La più grande acciaieria d’Italia inquina

Alla fine, nonostante i tentativi di inquinare le prove, le pressioni politiche, le manifestazioni sotto il Palazzo di Giustizia organizzate da capi e capetti dell’Ilva, la procura di Taranto e il gip Patrizia Todisco, hanno avuto ragione. La più grande acciaieria d’Italia inquina, avvelena i suoi operai e l’intera città di Taranto.Le responsabilità dei vertici dell’azienda sono enormi. Gli impianti restano sotto sequestro ma saranno tenuti in funzione per avviare e portare a conclusione il loro risanamento. Solo a quel punto, quando le cokerie non sprigioneranno più fumi avvelenati, i parchi minerali non disperderanno più polveri maledette nell’aria annerendo le case del quartiere Tamburi, si potrà tornare a produrre. E’ questa, in sintesi, la decisione del Tribunale del Riesame sul caso Ilva. Emilio Riva, il padre-padrone dell’acciaio, e suo figlio Nicola resteranno ancora agli arresti domiciliari. Con loro Luigi Capogrosso, il direttore dello stabilimento. Scarcerati, ma erano agli arresti domiciliari, gli altri cinque manager al centro delle accuse di disastro ambientale. “La tesi accusatoria è sostanzialmente confermata”, è il primo commento del procuratore della Repubblica Franco Sebastio. L’Ilva deve rinnovare impianti e aree produttive sotto sequestro. Non c’è possibilità di equivoco, né manovre dell’ultima ora. Al Tribunale del Riesame non sono bastate le sostituzioni last-minute ai vertici dell’azienda. Avvicendamenti che il gip aveva già definito “una gattopardesca strategia funzionale, nei suoi intenti, solo alla messa a riparo da paventati provvedimenti”.
Le due pagine del Riesame, per le motivazioni bisognerà attendere qualche settimana, confermano il sequestro delle sei aree incriminate (cokerie, agglomerati, acciaierie,parchi minerali, altiforni, gestione materiali ferrosi). Ma sequestro, ed è questa una delle differenze rispetto all’ordinanza del Gip, non vuol dire spegnimento degli altiforni. Gli impianti saranno in funzione affinché si lavori “alla eliminazione delle situazioni di pericolo e alla attuazione del monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti”. Non più, quindi, monitoraggio dell’aria dentro e fuori lo stabilimento una tantum, meno che mai commissioni esterne, dell’Arpa regionale o del ministero dell’Ambiente, che vanno “pilotate”, come si legge nelle intercettazioni di un’altra inchiesta sull’Ilva. La responsabilità di riportare a norma impianti e ciclo produttivo è in capo all’Ilva e al suo presidente, Bruno Ferrante, nominato, insieme a tecnici esterni, custode giudiziario dell’intera operazione. Tutto finito, almeno dal punto di vista giudiziario? Sembra di no a leggere le parole di Ferrante. “Nel provvedimento del Tribunale del Riesame non si parla più di chiusura, di interruzione dell’attività, non mi sembra di cogliere queste parole”. Come a dire che per l’Ilva c’è ancora uno spiraglio, nonostante la chiarezza del dispositivo, per conciliare l’inconciliabile: ambientalizzazione, vale a dire risanamento, e produzione. L’azienda però si impegna ad investire 90 milioni di euro in questa direzione, il resto dei fondi, 336 milioni, sono quelli contenuti nel cosiddetto decreto per Taranto approvato dal governo, che però solo nella prima settimana di settembre sarà convertito dalla Camera. Saranno sufficienti a bonificare innanzitutto Tamburi, il quartiere a ridosso della fabbrica che più di tutti risente gli effetti dell’inquinamento in termini di morti e ammalati di tumore? Gli esperti nutrono forti dubbi. Nei giorni scorsi si era parlato addirittura della necessità di evacuare una parte delle abitazioni, quelle più vicine al parco minerali dell’Ilva, con la costruzione di una piccola new-town. C’è poi da bonificare la parte del mare inquinata dagli scarichi e i terreni intossicati dalle diossine. Il ministro dell’Ambiente Clini è stato chiaro: “I soldi vanno utilizzati per il risanamento al di fuori dell’Ilva”. Per Nichi Vendola “Si conferma il carattere storico di un lavoro della magistratura che ha inteso fotografare l’insopportabilità della lesione del diritto alla salute, del diritto alla vita e del diritto ad un ambiente salubre. Nulla potrà essere come prima. Andranno in archivio le idee di chi ritiene il profitto e la crescita economica più importanti della difesa della vita”. Scettico Angelo Bonelli, consigliere comunale a Taranto e leader dei Verdi: “Il governo pensi ad un radicale piano di riconversione industriale”.

(di Enrico Fierro e Francesco Casula pubblicato su Il Fatto Quotidiano dell’8 agosto 2012)