
(di Luca Rinaldi )
Le ricostruzioni delle mafie al nord imbastite da procure e giornali nel giro degli ultimi due anni hanno prodotto una buona dose di conoscenza sul fenomeno ‘ndrangheta soprattutto in Lombardia. Non è un mistero che il nord-ovest sconti per la maggiore la presenza ingombrante della criminalità organizzata calabrese. Una presenza che in Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta risulta almeno trentennale. La chiamiamo “colonizzazione”, e non è un termine casuale: qui la ‘ndrangheta in trasferta riproduce i modelli e le strutture criminali proprie del territorio d’origine.
E a nord-est che succede? In Veneto sono arrivati i casalesi, che non ‘colonizzano’, ma ‘delocalizzano’, proprio come un’azienda. Sul punto è interessante l’audizione del Sostituto Procuratore della Direziona Nazionale Antimafia Roberto Pennisi davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia presieduta dal senatore Giuseppe Pisanu.
La seduta nelle stanze dell’antimafia risale allo scorso aprile e prende le mosse proprio dalla situazione in Veneto, dove da lì a poco si sarebbe recata la Commissione. A smascherare il metodo della delocalizzazione è stata, nell’aprile 2011, l’operazione “Aspide”, che ha portato all’arresto di 25 persone affiliati al clan dei casalesi che estorcevano denaro alle aziende.
Sulla delocalizzazione Pennisi è illuminante
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< Essi operavano in diverse parti del territorio veneto, ma i proventi dell’attività d’usura, di estorsione e di svuotamento delle imprese in difficoltà con la vendita dei beni facenti parte del patrimonio sociale di queste imprese in stato di decozione, non rimanevano nel territorio ma confluivano nel territorio dove aveva sede l’impresa che aveva delocalizzato una parte della sua attività nel territorio Veneto>>.
Il numero due della DNA precisa anche la differenza tra delocalizzazione e colonizzazione mafiosa
< Gli esiti dell’attività di indagine svolte dalle DDA di Reggio Calabria e Milano, note come indagini «Il Crimine» e «Infinito», danno conto di questa realtà, cioè il crimine organizzato ‘ndranghetista si ricrea in un territorio diverso non delocalizzando ma inserendosi nel tessuto connettivo di quella società creando fenomeni criminali assolutamente corrispondenti a realtà criminali del luogo di origine>>. In regime di delocalizzazione < >.
E le imprese e gli imprenditori che sentimento hanno nei confronti del personale di mafia Spa in trasferta? Sul punto Pennisi è tranchant
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Si discute poi dell’omertà che per Pennisi< perché «finalmente» questa gente del Nord vede farsi avanti soggetti affidabili. È inutile dirlo: sono affidabili. Non posso entrare nei particolari perché sono applicato in una determinata DDA che non è veneta e che mi consente di conoscere alcuni dati investigativi che sono oggetto di mie indagini, ma dispongo di dati investigativi, di parole provenienti da soggetti non certamente dell’Italia meridionale né centrale che fanno paura e che mi consentono di fare quelle affermazioni che ho appena fatto>>.
E poi i rapporti con la politica
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Quest’area del Veneto e del nord-est è per il numero due della DNA < >.
Nella discussione c’è tempo anche di analizzare i rapporti delle terre di frontiera del nord-est con le altre mafie straniere (< >,) le attività dei porti, il ciclo dei rifiuti e i reinvestimenti in attività più o meno lecite delle mafie in Veneto.
Pennisi poi tira una stoccata anche alle indagini “Crimine – Infinito” condotte dalle direzioni distrettuale antimafia di Reggio Calabria e Milano, preziose, ma forse troppo pretenziose nell’intenzione di descrivere la ‘ndrangheta unitaria. Tanto è che chi è rimasto fuori da quelle indagini quando viene chiamato a rispondere del reato associativo fa valere questo teorema per cui se non si era nella ricostruzione di Crimine-Infinito, non si era nella ‘ndrangheta. Situazione che sta accadendo in più d’una stanza giudiziaria da Reggio Calabria a Milano.
(pubblicato su www.linkiesta.it)