Ustica. L’orizzonte degli eventi/5

Metti un giorno, in casa Cossiga

Guardare la storia della Strage di Ustica a volte è un po’ come guardare un quadro di Escher. Quelle figure affascinanti ed ambigue che si prendono gioco del tuo cervello mostrandogli prima un’immagine, poi un’altra, ed in realtà ambedue insieme. Puoi avere l’impressione di star guardando impotente ad un complicatissimo rebus oppure di avere davanti agli occhi un’equazione.
Il 10 gennaio 2007 la Corte di Cassazione, rigettando i ricorsi della Procura Generale del Tribunale di Roma e quello delle parti civili, pone una pietra tombale sul processo penale nato dall’istruttoria del giudice Rosario Priore. Quindici giorni dopo il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, in un’intervista ai microfoni di Radio Rai, dichiara che la sera del 27 giugno 1980 ad abbattere il DC9 Itavia fu un aereo alleato che “puntando male il missile” uccise 81 cittadini italiani. E, ciò che è più sbalorditivo, dichiara di sapere che bandiera battesse qual caccia, ma di non poterlo dire. Poco più di un anno dopo, Cossiga rilancia parlando con un giornalista di Sky Tg24, affermando che “furono i nostri servizi segreti che, quando io ero Presidente della Repubblica, informarono l’allora Sottosegretario Giuliano Amato e me che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un missile non ad impatto, ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo. La tesi è che i francesi sapevano che sarebbe passato l’aereo di Gheddafi. La verità è che Gheddafi si salvò perchè il Sismi, il generale Santovito, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro. I francesi questo lo sapevano, videro un aereo dall’altra parte di quello italiano che si nascose dietro per non farsi prendere dal radar”. Chi, quando, dove, come e perché, gli elementi ci sono tutti. E la fonte è di quelle che nessun cronista al mondo lascerebbe da parte.
Ma, anche se qualcuno ha la memoria corta in merito, il “Picconatore” non ci ha lasciato solo delle interviste. “La mia idea è che Cossiga – mi spiega l’avvocato Osnato – non ha mai dichiarato quello che sapeva finchè c’era il processo penale in corso. Quando la Cassazione lo ha chiuso definitivamente, ha ritenuto di poter parlare liberamente. Non sapeva che noi avevamo in corso il processo civile, e quindi lo abbiamo chiamato a testimoniare. Credo che la sua scelta sia stata dettata da una convenienza processuale.” E’ troppo dire che la verità sulla Strage di Ustica risiede in quelle parole? “La verità è anche nelle parole di Cossiga, ma non solo. Non credo che sapesse tutto ma quello che sapeva l’ha detto, ed è rilevante. Tra l’altro è anche rilevante la circostanza che, mentre lui pensava di poter raccontare tutto ad un giornalista, e lei mi insegna che le dichiarazioni ad un giornalista sono pur sempre ritrattabili, in quel mentre non sapendo che c’era questo processo civile, abbiamo preso la palla al balzo chiedendo di citarlo come testimone. Il tribunale ha ammesso, e quindi lui ha dovuto confermare sotto giuramento, ed ha una valenza diversa dichiarare determinate situazioni sotto giuramento.” Certo è che il “personaggio” Cossiga non raccoglie – per usare un eufemismo – stima unanime. Ci si potrebbe chiedere quanto davvero le sue affermazioni su Ustica possano essere attendibili, benché fatte sotto giuramento davanti ad un tribunale: e se fosse l’ennesimo depistaggio? “Non penso proprio – è il parere di Osnato – perché altrimenti lo avrebbe fatto in corso di processo penale, ed è una valutazione che ho fatto attentamente. Cossiga era già stato sentito in sede di processo penale, ed aveva detto di non essere mai stato informato di nulla. Quando l’abbiamo sentito nel processo civile, non potendo più ritrattare, avendo dato delle dichiarazioni pubbliche a diversi giornalisti, disse di aver inteso che, durante l’interrogatorio in sede penale, gli si chiedesse cosa sapeva nel 1980 come Presidente del Consiglio dei Ministri, e che invece le nuove dichiarazioni riguardassero ciò che aveva saputo nel 1992 come Presidente della Repubblica”.
Quando gli chiedo cosa pensi dell’incursione di Cossiga sulla scena di Ustica, Francesco Pinocchio mi regala un ricordo davvero particolare. “Non vorrei sbagliarmi – racconta – ma le dichiarazioni di Cossiga iniziano con “ora posso parlare”, proprio poco dopo la pubblicazione del terzo grado del processo penale. Un personaggio veramente sui generis, di cui conservo un ricordo singolare. In sede processuale civile fu chiesto a Cossiga per tre volte di presentarsi a Palermo…ma quando mai. Allora si decise che sarebbe stato il processo ad andare fino a casa sua. Sarà stato il 2010, e quel giorno venimmo a Roma in circa sette familiari, oltre ovviamente al magistrato ed all’avvocato Osnato. Loro ovviamente salgono, ma dopo un po’ l’avvocato ci viene a chiamare per dirci che il presidente, appena saputo della nostra presenza, ci invitava a salire. Entrando in casa di Francesco Cossiga ho avuto l’impressione di camminare nella storia. Soprattutto con mio padre, che è praticamente suo coetaneo, fu davvero gentile. Ci ha fatto accomodare nella stessa sala in cui stava discutendo con i magistrati e gli avvocati. E confermò tutto, sembrava contento di poter fare la parte di chi può dire tutto senza che nessuno lo possa contraddire”.
La posta sul piatto, dunque, è di quelle pesanti. C’è un Presidente emerito della Repubblica che, credendosi svicolato dalle incombenze di un processo penale, lancia un J’accuse contro un Paese alleato indicandolo come l’autore della fatalità che sarebbe alla base della Strage di Ustica. E, suo malgrado, deve blindare queste affermazioni con il giuramento davanti alla corte di un tribunale.
“Basta ascoltare Giovanardi – ribatte Francesco Pinocchio – e lui dirà che non è vero niente. Una cosa che il giudice Priore ci ha spiegato molto bene è che una cosa è la verità, ed un’altra è la verità processuale. Ma non sempre la verità processuale è quella più intelligente, come non è intelligente la versione della “bomba a bordo” che sarebbe stata messa in una toilette che è rimasta intatta. Questa bomba sarebbe dovuta essere sospesa a mezz’aria. Per non parlare della tesi, ora totalmente esclusa, del cedimento strutturale che avrebbe aperto e distrutto il DC9 in un istante. Ma noi non abbiamo pregiudiziali, e del resto anche il nostro avvocato sostiene che quello della “quasi collisione” sia uno scenario anch’esso probabile, ma cambia poco: missile o “quasi collisione” sono scenari di “guerra di fatto” sui nostri cieli in un periodo di pace, ed è in questa direzione che va ricercata la verità. La Francia afferma che le loro basi furono chiuse alle 17.00 di quel 27 giugno, i radar spenti. Ma testimoni (il generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, che il 27 giugno 1980 era in vacanza in Corsica, ndr) ricordano perfettamente i Mirage che atterravano e decollavano dalla base di Solenzara quella sera. La Francia non risponde alle nuove rogatorie da oltre due anni. L’Italia non ha il “peso”, come nazione, di chiedere chiarimenti ai “cugini” transalpini!”
Risale a fine maggio la notizia di una commissione d’indagine europea che indagherà per accertare le responsabilità del disastro di Ustica e valutare un’eventuale condotta omertosa della Francia. Avvocato Osnato, come nasce questa commissione? “Nasce perché quando abbiamo vinto il processo di primo grado a Palermo, abbiamo fatto una petizione con tutti i parenti raccogliendo più di 150 firme, e l’abbiamo inviata al Parlamento europeo chiedendo l’istituzione di una commissione di indagine. Una commissione che noi chiediamo abbia facoltà sia di accedere agli archivi segreti della Francia – dove il segreto di stato dura sessant’anni – che da più di tre anni e mezzo, almeno ad oggi, non si è mai degnata di rispondere alle rogatorie che hanno fatto i pubblici ministeri di Roma, e che noi riteniamo avere delle grandi responsabilità, quanto meno dal punto di vista di un atteggiamento omertoso nei confronti delle richieste che più volte lo stato italiano ha fatto. E noi chiediamo che questa commissione vada anche a scoperchiare gli archivi dell’ex regime di Gheddafi, e che metta in fila tutti gli elementi che possono nascere da questo tipo di nuova visione di atti. Per far luce su questa storia, e per togliere anche l’ombra, l’incognita e il sospetto che si nutre nei confronti della stessa Francia. Credo che l’ammissibilità che il Parlamento europeo ha dato alla nostra petizione abbia anche il senso di vedere se effettivamente anche la Francia possa avere delle responsabilità in questa storia, tenuto conto dell’atteggiamento estremamente omertoso. Uso questo termine non a caso, anche perché in parlamento europeo mi è stato suggerito di non usare questo termine piuttosto che “non collaborativo”: in verità posso attestare che l’atteggiamento della Francia in questi trentadue anni è stato del tutto omertoso, perché hanno risposto con risposte che non sono risposte.”
Non credo sia appropriato definirla “ironia della sorte”, eppure proprio una ditta francese si è occupata del recupero del DC9 dal suo giaciglio a 3700 metri di profondità…
“I nostri governi si erano posti il problema, anche se ormai quello che è stato fatto, è stato fatto. Non do per certe determinate responsabilità, ma siccome i miei assistiti mi chiedono la verità, io la cercherò in capo al mondo. Se qualcuno mi verrà a dire che saranno stati forse i cinesi piuttosto che i tailandesi, io chiederò che venga fatta una commissione di indagine anche su di loro. Non ho preconcetti contro il paese d’oltralpe, so soltanto una cosa: che le risposte sono state omertose, e non hanno dato mai vere risposte. E so che la sera del 27 giugno 1980 c’erano due portaerei francesi, la Foch e la Clemenceau, in pieno assetto operativo, di cui noi non abbiamo effettive tracce. Né delle rotte effettuate in quei giorni, né della dislocazione, ed a questo punto va fatta chiarezza”.

Il gioco delle tre carte

Non so se in vita vostra abbiate mai provato a puntare qualche spicciolo al gioco delle tre carte, anche solo per dimostrare a voi stessi di essere più svegli dell’imbonitore. Bè, non fatelo. Per quanto vi concentriate, per quanto non perdiate mai di vista la “carta rossa”, il vostro dito alla fine cadrà su una delle due “carte nere”. E la bravura di chi organizza il gioco non sta tanto nell’essere veloce e nel far perdere le tracce della carta vincente. Sta nel convincervi dove sia la carta perdente, nel rendervi sicuri, nel mostrarsi debole lui per primo.
Domando a Francesco Pinocchio che idea si fosse fatto, da persona toccata molto da vicino, a ridosso della Strage di Ustica, sulla reale versione dei fatti: “Nel 1980 – racconta – avevo 14 anni, e malgrado fossi un ragazzino ascoltavo i tg e leggiucchiavo i giornali, perché in famiglia avevamo una cultura dell’informazione. Nella prima fase, la spiegazione dell’accadimento era quella del cedimento strutturale di un aereo che trasportava pesci in Argentina, si diceva che l’Itavia era una compagnia che faceva volare aerei senza manutenzione, che tutto era una vergogna… Io avevo preso l’aereo per la prima volta, proprio un aereo dell’Itavia da Palermo a Bologna, il 23 giugno 1980, e ricordo che dopo la Strage dicevo a tutti che erano aerei terribili, orrendi, tenuti malissimo, che le ali tremavano – senza sapere che è una cosa normalissima – proprio perché ero certo, lo dicevano tutti, che la causa fosse un cedimento strutturale, e fui contento quando poco tempo dopo chiusero l’Itavia. Invece poi, con il tempo, capisci che si è trattato di un depistaggio fatto coscienziosamente. Siamo stati indirizzati a scagliarci verso degli innocenti e poi, il silenzio. Anni ed anni di silenzio totale. Come dice Tiziana, la figlia dell’allora proprietario della compagnia Aldo Davanzali, l’Itavia è l’ottantaduesima vittima di Ustica: dopo poco tempo tutti i voli charter furono cancellati, nessuno voleva più prendere questi aerei, revocata la licenza, chiuso. La compagnia fallisce, i dipendenti vanno in mezzo alla strada e l’Alitalia acquisisce una quota di mercato senza colpo ferire. Prima della Strage di Ustica non si parlava dell’Itavia come di una compagnia “messa male”: per fare un esempio il copilota Enrico Fontana, come ha confermato suo fratello, era felice di lavorare per loro. Il pensiero che ci potesse essere qualcos’altro dietro questa vicenda nasce proprio quando iniziano gli incontri – che avvenivano proprio qui a Roma, come luogo equidistante tra Nord e Sud – tra noi familiari delle vittime, incontri a cui partecipavano anche i periti che in quegli anni stavano indagando su ipotesi ben diverse da quella del cedimento strutturale”. Immediatamente dopo la tragedia, il principale imputato è l’Itavia. Ed occorre tenere sempre a mente che certi processi, prima che nelle aule di tribunale, si celebrano nell’opinione pubblica. L’Itavia è sopravvissuta alla Strage di Ustica solo per sei mesi, quando il Ministero dei Trasporti revocò la licenza alla compagnia. Forse il paragone è impari, ma è curioso notare che a seguito del più grande disastro aereo della storia, quello di Tenerife, in cui persero la vita 583 persone ed in cui fu riconosciuta una co-responsabilità degli equipaggi di entrambi gli aerei coinvolti, nessuno pensò di ritirare le licenze di volo né alla KLM né alla PanAmerican. Oppure, volendo fare un parallelo forse un po’ azzardato con un disastro marino, la Moby Lines è sopravvissuta al disastro della Moby Prince. La prima ipotesi sbattuta in prima pagina è quella del “cedimento strutturale”. Tra i suoi sostenitori c’è stato – pensate un po’ – finanche un Beppe Grillo. Una ricostruzione che vedrebbe un jet commerciale che viaggia a più di 800 km/h aprirsi come un uovo lanciato contro un muro. Ma la realtà, spiega Osnato, è un’altra cosa: “Ci sono miriadi di perizie in merito, proprio perché la prima ipotesi fu quella di un cedimento strutturale o di un errore del pilota. Sia le perizie dell’accusa, della difesa e del giudice istruttore hanno tutte escluso che ci sia stato un errore dei piloti piuttosto che un cedimento strutturale. Nei primi anni ci fu un grande impegno per comprendere se questa esplosione in volo dovesse ricollegarsi a un cedimento della struttura del DC9, si fece riferimento al precedente utilizzo di questo aereo che era impiegato per trasportare del pesce, che con la salinità avrebbe potuto indebolire le strutture. Il cedimento strutturale è insitamente escluso, sia per le modalità di destrutturazione che sono state immediate, e soprattutto per il fatto che il pilota non ha mai lanciato un allarme, piuttosto che un segnale di guasto, ed anche dalle registrazioni della scatola nera che abbiamo trovato, che non danno nessun rumore di destrutturazione; il cedimento strutturale da dei rumori che vengono registrati, l’aereo si è aperto all’improvviso”. Cosi come all’improvviso si è interrotta la registrazione del cockpit voice recorder, il sistema che tiene traccia di tutto ciò che si dice in cabina: “Allora siamo a discorsi da fare… […] Va bene i capelli sono bianchi… È logico… Eh, lunedì intendevamo trovarci ben poche volte, se no… Sporca eh! Allora sentite questa… Gua…”. Se Gatti e Fontana stanno dialogando in un’atmosfera cosi distesa non è perché sono degli irresponsabili, ma semplicemente il loro volo sta procedendo secondo un copione che hanno collaudato migliaia di volte. Non hanno nemmeno il tempo di rendersi conto che il loro DC9 esplode, non hanno il tempo di poter fare nulla per salvare le 77 vite che gli erano state affidate. Il comandante Gatti ha il tempo di dire “Gua…”, “guarda”? Stava attirando su qualcosa l’attenzione del suo secondo? Non lo sapremo mai, e del resto per l’avvocato Osnato l’ipotesi che il cvr possa essere stato manomesso e “tagliato” ad arte va bene “solo per farsi un po’ di pubblicità su Youtube”.
Attorno alla Strage di Ustica ci sono cosi tante coincidenze che è difficile credere che siano tutte tali. Ma al contempo è difficile anche credere che esista una tale rete di fatti tanto gravi. In entrambi i casi, è il non sapere che gioca brutti scherzi. La coincidenza più eclatante, molto probabilmente, è che ventuno giorni dopo la strage, un MIG-23 libico precipita sulla Sila in zona Timpa delle Magare, oggi nel comune crotonese di Castelsilano. Un DC9 civile esplode in volo ed un caccia libico precipita non molto lontano a tre settimane di distanza. E per quanto paradossale possa essere, uno dei punti su cui si è più dibattuto e il quando questo aereo sia effettivamente caduto. Si è parlato molto di un supplemento alla perizia del medico legale che esegui l’autopsia sul pilota, in cui si pre-datava la sua morte di circa venti giorni: supplemento che non esiste agli atti della procura. Certo, se davvero il Mig fosse precipitato la sera della Strage, lo scenario non sarebbe tanto fantasioso: un caccia libico che si nasconde nel cono radar di un volo civile, viene visto e riconosciuto come ostile, e si tenta di abbatterlo mancando il bersaglio. Rimarrebbe da capire come abbia fatto il pilota a disimpegnarsi dal fuoco nemico, perché sia precipitato (mancanza di carburante?) e soprattutto perché fosse disarmato. Ma per Daniele Osnato la realtà è più semplice di quanto si voglia pensare: “Per me la storia del Mig libico a Castel Silano è un gioco delle tre carte, nel senso che anche queste sono azioni di depistaggio, è stato fatto credere agli inquirenti che il Mig caduto 20 giorni dopo c’entrasse qualcosa con questa storia di Ustica, e probabilmente si sono spese energie in istruttorie enormi, e sono passati tanti anni, perché in fondo dietro questo aereo si cercava la verità. Con molta probabilità il Mig libico non c’entra niente, ce lo dice anche la corte d’Assiste. Questi sono i depistaggi al contrario: e la storia di Ustica come molte altre stragi italiane è un gioco delle tre carte. Si fa credere che sotto una determinata carta ci sia la verità, e tutti stanno appresso a quella. E passano gli anni e spendiamo tante energie in indagini dietro verità che alla fine sono delle chimere” Che prove ci sono, in questo senso? “Sono pragmatico nella mia attività di avvocato. Per me non è importante che ci sia un Mig che cade, e non è importante che quel Mig sia scappato perché forse era lui l’aereo sotto il DC9, che abbia preso qualche scheggia di missile e per questo sia andato a cadere a distanza di cinquanta miglia. E’ importante chi ha sparato il missile, e certamente non è stato un Mig libico. Non è sulla lepre che devo fare le mie indagini, ma sul cacciatore che ha sparato, ed invece di sparare nei confronti della preda, ha beccato 81 persone. E’ questo che mi chiedono i miei assistiti: chi è stato? E poi se possibile, perché è successo? Sul discorso del Mig libico ci sono evidenze processuali che tendono ad escludere la concomitanza dei due voli. Probabilmente quello è un caccia che effettivamente non è stato mai coinvolto nelle vicende del 27 giugno, e cade effettivamente dopo 20 giorni a Castelsilano; veniva da Sud, ed abbiamo visto i tracciati radar, e certamente non posso pensare che un intero paese il 27 giugno del 1980 lo vede cadere e tutti quanti si mettono d’accordo per riferire che è caduto il 18 luglio. Da avvocato, in tutta franchezza, non seguo questo tipo di fantasticherie e di collusioni a largo spettro. Quello che però mi interessa non è chi scappava e chi era oggetto della persecuzione, a me interessa chi ha sparato”.
Giochiamo a trovare un’altra coincidenza. La mattina del 28 giugno 1980 su un quotidiano di Palermo si legge qualcosa di insolito: “Una circostanza del tutto atipica è che il giorno dopo la Strage il Colonnello fece uscire un articolo a pagamento a tutta pagina su un giornale palermitano, L’Ora, facendo le condoglianze ai parenti delle vittime. E con tutta franchezza, non ho mai capito perché abbia fatto queste condoglianze cosi plateali. Per il resto, s sa poco di quello che ha dichiarato Gheddafi perché, in verità, non ha dichiarato proprio niente. Ci sono state diverse rogatorie a cui la Libia non ha mai dato risposta”.
Non è facile gettare un po’ di luce in un quadro a tinte cosi fosche. Ma il fatto che la strada verso la verità debba seguire un percorso problematico e non sistematico, che i fatti debbano provare non oltre la certezza ma oltre ogni ragionevole dubbio, non significa che si può trasformare l’evidenza in opinione. Prendere una posizione ed arroccarsi su di essa non può mai, in nessun campo, contribuire al raggiungimento della verità. Per questo sorprende e delude constatare che certe prese di posizione giungano proprio dagli uomini delle istituzioni. Come l’on. Carlo Giovanardi, che quando era sottosegretario aveva addirittura minacciato di querelare chiunque continuasse a sostenere la tesi dell’ “abbattimento” del DC9 Itavia. La tesi “del Governo”, disse, è quella della bomba. Ed è una versione dei fatti che non può essere toccata. Chiedo all’avvocato Osnato cosa pensi di questa posizione cosi incrollabile: “Queste sono dichiarazioni che Giovanardi fa anche in altri campi, lui parla da perfetto ignorante nel senso tecnico del termine: ignora i fatti, perché non ha mai partecipato ad un’udienza, non ha letto le perizie e quant’altro. Credo che sposi la teoria della bomba perché in qualche maniera è legato ad un cordone con Misiti, che fu il perito che sostenne la teoria della bomba, un cordone più politico che tecnico. E’ una presa di posizione e non una valutazione. Io non ho nessun preconcetto, se la verità fosse quella dell’esplosione di una bomba direi che ad abbattere il DC9 è stata l’esplosione di una bomba, non faccio mica soldi sul missile, nel senso che non ho nessun interesse ad illudere i miei assistiti con una verità che poi non sta in piedi. Certo è che sul piano tecnico l’ipotesi di una bomba è del tutto fantastica”. Sa che Giovanardi ha minacciato di querelare chi sostenesse e diffondesse questa tesi? “Si, infatti io l’ho invitato ufficialmente a querelarmi”. A questo punto non posso fare a meno di chiederle se ha mantenuto fede alla promessa… “Io so che circa l’anno scorso ha trasmesso gli atti all’Avvocatura dello Stato per un parere circa alcune mie dichiarazioni, e non credo che l’Avvocatura dello Stato lo abbia mai avallato. D’altronde lui può permettersi i pareri legali gratuiti dell’Avvocatura dello Stato a spese dei contribuenti. Preferirei che andasse da avvocati privati e pagasse per un parere e su questo parere, a spese sue, si faccia consigliare se farmi una querela o meno. Ma non tanto a me: fare una querela a chiunque abbia un’idea diversa dalla sua, ma non solo in questo campo”.
Sostenere il proprio punto di vista, quando si è in buona fede, è sempre un sacrosanto diritto. Ma il voler imporre la propria opinione come Vangelo, riguardo ad una vicenda che lascia ancora troppi nervi scoperti, mi sembra un atteggiamento che non concorre a trovare la verità: “Assolutamente si – aggiunge Osnato – quello che manca è un contraddittorio, che in effetti nelle sedi processuali c’è sempre stato, ma qui è come se si dovesse imporre una verità piuttosto che un’altra. E’ sintomatico il fatto che Giovanardi non abbia mai parlato nell’arco di 25 anni e poi ad un certo punto esce fuori con una verità preconcetta. Vorrei anche chiedermi perché fa questo, ma tutto sommato se vuole sapere la verità, non è un cruccio che ho. Le dice e restano li, hanno il valore che hanno”.
“In questa storia sporca di sangue e fango – aggiunge Elisabetta Lachina – non dovrebbe esistere il partito della bomba o il partito del missile, dovrebbe regnare la verità e la giustizia, perchè la verità non ha alcun colore politico e la giustizia non ha alcun governo di parte. E’ evidente a tutti che quella sera qualcosa di tremendo e inconfessabile è accaduto e non si poteva dire, quindi, l’ordine era di nascondere tutto quello che si poteva, cancellare tutto. Tutte le prove! Alcuni le chiamano Ragion di Stato, dimenticando che lo stato siamo noi, i cittadini. Era necessario cancellare ogni traccia che potesse portare ai colpevoli, bisognava immediatamente nascondere la verità che era ben nota sin da subito. Bisognava dunque depistare, creare confusione affinchè nessuno e dico nessuno sapesse cosa era successo! Ma a bordo di quel maledetto aereo c’erano 81 persone… Ognuno di esse aveva dei familiari a casa che li amavano e che aspettavano il loro ritorno. Noi parenti delle vittime. Il buco nero non solo ha inghiottito tutti gli 81 passeggeri; si è allargato a macchia d’olio coinvolgendo e divorando anche i testimoni di una verità scomoda, ha avvolto e soffocato giorno dopo giorno i familiari delle 81 persone, imprigionandoli in una lunga tormentata sofferenza.
E’ evidente la presenza di persone che sono state “pilotate” per dichiarare determinate affermazioni e creare confusione, chi prosegue in questa azione di disinformazione si rende complice e colpevole della morte di 81 persone. Nel caso del signor Giovanardi penso con grande semplicità e con il dovuto rispetto, malgrado la sua posizione, che sia stato male informato. Non ho elementi per dire se chi nega la verità lo fa perchè male informato oppure in mala fede. Ognuno di noi deve fare poi i conti con la propria coscienza”.