Il PIL delle mafie

E ora anche la mozzarella di bufala. La mafia spa non trascura alcun settore produttivo, legale e illegale. In tempi di crisi globale, di spread impazzito, e di banche che chiudono i rubinetti del credito alle imprese legali, Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta, sono le uniche “imprese” a disporre di capitali freschi da immettere sul mercato. Magistrati e organi investivativi difficilmente si azzardano a mettere nero su bianco cifre esatte che definiscano la potenza economica delle mafie (il boss non presenta bilanci e non emette fatture), ma i numeri girano e sono quelli dei centri studi, delle associazioni imprenditoriali e della Banca d’Italia. Volendo fare una sintesi delle varie stime, si calcola che il fatturato annuo delle organizzazioni criminali oscilli tra i 170 e i 180 miliardi di euro l’anno. Tanti soldi, pari alla somma del prodotto interno lordo di paesi come Estonia (25 miliardi), Slovenia (30), Romania (97), Croazia (34). “Se le cifre sono di questo livello, allora bisogna allarmarsi. Una tale disponibilità di capitali illegali nel vortice di una crisi come quella che stiamo vivendo rischia di essere un fattore di destabilizzazione dell’economia”. Laura Garavini, capogruppo del Pd nella Commissione parlamentare antimafia, conosce bene la Germania, uno dei paesi europei dove la ‘ndrangheta investe di più. “ Le mafie hanno saputo approfittare della globalizzazione. Adesso è necessario che anche l´antimafia delle leggi si globalizzi, in fretta, attraverso un’armonizzazione normativa a livello internazionale. Non si può continuare a lasciare intoccati tutti quei capitali che sono stati tranquillamente riciclati all’estero per il solo fatto che non sono state ancora ratificate quelle leggi europee che consentono il reciproco riconoscimento di sentenze di confische a livello internazionale. Ad oggi in Germania esistono beni di camorristi che potrebbero venire confiscati subito e non lo sono a causa dell´inadempienza del nostro paese. Una buona politica di governo deve mirare a ridurre anche lo spread dell’illegalità”. Secondo uno studio di Bankitalia, presentato alla Commissione parlamentare antimafia, il pil dell’economia sommersa collegata ad attività apparentemente legali, ma esercitate in modo illegale attraverso l’evasione, è pari al 16,5%, quello provenienti da attività totalmente illegali si attesta sul 10%. Numeri e percentuali da brivido, che toccano soprattutto il sistema finanziario. Il denaro sporco riciclato in Italia nel 2011, secondo calcoli elaborati in sede Ue,è pari a 150 miliardi di euro, dal 1981 al 2001 la quantità di soldi riciclati nel nostro Paese è pari al 12% del pil. Analizzando queste cifre ci si rende conto da soli che finora si è fatto poco per attaccare il livello economico delle mafie. La legge sul sequestro e la confisca dei beni è sacrosanta, i suoi effetti, però, risultano piuttosto limitati. Basta leggere le cifre fornite dal Commissariato straordinario. “Solo il 6 % in sequestro perviene nella disponibilità dello Stato con capacità operative. E solo nel 32,7% dei casi le aziende confiscate trovano una loro destinazione. Mentre per l’89% delle aziende la destinazione corrisponde alla mera liquidazione”. Mafie ricchissime, ma le regioni dove Cosa Nostra, camorra e ‘ndrangheta hanno le loro basi operative, sono anche quelle col pil pro capite più basso. E a proposito dell’effetto mortale dell’economia illegale su quella legale, la Confcommercio ha calcolato che le mafie pesano sul settore terziario (attraverso il pizzo, l’usura, i furti) per 5,2 miliardi. Per la Commissione antimafia “il peso della criminalita` sull’economia del Meridione rischia di affondare il sistema imprenditoriale italiano di meta` della Penisola e di trascinare a fondo e congelare la crescita economica dell’intero Paese”. Ma c’è un dato che le statistiche non possono rilevare, ed è il consenso sociale che le organizzazioni mafiose riescono ad avere in molte aree del Mezzogiorno dove lo Stato è più debole. Qui la partita, soprattutto in un periodo di crisi e tagli di servizi essenziali come questo, è più difficile. Per questa ragione rischia di essere ancora attuale il giudizio che concludeva il rapporto della Commissione d’inchiesta sul crimine del governo Usa nel 1967: “Il crimine organizzato esiste e prospera perché fornisce servizi su richiesta”.