaforte sulla quale oggi hanno messo le mani è una di quelle a disposizione del super latitante belicino, Matteo Messina Denaro, 50 anni, ricercato da 19 anni. Il boss che con le mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati oggi gestisce una vera e propria holding di imprese. Tra queste ci sarebbero state anche quelle dell’imprenditore Tarantolo.
Vito Tarantolo non è certo uno sconosciuto in città. Quindi la sua presenza per uffici e cantieri ad occuparsi di appalti e affari non poteva certo passare inosservata. Nel 1998 fu arrestato per mafia, poi patteggiò una condanna a 18 mesi (pena sospesa) per favoreggiamento. Oggi scatta il sequestro dei beni. Non è una circostanza legata a quella condanna (chi patteggia non può subire sequestri e confische) ma al frutto di successive indagini che hanno fatto scoprire come lui i contatti con la mafia non li avrebbe proprio recisi e avrebbe continuato a fare parte di quella congrega di imprenditori che alla mafia non pagano il pizzo “ma la quota associativa a Cosa nostra”. E così tra gli episodi accertati quello per esempio relativo ad un appalto di 2 milioni e mezzo di euro per la costruzione della recinzione all’aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo. La Polizia ha acquisito uno scambio di pizzini tra Messina Denaro e gli allora boss latitanti Lo Piccolo per la classica “messa a posto” per questi lavori. E ancora ha intercettato il capomafia Francesco Pace parlare di Tarantolo che gli avrebbe chiesto come doveva comportarsi, “…a Palermo c’è qualcuno di voi o ci sono problemi?”, e ricevere la risposta “certo qualcosa ai palermitani va data…devi lasciare la percentuale”. La fotografia degli affari non è antica ma recente, il sequestro ha colpito società di Tarantolo ma non intestate allo stesso che ancora oggi hanno cantieri aperti a Parma sulla tangenziale, o ancora al porto di Castellammare del Golfo, a Montemaggiore Belsito (Palermo), riqualificazione urbana, all’interno della base aerea del 41° stormo di Sigonella, per citare quelli più importanti, ma in totale si tratta di opere pubbliche per oltre 50 milioni di euro, gestiti dalla metà degli anni 2000 sino ad oggi.
Tutti lavori pubblici per i quali le imprese e le società dell’imprenditore Tarantolo hanno ottenuto la certificazione antimafia perché non c’era più lui a risultare come titolare o amministratore, erano usciti di scena anche i familiari, la moglie e le figlie, in passato intestatarie di quote, erano entrati in scena altri soggetti, perfettamente consapevoli di come stavano le cose e chi avrebbe continuato a comandare.
E lo sapevano tutti davvero chi decideva le sorti di quelle imprese, Anche in carcere lo sapevano. Agli atti dell’indagine è stata acquisita l’intercettazione di un colloquio tra due boss mafiosi di Mazara, parlavano di un appalto nella loro città, la costruzione di un ponte, e si meravigliavano che l’impresa non avesse pagato nulla, uno poi spiegava loro quello che era successo, “quella è l’impresa del boss Virga”. Parlavano proprio di una delle imprese di Tarantolo, la Cogeta, e confermavano che anche quando la relativa vicenda giudiziaria per l’imprenditore si era conclusa, proprio relativa ai legami con Virga, per questo aveva patteggiato la condanna per l’arresto patito nel 1998, quei legami non erano stati recisi. Anzi, come hanno spiegato oggi in conferenza stampa a Trapani, “quei legami si erano alzati di livello fino ad arrivare a Matteo Messina Denaro”. Il boss tiene molto a Tarantolo tanto che non tarda a fare arrivare un suo messaggio a mafiosi di Gibellina quando a questo imprenditore un giorno rubarono dei mezzi meccanici. Il rimprovero usato è di quelli che la mafia risulta utilizzare quando si tratta di “sgarri”: “a Vito gli hanno preso”…due escavatori…non ti devi fermare più davanti di me… non ti dovrebbe fare vergogna?… questo che gli hanno preso gli escavatori… quando sei uscito di galera ogni mattina ti veniva a prendere con la Mercedes…noi siamo amici…ci dobbiamo rispettare”.
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