Ustica. L’orizzonte degli eventi/4
A Ramstein un uomo brucia, a Ramstein il sole splende
I consumatori abituali della scena musicale industrial metal europea probabilmente avranno già riconosciuto questi due versi della band tedesca Rammstein. Una formazione nata a Berlino nel 1994 che prende il proprio nome – raddoppiando una “m” – da un evento che è rimasto scolpito nella memoria collettiva della Germania: l’incidente aereo di Ramstein. E’ il 28 agosto 1988, e nella base NATO di Ramstein – Germania sud occidentale – è in corso l’airshow Flugtag ’88. Un evento a cui accorrono circa trecentomila persone, tra cui numerose famiglie. L’atmosfera è da festa popolare, non c’è niente di militare nell’aria che si respira, ed effettivamente lo spettacolo deve essere di quelli che non si dimenticano. Alla manifestazione prendono parte anche le nostre Frecce Tricolori, dieci piloti della nostra Aeronautica Militare che a bordo dei loro Aermacchi MB-339 stanno per dare vita alla figura del “cardioide”: un grande cuore disegnato nel cielo da due formazioni di cinque e quattro piloti, che sarebbe stato infine “trafitto” dal pilota solista. Due di quei piloti erano il Tenente Colonnello Ivo Nutarelli, solista con codice “pony 10”, ed il Tenente Colonnello Mario Naldini, capoformazione con codice “pony 1”. Proprio quei piloti che, la sera del 27 giugno di otto anni prima, volarono a bordo di un F-104 per alcuni minuti di conserva al DC9 Itavia, lanciando per tre volte via radio l’allarme generale in volo. Nutarelli sta per concludere la sua manovra, a circa quaranta metri dal suolo, quando si rende conto che il suo aereo è troppo basso e troppo veloce. Arrivando cosi in anticipo, si scontrerà con il resto della formazione in volo davanti a lui. Tenta quindi di rallentare estraendo il carrello d’atterraggio e l’aerofreno ventrale. Manovre che compromettono definitivamente l’aerodinamica e la stabilità del velivolo, che in un rombo di tuono colpisce quello pilotato da Naldini. L’aereo di Nutarelli inizia ad ondeggiare e ad avvitarsi su sé stesso, colpendo anche quello pilotato dal Capitano Giorgio Alessio, primo gregario sinistro con codice “pony 2”. Naldini prova ad eiettarsi, ma ad una quota cosi bassa il suo paracadute non si apre e muore schiantandosi al suolo. Contemporaneamente anche l’aereo di Alessio precipita sulla pista uccidendo il suo pilota. L’aereo di Nutarelli, ormai in fiamme, prosegue la sua corsa senza controllo ormai avvolto dalle fiamme, andando a rovinare sul prato dove era raccolta la maggior parte degli spettatori. Esplodendo, parte del carburante contenuto nei suoi serbatoi finì direttamente sugli astanti, molti dei quali vennero avvolti dalle fiamme. Quel giorno a Ramstein morirono, oltre ai tre piloti italiani, 67 persone, ed altre 356 furono ferite.
Come già accennato, il legame tra questo incidente ed i fatti di Ustica arriva alla mente in maniera inesorabile. Salvo considerare l’inverosimile ipotesi di un simultaneo impazzimento di due tra i più bravi piloti della nostra Aeronautica Militare, volando nei pressi del DC9 Itavia Naldini e Nutarelli videro qualcosa. Qualcosa di tanto pericoloso da dover lanciare tre volte alla base aerea di Grosseto un allarme generale in volo, guardandosi bene dall’usare gli apparati radio. Avevano paura che qualcun altro potesse sentire? Dopo la loro tragica e simultanea morte avvenuta a Ramstein, molto probabilmente non lo sapremo mai. Due fondamentali testimoni che muoiono nello stesso incidente. Ustica e Ramstein sono due stragi lontane otto anni, indissolubilmente legate dalle figure di questi due piloti. Un legame che avverte anche il fratello di Ivo Nutarelli, Giancarlo. Gli chiedo come sia cambiata, a partire dal 29 agosto 1988, la sua opinione sull’incidente di Ramstein, e su quali basi: “Non dal 29 – mi spiega – ma dalla sera del 28 agosto 1988, sono sempre stato convinto che c’era qualcosa di strano, di particolare, di impossibile in quello che era successo e nelle immagini che ho visto. Ho saputo dell’incidente perché quel giorno c’era il campionato del mondo di ciclismo; tornai a casa al termine della gara – ricordo che vinse Maurizio Fondriest – ed accesi la tv per vedere i commenti. Sono stato informato della morte di mio fratello dal televideo. Se non fosse stato per i media, per quanto mi riguarda mio fratello sarebbe anche potuto essere morto di freddo. Non ho mai pensato all’ipotesi dell’incidente causato da un errore – ma ribadisco che questa è una mia opinione, chè se avessi delle prove queste sarebbero già sul tavolo di un magistrato – perché mio fratello non avrebbe mai potuto commettere un errore del genere. Ma non dico questo solo perché era un bravo pilota, che difficilmente avrebbe potuto commettere una sequenza di cinque errori grossolani uno dietro all’altro; lo dico perché conoscevo il suo carattere, e so che mai avrebbe tentato una manovra azzardata. Non era una persona avventata, se avesse potuto si sarebbe tolto di li”.
Chi era professionalmente Ivo Nutarelli?
E’ sempre stato il “bravo” di famiglia. Sin da quando è entrato in accademia a Pozzuoli è sempre stato il primo, il secondo dei corsi che ha frequentato. Da Pozzuoli è passato a Galatina, poi ad Amendola, prima sugli Aermacchi e poi sui G91, poi a Rimini, a Grosseto dove è diventato istruttore sugli F-104, e da li a Rivolto alle Frecce Tricolori. Diciamolo, qualunque pilota aspira ad entrare nelle Frecce Tricolori, ma oltre alle capacità serve anche una predisposizione, delle doti. E non lo dico io, ma Ivo Nutarelli soprattutto nell’ultimo periodo era ritenuto uno dei migliori piloti al mondo.
Nessuna comunicazione ufficiale a seguito dell’incidente da parte dalle forze dell’ordine?
Assolutamente no. Le posso assicurare che l’unica persona dell’arma azzurra che mi abbia contattato è tale comandante Rossi – che non ho la più pallida idea se sia un cognome vero o no – in occasione di una telefonata sul mio numero di cellulare; un numero, tra l’altro, che io non avevo mai dato, e che era intestato alla mia azienda: un’azienda con ventitré linee telefoniche, ed hanno trovato direttamente la mia. Mi chiamò per dirmi che l’Aeronautica Militare non approvava il progetto di creare un monumento alla memoria con i resti degli aerei coinvolti nell’ incidente di Ramstein. Questo è successo nel 2000.
Qual è stata la storia dei resti di questi aerei dopo l’incidente?
Quella è una spina che ho nel cuore. Per me quello che è stato fatto ai resti dell’aereo di mio fratello è stato un sacrilegio, una pugnalata. Nei primi mesi del 2000 o forse nel dicembre del 1999, mi ha contattato un ex colonnello dell’aeronautica che si chiama Casolari, che è anche il direttore del Museo dell’Aviazione di Rimini, per dirmi che era riuscito ad acquistare da un rigattiere i resti degli apparecchi dell’incidente di Ramstein, tra cui l’aereo di mio fratello. E siccome stavano cannibalizzando quei pezzi dandoli come “souvenir”, ha pensato per la memoria dei piloti di prendere in blocco tutto quello che rimaneva degli aerei e creare un’area all’interno del museo. E’ stata quindi creata un’installazione su questo prato, insieme ad una stele che commemora tutte le vittime della tragedia. Questi resti sono rimasti li per diversi anni, se non ricordo male fino al 2006. Per me era un luogo molto importante, era un posto dove andavo a pregare. E siccome avevo una certa confidenza con la direzione del museo, mi consentivano di scavalcare la staccionata posta a protezione degli aerei, ed io rimanevo parecchi minuti con la mano appoggiata all’aereo di mio fratello. Era un modo per sentirmi vicino a lui, sentivo un calore attraverso quelle fredde lamiere. Alla fine, questi resti sono stati tirati via, disgregati, ed al loro posto hanno posizionato un’anonima coda di un MB339 che è stata successivamente dipinta con il tricolore. Le dico una cosa: al museo della memoria di Bologna non hanno messo un fac-simile del DC9, ma quello coinvolto nella Strage. Ed i familiari delle vittime, ma anche io oggi, ci rechiamo li per ricordare, per tenere alta la memoria di quello che è successo. L’emblema di quell’aereo fatto a pezzi e ricomposto deve essere un monito per le generazioni future. La stessa cosa c’era al Museo dell’Aviazione di Rimini, ma oggi, purtroppo, non esiste più.
E che motivazione hanno addotto a questo spostamento dei resti delle Frecce Tricolori, e soprattutto che fine hanno fatto?
“Guardi, se io dovessi dire che cosa dicono all’Aeronautica posso tranquillamente dire che non lo so. Come ho accennato prima, l’unico contatto ricevuto da parte dell’Aeronautica è stato da parte del non meglio precisato comandante Rossi, che mi ha telefonato dodici anni dopo che era morto mio fratello per dirmi che “l’Aeronautica non ha piacere che lei approvi questo scempio che sta facendo Casolari al Museo dell’Aviazione di Rimini”. Mi ha telefonato per rimproverarmi che io non avrei dovuto aderire a questa iniziativa! In sintesi, non dovevo accettare che venisse commemorato mio fratello.”
Quindi lei non sa che fine abbiano fatto i resti dell’aereo di suo fratello?
“No”.
E come mai degli aerei dell’Aeronautica Militare da Ramstein sono finiti nel magazzino di un ferrovecchio?
“Dal momento in cui sono terminate le indagini hanno cercato di eliminare tutto. Sono stati, penso, portati da Ramstein a Udine e poi finite le indagini dopo qualche anno li hanno smaltiti, penso che sia una prassi normale, cosi come se fossero stati un qualsiasi pezzo in disuso”.
Quando ha iniziato a farsi strada l’idea di un collegamento tra l’incidente di Ramstein e la Strage di Ustica?
“Personalmente ho iniziato a leggere qualche articolo i primi mesi del ’91. E’stato dai giornali che ho saputo che mio fratello era in volo la sera della Strage di Ustica e che lanciò l’allarme generale nei pressi del DC9 Itavia. Già prima di allora avevo cercato di capire più a fondo questa vicenda che, ripeto, non mi aveva mai convinto. Inizialmente la cosa mi ha incuriosito, poi ricordandomi che nel ’80 era a Grosseto ho iniziato a pensare che potesse esserci un forte legame. Nel 2000 io ho conosciuto i familiari delle vittime di Ramstein, e loro sono sempre stati convinti di questo aggancio. Ho conosciuto anche un giornalista tedesco, Werner Reith, che scriveva per il quotidiano Tageszeitung, che mi disse addirittura di avere della documentazione che accertava la verità dietro l’incidente di Ramstein, e che mi avrebbe fatto avere il tutto la prima volta che ci saremmo rivisti. Nel 2001 vado in Germania per visitare la base di Ramstein su invito dei familiari delle vittime, e chiesi appunto di incontrare Reith. Qualche giorno prima di partire, però, mi chiamarono per avvisarmi che era morto. Se ho dei dubbi su quello che è successo? Si, ne ho tantissimi. Una coincidenza può starci, due anche, ma tre fanno una prova”.
Eppure, lo stesso giudice Priore, pur riconoscendo la stranezza delle circostanze in cui si è consumato l’incidente di Ramstein, parla di “sproporzione tra fini e mezzi”: perché ordire una tale strage per eliminare due “testimoni scomodi”?
“E’ una considerazione che ho fatto anche io, e sa chi mi ha risposto? Proprio Werner Reith, che mi disse: per chi non sa, la cosa è talmente assurda che la reputa impossibile. Ma per chi sa, è un monito. Il giornalista Reith mi disse questa cosa nel 2000, esattamente il 28 agosto. Purtroppo non molto tempo dopo è morto”.
Ci sono state, a parer suo, delle lacune durante le indagini?
C’è una sola lacuna: che la magistratura ordinaria non ha indagato. E’ come dire che in un caso di decesso di un paziente durante un intervento chirurgico, ad indagare sulle cause sia il chirurgo stesso che ha operato. Poiché l’incidente è avvenuto in una base militare degli Stati Uniti, le indagini sono state condotte solo da militari con le regole della NATO. Quindi non solo la magistratura non ha indagato, ma anche per i familiari è stato impossibile nominare propri periti che seguissero le indagini.
Negli otto anni che dividono Ustica da Ramstein, suo fratello non hai mai accennato ai fatti di quella sera?
No, mio fratello era un professionista, non ne avrebbe mai parlato soprattutto avendo un segreto professionale da mantenere. Era una persona molto saggia in questo. In giro si parla anche di un suo presunto memoriale, ma le assicuro che non ne avrebbe mai fatto uno. Ho vissuto con lui per trentotto anni, e so che mai avrebbe lasciato delle prove. Ne parlavo proprio qualche giorno fa anche con mia cognata, la vedova di mio fratello, e mi ha confermato che con lei Ivo non ha mai parlato di Ustica. Mi ha riferito però di averlo sentito dire, parlando con un suo amico, il generale Mura, che non era convinto dell’ipotesi della bomba a bordo. Ricordo che un giorno, era poco prima di Natale, stavamo parlando e gli chiesi cosa pensasse della Strage di Ustica, ma mi rispose di non avere la più pallida idea su cosa potesse essere successo. Sapere tre anni dopo la sua morte che lui la sera del 27 giugno 1980 era in volo e che aveva visto qualcosa mi riportò alla mente quella domanda che gli feci.
Se guardando semplicemente alla storia dell’incidente di Ramstein, ed a quella dei piloti che vi sono deceduti, non possono non sorgere spontanei numerosi interrogativi, dopo aver ascoltato le parole di Giancarlo Nutarelli questi interrogativi iniziano a pesare come macigni. Sono pochi gli aspetti chiari di questa vicenda che dura da ben ventiquattro anni. Mario Naldini ed Ivo Nutarelli – ed ovviamente Giorgio Alessio – sono nostri militari caduti nello svolgimento della loro funzione. Nel 1988 questi piloti erano parte del nostro orgoglio nazionale, ed i resti dei loro aerei sono finiti nella bottega di un rigattiere. Voglio chiedere a Giancarlo quale sia oggi, rispetto alle vicende di Ramstein ma anche a quelle di Ustica, il suo maggior timore per il futuro: “Da Ustica sono passati trentadue anni, da Ramstein ventiquattro. Stanno aspettando che con il tempo ce ne andiamo via tutti. L’uomo non è eterno, e se sono passati trentadue anni vuol dire che allora eravamo ragazzi, ed oggi cominciamo ad essere delle persone di una certa età. Se ne passano altri venti il rischio è che non ci saremo più e che finisca tutto. La verità verrà cercata finchè ci sarà gente come l’avvocato Daniele Osnato, come la senatrice Daria Bonfietti, come il giudice Rosario Priore, i familiari delle vittime come Elisabetta Lachina, Francesco Pinocchio, Emma Ongari e tutti gli altri, come i familiari delle vittime di Ramstein.”.
Quello dell’incidente di Ramstein è un filone investigativo che anche l’avvocato Osnato sta seguendo con attenzione. Solo recentemente, infatti, gli è stata consegnata dall’Aeronautica Militare una relazione redatta nel 1988. “Da questa relazione – mi spiega l’avvocato – emerge un errore del pilota solista, che doveva incrociare il proprio volo con gli altri nove aerei. L’Aeronautica in quella relazione assegna la responsabilità ad un errore del pilota, ma con tutta franchezza io ho persone che, specializzate nel settore pongono ancora diversi quesiti su questa soluzione che probabilmente è un po’ sbrigativa. Non per questo dico che non sia la realtà dei fatti, ma è quantomeno singolare ed io non credo che ci sia solo un errore del pilota dietro all’incidente. Può esserci anche un difetto tecnico dell’aereo pilotato dal solista: da qui a capire se è un difetto tecnico voluto o meno, spero di poterlo scoprire. Ma non si tratta solo di un errore del pilota, questo è chiaro”.
Le morti sospette legate alla Strage di Ustica non si fermano qui. E’ un terreno scivoloso, in cui il confine tra la serietà che richiede un’indagine e la fantasia di chi fa solo speculazione può diventare molto labile. Come le strane circostanze che avvolgono la morte del maresciallo Dettori, carabiniere di turno alla stazione radar di Grosseto la sera del 27 giugno 1980, impiccatosi sei anni dopo in circostanze che gli inquirenti definirono innaturali. “Le dico anche di più – aggiunge Osnato – qualche giorno dopo, in uno stranissimo incidente stradale muore anche il comandante di Grosseto, che va dritto ad una curva senza nessun motivo. Ci sono molte morti sospette intorno ad Ustica, ed ovviamente con la distanza dei trentadue anni sarà difficile trasformare queste morti sospette in morti volute. Resta comunque il fatto che si è fatta veramente terra bruciata intorno a tutti coloro che potevano riferire, e si è creata una condizione di “buco nero” che poi paradossalmente si ritorce contro i ministeri stessi: è un fatto, che io e lei adesso dopo trentadue anni parliamo del mistero di Ustica. Come nascondere l’unica verità di Ustica: è un mistero, nel senso che sono morti tutti quelli che potevano riferire, sono stati cancellati tutti i tracciati di tutti i radar che avrebbero dovuto e potuto registrare, sono state fatte sparire tutte le carte più rilevanti, e quelle che abbiamo trovato le abbiamo trovate per caso, durante ispezioni banali per altre motivazioni, chiuse in armadi e scampate da questa devastazione documentale. E tutto questo è un fatto”.
Nella sua requisitoria, il giudice Priore dichiara che, riguardo queste morti sospette, “gli indizi non raggiungono il grado di prova”… “In verità Priore non poteva fare tutto – mi spiega l’avvocato. Ha istruito quasi due milioni di atti, è ovvio che tra l’altro non avesse gli atti di Ramstein. Noi attualmente stiamo svolgendo delle attività difensive su questo episodio perché vogliamo capire fino in fondo cosa sia successo. Personalmente non credo all’errore del pilota Nutarelli perché abbiamo rilevato particolari incongruenze che non sono compatibili con le capacità tecniche che aveva questo pilota. Con grande meraviglia e soddisfazione ho notato un dietro front da parte dell’aeronautica militare: in particolare negli ultimi tempi c’è una diversa collaborazione nei confronti sia miei che delle istituzioni, un po’ come se avessero il desiderio di rinfrancare la propria immagine nei confronti di quello che si è detto dell’Aeronautica Militare. Ed in tutta franchezza questo mi fa piacere, perché non è giusto infangare un’intera arma dove operano migliaia di persone per bene sulla scorta di qualche atto o fatto od omissione commessa nel 1980 o negli anni a seguire da qualche generale che ha fatto solo carriera o da qualche collaboratore processuale. Tanto di cappello a chi all’interno dell’aeronautica mi ha reso disponibili determinati documenti, onore a chi a questo punto ha capito che forse sono stati commessi degli errori in questa vicenda e sta cercando di porre dei rimedi. Probabilmente molto in ritardo, ma in linea di massima ben vengano queste prese di posizione, perché dimostrano il coraggio di essere cittadini italiani”.
Ipotizzare che l’incidente di Ramstein abbia avuto come fine l’eliminazione dei piloti Naldini e Nutarelli, testimoni involontari dello scenario legato alla Strage di Ustica, è una tesi di non poco conto. Come sottolinea anche Rosario Priore, è palese la sproporzione tra fini e mezzi. Per far tacere Naldini e Nutarelli sarebbe bastato mirare solo a loro due. Ma leggere la storia di Ustica e quella di Ramsten, ed archiviare tutto come una coincidenza richiede forse molto più coraggio che non affermare il contrario.
Potete darmi le coordinate Lat e Long del Punto Conder?
Potete darmi il tracciato delle AEREOVIE MILITARI A SUD DI PONZA?
Del “punto Condor” si parla (anche) all’interno della sentenza civile del Tribunale di Palermo risalente a settembre 2011 (http://www.stragi80.it/documenti/civile/palermo11.pdf) citandolo come “il punto in cui si è verificato il disastro”. Si può fare dunque riferimento alle ultime coordinate rilevate sul radar in corrispondenza dell’i-tigi. Allo stato attuale delle mie conoscenze, non esistono tracciati ufficiali di queste aerovie militari la cui esistenza emerge, ripeto, all’interno del processo di assise.