Ustica. L’orizzonte degli eventi/6

Lo sguardo fuori dal finestrino

L’Itavia IH870 era un volo che percorreva l’Italia da Nord a Sud, univa realtà per certi versi molto differenti, persone provenienti da zone lontane del nostro Paese. Ed il tragico destino in cui è incorso ha unito ed unisce, da trentadue anni, decine e decine di cittadini italiani da Nord a Sud. Quando chiedo a Francesco Pinocchio se esiste un ricordo di questi trentadue anni che porta nel cuore, mi parla proprio di questo: “Si, una cosa positiva c’è. Si sono unite parti d’Italia, Nord, Centro e Sud, e solamente per l’ottenimento di un obiettivo comune, quello di avere – come la chiamo io – una “verità conclamata”. Noi una verità, almeno a livello di processo civile, l’abbiamo. Chi non ha tare mentali si è fatto un’idea ben precisa, eppure non possiamo scriverla come verità storica. Rimane la nostra verità dei fatti, e vedere persone del Meridione e dell’estremo Nord condividere e lavorare insieme per lo stesso obiettivo è una cosa che fa piacere”. Gli chiedo quale sia, oggi, il suo maggior timore per il futuro riguardo la Strage di Ustica. “Che in sede civile – mi dice – ci sarà un bis di quello che è successo durante il processo penale. Che l’obiettivo si sposti fino a scomparire e tornare al punto di partenza”.
Già, la memoria è fondamentale, ed è quella che tiene in vita la verità. La Strage di Ustica non merita di diventare una leggenda metropolitana, materiale per romanzi gialli. Perché le prove ci sono, ci sono le testimonianze, ma soprattutto c’è il lavoro e l’impegno di decine di persone. Dire che Ustica rappresenti in tutto e per tutto un “mistero” vuol dire non rendere giustizia a questo enorme lavoro. “Dico di più – aggiunge l’avvocato Osnato – in sede processuale, la verità che emerge è una totale devastazione documentale e un totale atteggiamento omertoso da parte delle amministrazioni pubbliche che avrebbero dovuto collaborare verso la verità. Noi siamo stati costretti a fare trent’anni di processi su dati assolutamente indiziari scampati alle devastazioni documentali, e poi abbiamo dovuto ricostruire un puzzle di estrema difficoltà. Alla fine, sia in sede penale che in sede civile, c’è un’ipotesi di un contesto radaristica complesso dove il DC9 viene certamente avvicinato da aerei militari non identificati a trasponder spento, e c’è un’ulteriore concomitante conferma del fatto che all’interno di questo aereo non è esploso alcun ordigno. E’ una semplice addizione: ci sono aerei militari, ci sono avvicinamenti ed intersecazioni pericolose, e c’è la totale mancanza di segni di un’esplosione all’interno dell’aereo. Si deve pur trarre una conclusione da questi indizi. Se poi si vuole che qualcuno gli porti il corpo del missile per poter dire che è stato un missile, questo è esploso e sparito insieme a tutte le altre prove. Diciamo che è stato anche fatto sparire, insieme a tutte le altre prove. Questo è quello che emerge processualmente, io ovviamente non ho né la foto del missile né il nome del pilota di caccia che lo ha lanciato, ed immagino sulla scorta di una serie di gravi indizi che non fosse italiano, ma probabilmente d’oltralpe”.

Ma quello che abbiamo non è poco… “Non è poco, ma se continuiamo dalle stanze dei politici a dire che la verità è un’altra… Dico che sarebbe secondo me, un sintomo di coscienza ed anche democrazia, dire: “non so niente di questa storia, sto zitto e non rispondo alle domande che mi vengono poste a riguardo”. Quando c’è un avvocato che fa quindici anni di processi, che assiste a cinquecento testi, che parla con duecento periti ed esamina tutti i milioni di atti processuali, un minimo di convincimento se lo fa, ma anche sulla scorta delle conclusioni giudiziarie. Ci sono le sentenze che parlano, che per giunta sono anche su internet. Certo, in milioni di pagine ognuno può cogliere quello che gli può essere più utile e tirare fuori una parziale verità, ma il fatto è questo: non c’è una bomba, il DC9 nel 1980 non è esploso per una bomba, punto e a capo”.
E cosa si può scrivere su questa pagina bianca? “Occorre continuare. Passeranno altri anni ed è una cosa che ci indispettisce. Ci vorrebbe anche un moto di coscienza: sono passati trentadue anni, se proprio se ne deve fare una questione di scambio di interessi politici a noi non interessa, e dopo aver avuto la verità sulla fine dei nostri congiunti ci metteremo una pietra tombale. Forse lo Stato italiano non si rende conto che più si continua a mascherare ed a coprire tutto ciò, questo avrà un costo in termini etici, sociali, di affidamento che il cittadino, parlando di Ustica come delle altre stragi, ha verso lo Stato che dovrebbe tutelarlo, ed anche un costo economico. Io continuerò a fare cause allo Stato italiano fin quando qualcuno mi domanderà di non chiedere più soldi in cambio della verità. Ho sempre mostrato questa soluzione nei confronti dei Ministeri convenuti, se qualcuno ci desse la verità ci metterei un secondo a ritirarmi da questa causa. La minaccia di chiedere ed ottenere risarcimenti è l’unica strada che ho, da avvocato, per essere considerato, perché se non gli si chiede soldi – visto che evidentemente si fa attenzione solo a questo, in Italia – a quel punto non si viene più considerati. E’ per questo che abbiamo fatto la scelta del processo civile, non per lesinare risarcimenti, ma per porre ancora una volta la possibilità di una scelta dopo trent’anno ad un governo, ad uno Stato, ad un Ministero, di scoperchiare dopo trent’anni questi segreti di Stato. Ma ci rendiamo conto che in Italia, dove abbiamo uno dei Servizi segreti storicamente più perfetti e più competenti, non c’è un solo foglio che sia stato – ma su dichiarazioni degli stessi Servizi – agli atti, ci stiamo dicendo che i Servizi non si sono mai occupati di Ustica?”.

L’orizzonte degli eventi è, ipotizzano gli astrofisici, quel limite teorico situato all’interno dei buchi neri, da cui nemmeno la luce può sfuggire ed entro il quale è impossibile osservare qualsiasi fenomeno fisico. Ed è come se, dalle 20.59.45 di quel 27 giugno di trentadue anni fa – l’ora fatale in cui si spegne il trasponder del DC9 – il volo IH870 con alla cloche i piloti Gatti e Fontana non sia precipitato e stia proseguendo nel viaggio inesorabile verso l’orizzonte degli eventi che costituiscono questa intricata, per usare un eufemismo, brutta storia. Un viaggio lungo tre decenni di storia italiana, un volo in salita attraverso ipotesi, ricostruzioni, testimonianze, diffamazioni, depistaggi e sospetti. “Cos’è la storia dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia”, parola di Jean Cocteau. E chissà quanto tempo servirà ancora, ammesso che mai ci riusciremo, per scrivere i fatti di quella sera entro l’orizzonte degli eventi della storia.
Ripercorrere la storia della Strage di Ustica vuol dire, a distanza di trentadue anni, procedere per interrogativi. Vuol dire costruire un castello di carta fatto di domande, sperando prima o poi di poter incollare i tasselli che compongono questa vicenda in maniera solida, limpida, definitiva. Domande che non nascono da quella fonte più o meno effimera che è la curiosità personale. Sono interrogativi che hanno radici più profonde, piantate saldamente in quella parte di noi stessi che non riesce a dormire su un cuscino di comode verità imbottito di mostri e fantasmi. E tutti coloro sono ancora legati alla storia di questa pagina criminale, lo fanno in virtù ed a causa dei loro stessi interrogativi.
Ma dire che quella di Ustica è una storia fatta solo di domande che galleggiano nelle nostre teste cercando di ancorarsi alla realtà, sarebbe non rendere giustizia alla nostra memoria.
Non ci sono leggende, ma fatti. Le leggende vivono di dubbi, di interrogativi senza risposta, di misteri. Ed i fatti accorsi quella sera di trentadue anni fa non meritano di finire catalogati tra le leggende che affastellano la cronaca nera del nostro paese. Fatti che non dobbiamo discutere, ma guardare e tenere a mente.
E’ un fatto che il 27 giugno 1980 un aereo decolla da Bologna alla volta di Palermo con il suo carico di ottantuno vite umane. E’ un fatto che, alle ore 20.59 di quel giorno, quell’aereo si trova all’altezza dell’isola di Ustica, solcando un cielo terso che il tramonto ormai inoltrato sta dipingendo di rosa. E’ un fatto che il capitano Gatti ed il primo ufficiale Fontana siano due piloti esperti, che tengono la cloche del DC9 Itavia con la sicurezza di chi fa lo stesso lavoro da anni. E’ un fatto che il loro viaggio sia andato secondo un copione scritto e collaudato, che si avvia alla sua naturale conclusione. E’ un fatto che nella cabina dietro di loro, settantasette passeggeri si stiano preparando all’atterraggio. Qualcuno legge un giornale, qualcuno ha lo sguardo perso al di là dei finestrini, qualcuno sta giocando con una bambola. E’ un fatto che decine di persone stiano aspettando di abbracciare i propri cari nell’area “arrivi” dello scalo di Punta Raisi. E’ un fatto che alle 20.59.45, mentre il DC9 Itavia sta viaggiando a 820 km/h, il suo trasponder si spegne per sempre. E’ un fatto che per qualche motivo i pezzi che compongono l’I-Tigi si staccano uno dopo l’altro come le tessere di un domino fatale: il motore destro, il motore sinistro, la parte posteriore della fusoliera, il tronco di coda e la semiala sinistra. E’ un fatto che tanti dei suoi passeggeri vengono risucchiati ed uccisi dalla depressurizzazione dell’aereo. E’ un fatto che quel che ne rimane precipita pressoché intatto per sette chilometri e mezzo, disintegrandosi contro la superficie marina. E’ un fatto che qualcosa ha trascinato il volo IH870 e ottantuno persone 3700 metri sott’acqua senza che essi abbiano avuto nemmeno il tempo di vedere, di capire, figuriamoci di difendere le loro vite.
E’ un fatto che il DC9 Itavia sia precipitato per una causa esterna ad esso. Che se nessuno fosse entrato nei suoi paraggi ora non dovremmo parlare della Strage di Ustica.
E’ un fatto che la verità nascosta dietro quel “qualcosa” sia una risposta scomoda per più di qualcuno, che in trentadue anni ha cercato in ogni modo di tutelare i suoi interessi.
E’ un fatto che in questi trentadue anni sono stati prodotti degli sforzi enormi da parte di chi ha indagato, ma anche da parte di chi ha fatto di tutto perché queste indagini arrancassero.
E’ un fatto che troppo spesso finanche le istituzioni si sono spaccate nei partiti di questa o quella versione dei fatti, senza invece militare incessantemente nell’unico partito che gli sarebbe dovuto essere concesso: quello della verità.
E’ un fatto che qualcuno non ci sta a vivere con il tarlo del dubbio che divora i pensieri. E’ un fatto che i parenti delle vittime si siano uniti e proseguano insieme, proprio forti di questa unità, il loro cammino. E’ un fatto che le indagini che compongono questa istruttoria lunga trent’anni non possono essere ignorate. E’ un fatto che ottantuno cittadini italiani si sono visti innocentemente privati del loro diritto fondamentale, del loro bene più prezioso, la vita. Ed è un fatto che ne stiamo ancora parlando, è un fatto incontrovertibile che la verità esiste anche per la Strage di Ustica, e che questa verità da qualche parte continuerà a vivere finché vivranno gli interrogativi che tutti, da quel 27 giugno 1980, portiamo come ferite aperte nel cuore. “La memoria – mi dice Elisabetta Lachina – è un bene prezioso per tutti, ed è sugli errori del passato che bisogna costruire un futuro migliore, la strage di Ustica deve servire da esempio, affinchè episodi come questo non devono più accadere; dobbiamo crescere e insegnare ai nostri figli che la vita è un bene prezioso e va rispettata. Spero che la morte di 81 persone non venga mai dimentica e che la parola Giustizia riacquisti il significato e la dignità che le sono state tolte.
Io sono qui a distanza di 32 anni che ancora aspetto di seppellire i miei genitori con dignità; quella dignità persa quella sera del 27 giugno 1980 e che ogni cittadino italiano merita. Io non dimentico, e voi?”.