Attori ex camorristi? E’ rischioso esaltarli troppo

(di Alessandro Chetta)
Mark Franchetti, inviato del Sunday Times, s’è scelto due ciceroni d’eccezione. A guidarlo vico vico per le strade dei Quartieri spagnoli di Napoli sono due attori – Sasà Striano e Aniello Arena – dal passato criminale, protagonisti di due opere di valore internazionale, rispettivamente Cesare non deve morire, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino, e Reality, premiato a Cannes. Nel suo articolo, riproposto da Internazionale, Franchetti raccoglie le storie di due figli di quelle stradine oblique e scure che da via Toledo si arrampicano fino al Corso Vittorio Emanuele descritte come «vivaci, colorate, fatiscenti». Il controcanto è affidato alla figlia di Silvia Ruotolo, Alessandra, che mette in guardia dall’eccessiva esaltazione di ex camorristi. «Contenta per i loro successi al cinema. Ma elogiarli oltre misura significa offendere le vittime dei loro crimini».
Comincia Striano: «Chissà che faccia avrei fatto se mi avessero detto, quando ancora giravo con la pistola, che un giorno avrei vinto l’Orso d’oro a Berlino…». Sasà – finito per 12 anni in carcere per reati di estorsione e spaccio – racconta dei raid criminali, del clan che diventa l’unica famiglia, più di mammà e papà. «Io e i miei compagni uscivamo strafatti di cocaina, pistole alla mano, pronti a sparare» ricorda Striano. «Non si chiede di entrare nella camorra. È lei che viene da te dopo che ti hanno tenuto d’occhio per un po’ per vedere se hai la stoffa». E lui si fece notare per un furto, a soli dieci anni, in un negozio di giocattoli. Poi mentì alla polizia coprendo un uomo del clan sul possesso di dosi di droga. «L’uomo che avevo aiutato mi regalò una Vespa e un sacco di soldi in contanti. Accettai. Da lì in avanti il clan sarebbe venuto prima di tutto. La prima volta che ho preso una pistola in mano ho provato una incredibile sensazione di potere. Uscivamo di notte strafatti e in preda alla paranoia, pronti a sparare a chiunque. Più sniffavamo più diventavamo nervosi. Ero diventato un pezzo di merda, è l’unica cosa che posso dire. Sono stato fortunato, perché avrei dovuto essere morto e perché mi sono fatto solo 12 anni di carcere».
Arena, 44 anni, protagonista di Reality, nelle sale italiane dal 27 settembre, è stato condannato all’ergastolo per un omicidio. «Non avrei mai immaginato – dice al Sunday Times – di aprire un libro, figuriamoci di recitare Shakespeare o Brecht. Il teatro ha cambiato la mia prospettiva a 360 gradi. Mi ha insegnato ad ascoltare gli altri, a non giudicare ma a cercare di capire il loro comportamento». Aggiunge: «Qualcuno su Facebook mi ha scritto addirittura che sono l’orgoglio dell’Italia. Dato il mio passato, mi ha fatto davvero ridere. Mi sa che stiamo esagerando un po’».
Su quest’ultimo aspetto si è levata la voce di Alessandra Clemente, figlia di Silvia Ruotolo, uccisa nel ’97 durante una sparatoria tra affiliati. Alessandra sostiene che «storie come quella di Striano e Arena sono indubbiamente positive – spiega nell’articolo al Sunday Times – Sono la dimostrazione che la riabilitazione può funzionare. Ma è rischioso dare più risonanza agli ex criminali che alle vittime dei clan mafiosi (…) queste persone non devono essere esaltate, hanno commesso crimini orribili. Loro hanno la possibilità di rifarsi una vita, mia madre no».

(pubblicato su www.corrieredelmezzogiorno.it 11 settembre 2012)