Ricostruire L’Aquila

Entrare a L’Aquila significa, ogni volta, riaprire una ferita che mai è stata rimarginata. Ti accorgi subito che l’aria che si respira è pesante, che la maggior parte dei luoghi sono diventati non luoghi. Una città fantasma dal punto di vista urbanistico ma abitata dagli aquilani che conservano ancora – e mai potranno dimenticare – le immagini della distruzione e del degrado dopo il terremoto del 2009. Entrare a L’Aquila significa dover fare i conti con la realtà, riscontrare ogni tipo di criticità, verificare come il governo – e il riferimento va tutto all’ex governo Berlusconi – ha illuso l’Italia intera mostrandoci i segni di una ricostruzione che non esiste, nemmeno sulla carta. Entrare a L’Aquila significa sentire in lontananza la voce di qualcuno che indignato sussurra: “qui c’è una quantità molto ampia di nuovi poveri, il cimitero è pieno di nuovi morti”. La depressione, la crisi economica arrivata in questo posto prima che nel resto d’Italia è una piaga troppo profonda da poter ricucire. Un edificio pronto a crollare e il cimitero sono i due simboli che ci danno il benvenuto entrando a L’Aquila. Girare per il centro storico e in quella che ancora è la ‘zona rossa’ ci fa capire che l’inferno è quello dei viventi. Lo spettro del terremoto che si vede e si sente ancora. Si vede in quelle che erano le case, oggi fredde, buie e disabitate. Si sente in mezzo alle stradine umide del centro, silenziose. Un silenzio assordante che ti invade completamente.
Se ti guardi intorno e segui con lo sguardo i segni del degrado, rimani impietrito pensando ad una città che è stata smantellata della sua identità, della sua storia. L’occasione per riflettere ancora sullo stato dei lavori nella cittadina abruzzese, è dato da una iniziativa de Il Fatto quotidiano “Diamo voce a L’Aquila”: Questo il titolo del dibattito pubblico a cui hanno partecipato, fra gli altri, il giornalista Enrico Fierro e il direttore del giornale, Antonio Padellaro, oltre al sindaco della città, Massimo Cialente e il ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca. Un confronto con le associazioni e i cittadini che hanno posto numerose domande al ministro e al sindaco. Senza farsi impaurire da un sole cocente e da un caldo a cui gli aquilani non sono affatto abituati. Girare per la città, sentire le voci della gente, ci fa rilevare un altro aspetto importante. Sono tante le persone che hanno voglia di ripartire, hanno sempre avuto voglia di ripartire. Come il gestore di un bar in centro. Ci guarda, ci sorride, prepara gelati per tutti e alla fine della giornata ci regala dei dolci “così, per pubblicità”. Perché quella gente è stanca di aspettare, di delegare allo Stato. Si fa quel che si può, intanto. Senza stare con le mani in mano. Ma le risposte devono arrivare. E la presenza di Barca a questo è servita. Il governo sta lavorando a una nuova norma che dovrebbe essere pronta entro la fine di luglio. Non servono proclami o promesse. Serve capire quali sono i problemi reali, le cause del ritardo per la ricostruzione, seguire le proposte di cittadini, comitati, associazioni, professionisti che s’impegnino a creare una rete con il governo, la Regione e gli enti locali. Barca su questo è stato chiaro: il governo non può fare tutto da solo se anche chi lavora sul territorio non si muove. Il sistema di corruzione e illegalità ha fatto la sua parte anche dopo quella tragedia. Proprio Fierro ha ricordato una recente inchiesta de Il Fatto in merito ai soldi degli sms arrivati nel post terremoto, ancora ‘imboscati dalle banche’. Sono state 606 le domande di credito ricevute (206 famiglie, 385 imprese, 15 cooperative). Di queste 246 sono state respinte mentre 251 sono crediti erogati da gennaio 2011 a oggi per un totale di 5.126.500; 99 domande sono in valutazione. Denunciare, ancora e a gran voce, quello che è accaduto a L’Aquila significa pure evitare che la storia si ripeta in altri posti d’Italia – come in Emilia oggi – imparare dagli errori del passato per fronteggiare l’emergenza diversamente e non alla maniera di Bertolaso. E preparare un piano diverso per il futuro di quelle popolazioni. Eppure il terremoto in Irpinia del novembre del 1980 avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Ma il nostro Paese si distingue pure per le sue contraddizioni e per i continui corsi e ricorsi storici. Resta la solidarietà della gente e la voglia di ripartire, comunque, nonostante tutto. Per non entrare più in quelle in città fantasma, per non vivere nelle peggiori delle ‘città invisibili’ di Italo Calvino, testo sapientemente parafrasato dal direttore Padellaro. Ed anche l’informazione deve fare la sua parte. Una stampa non auto celebrativa ma propositiva. E l’incontro di oggi organizzato da Il Fatto è certamente un primo passo in questa direzione.