Matteo Messina Denaro e Falcone/3
Era il 24 maggio del 1992 in un pub di Marinella di Selinunte entrano Matteo Messina Denaro e i suoi fedelissimi,Giuseppe Fontana-Leonardo Ciaccio-Ciccio Clemente e Francesco Geraci.
Hanno voglia di festeggiare e ordinano Dom Perignon. Brindano. Brindano alla morte del giudice Giovanni Falcone e lanciano i bicchieri in aria. Matteo Messina Denaro si avvicina al bancone e chiede al padrone del locale,Antonio, se “i picciotti possono rompere i bicchieri, sai hanno voglia di festeggiare”. E parte il secondo giro di Dom Perignon e altri bicchieri volano in aria. Alla fine della serata “u siccu”, come lo chiamano, si avvicina alla cassa e chiede il conto. Sono 360 mila lire per le due bottiglie, uno dei suoi uomini ne caccia dal portafoglio 400 ma il boss lo prende e mette altri soldi sul banco “per il disturbo” e volta le spalle e se ne va.
Anche questo è Matteo Messina Denaro e chi ne parla è Antonio Pizzo, tecnico in pensione del comune di Castelvetrano che già negli anni 80 ha avuto modo di entrare in contatto con la famiglia che da sempre ha imposto la sua volontà su questa città. Antonio racconta di come questa parte della Sicilia fosse divisa tra tre grandi famiglie:i Saporito,i Briuccia e i D’Alì. Parla dei loro “campieri”:Clemente,Marotta e Francesco Messina Denaro. In effetti però i due erano sottoposti a “zu Ciccio”, era lui il capo indiscusso. Antonio racconta anche di quando accompagnò due ingegneri dell’ENI a parlare con i tre per valutare la possibilità di trovare quantità di tralci di uva per un progetto legato alle biomasse. Dei tre solo Marotta parlava italiano. Li ricevette nel baglio dei Briuccia, si accordò per una quantità indefinita di materiale e disse che potevano andare a nome suo da Messina Denaro. E così si avviarono verso quelli che erano i terreni dei D’Alì,risultati poi essere in effetti del vecchio boss che parlava solo siciliano e la cui preoccupazione era di capire quanto ne sarebbe arrivato a lui da un affare del genere. Di fronte poi alle perplessità dei due ingegneri che volevano sapere esattamente quanto legname sarebbe stato disponibile e in quale periodo, “zu Ciccio” decise di non parlare più con quei continentali che non capivano che la sua parola valeva più di una carta scritta e disse semplicemente alla moglie “Portaci qualcosa di viveri a chisti cristiani” e si chiuse in cupo mutismo.Gli ingegneri e Antonio si alzarono e se ne andarono. Per Pizzo il figlio Matteo è ancora peggio del padre.Lo definisce “un cane” e dice anche che ha usato la gente intorno a lui fino a che gli ha fatto comodo e poi l’ha mollata al proprio destino. In paese , se così si può definire Castelvetrano un comune di oltre 30mila abitanti, si dice per esempio che il pentimento di Francesco Geraci abbia avuto la benedizione dello stesso Matteo tanto che la famiglia Geraci continua a vivere proprio nella cittadina trapanese, possiede gioiellerie e mai è successo nulla a nessuno di loro.
Ma di Matteo tanto si dice in città e nelle vicinanze anche che sia qui, che lo abbiano visto un po’ ingrassato. Matteo aleggia comunque su questa città, per i murales che appaiono in vari luoghi, per le attività commerciali nate sotto il suo controllo (come il centro Belicittà del suo cassiere Grigoli) e per quella figlia che frequenta un liceo locale. Una adolescente che inizia ad avere i primi amori, che subisce i primi divieti, a cui è stata data una guardia del corpo, il cugino che frequenta la stessa scuola. Inizia a sentire il peso del cognome che porta e della famiglia a cui appartiene. Cosa sceglierà? Di diventare come sua madre che vive reclusa un casa? E che per andare a trovare i suoi parenti in ospedale deve uscire di notte? O invece sceglierà di essere come i suoi compagni di scuola che il 23 maggio sotto una pioggia battente hanno scelto di essere con lo Stato e la legalità?
la decisione della sig.ra preside del Liceo M. Cipolla di Castelvetrano, che si è opposta a che venisse intitolata a PEPPINO IMPASTATO ed a RITA ATRIA l’aula magna dell’istituto mi fa venire alla mente un passo dei promessi sposi ” Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro.” alla luce di questa modesta citazione la inviterei, signora preside, a riflettere sul messaggio che questa sua decisione può trasmettere a tutti quei giovani e non che fino ad oggi hanno profuso le loro energie, spesso pagando di persona, nella lotta contro la mafia, alla grande funzione educativa che hanno avuto, nella terra del boss messina denaro, le iniziative del suo predecessore portate avanti insieme ai suoi studenti ed a tutte quelle forze sane della società che lo hanno coadiuvato. Non le si chiede, signora, di prendere la spada per la punta, non si può certamente inventare il coraggio in chi il coraggio non lo ha, ma semplicemente di dare esempio di senso del giusto, di essere all’altezza dei suoi studenti.
Il ristorante Roccalonga è gestito da una s.r.l. “il Sole e Luna” impegnata nella promozione della lotta alle attività criminali, finalizzate a controllare determinati settori delle attività economiche e commerciali.
Io Antonio Pizzo, architetto, ne sono il legale rappresentante, da sempre impegnato nella salvaguardia del territorio contro le azioni delle varie “bande di valorizzatori”- speculatori che sistematicamente negli ultimi 40 anni si sono accaniti contro uno sviluppo intelligente e democratico del nostro territorio, sono anche uno dei fondatori della sede locale di Libero Futuro che da tempo ho aderito a Consumo Critico e a Professionisti Liberi.
Nel ristorante che dirigo, tributo alla legalità, dove, con tutti gli errori e le incertezze degli uomini, ci si sforza di proporre piatti della cultura gastronomica locale utilizzando prodotti del nostro territorio, non solo non si pagano tangenti al racket delle estorsioni ma tutti gli approvvigionamenti necessari all’attività provengono da fornitori che se non proprio aderenti a Consumo Critico sono delle persone oneste lontane da ogni contaminazione mafiosa.
La mafia, connubio tra politica corrotta e criminalità organizzata, piovra che imprigiona tra i suoi tentacoli piccoli e grandi criminali, ambiziosi, prepotenti, ignoranti e disperati, regalando ad ognuno di essi una fetta di illusorio potere, al solo scopo di costruire attorno a se tale complicità da consentirle di prosperare impunemente, ha affamato, sfruttato, usato la nostra terra impoverendo le sue genti per meglio incantarle col miraggio del privilegio in cambio di omertà e servilismo.
Ma come diceva l’eroico Magistrato dott. Paolo Borsellino “ Se la gioventù le negherà il suo consenso anche la onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo” ed io aggiungo: “al sorgere del sole”
Perché è la LUCE, quella della CONOSCENZA che decreterà la sua fine.
ROCCALONGA, nella terra del boss Messina Denaro, in una realtà sociale difficile ed apatica a tratti pericolosamente schierata si propone dunque come cantiere di sperimentazione di questa lotta per la LIBERTA’ come esperienza di crescita in una società “ripulita” da ogni “scoria del malaffare mafioso” nella speranza di essere da esempio e stimolo ad altre cento, mille imprese sane.
CON LA MAFIA IL BUIO DEL SCHIAVITU’ SENZA LA MAFIA LA SPERANZA DELLA LIBERTA’ E DELLA CRESCITA SOCIALE
la vicenda del capitano De Falco mi fa pensare ad una mia esperienza personale di quando ero funzionario del comune di castelvetrano e curavo nell’ambito dell’uff. urbanistica la sezione tutela del territorio ed abusivismo edilizio ( uff. contenzioso ). Nell’ estate del 2005 poco prima che andassi in ferie, ero in ufficio attendendo ai miei compiti istituzionali quando si presentano due rappresentanti dell’arma dei carabinieri della stazione di Marinella di Selinunte che come sempre nelle stesse circostanze mi invitavano, con regolare atto di precetto, a seguirli per effettuare un sopralluogo congiunto presso la foce del belice, riserva naturale, per la verifica della regolarità urbanistica di un intervento edilizio sull’arenile. Giunti sui luoghi notavamo che era in corso una cerimonia( inaugurativa ?) presieduta dall’allora presidente della provincia s.ra giulia adamo a cui partecipavano funzionari del comune, consiglieri comunali e tanta folla, il tutto ripreso da radio e televisioni locali. Finita la cerimonia siamo intervenuti ed io, con l’ausilio dei carabinieri ho proceduto al rilievo di quanto realizzato sull’arenile. si trattava di camminamenti, piattaforme e gazebo in legno che in parte realizzate sulle dune ed in parte sull’arenile erano destinate ad ospitare i fruitori degli alberghi realizzati lungo la strada consortile del belice. fatti i dovuti rilievi e tornato in ufficio per gli ordinari accertamenti costatavo che la pratica relativa a quanto poco prima verificato, intestata alla soc. Megaservice di cui peraltro la provincia faceva parte, era sospesa e quindi l’intervento non autorizzato perchè la stessa, incompleta, mancava dei necessari nulla osta della soprintendenza ai BB.CC.AA di trapani, della capitaneria di porto di mazara del vallo e dell’assessorato provinciale territorio ed ambiente. l’intervento quindi era abusivo.
Redigevo dunque una relazione tecnica descrivendo l’intervento e l’abuso in riferimento alle leggi vigenti e la consegnavo ai carabinieri perchè fosse allegata alla comunicazione di notizia di reato da trasmettere alla procura di marsala, da parte mia relazionavo anche alla capitaneria di porto di mazara del vallo ed alla soprintendenza ai BB.CC.AA di trapani.
Il giorno successivo partivo per le mie ferie.
Con grande sorpresa al ritorno in ufficio, mi fu comunicato che il nostro caro, generoso ed attento sindaco gianni pompei nel frattempo mi aveva rimosso dal coordinamento del mio ufficio e trasferito senza alcuna mansione all’uff. fantasma della protezione civile senza alcuna mansione.
La concessione edilizia per la realizzazione di quanto da me denunciato non fu mai rilasciata ed il procedimento penale nei confronti di chi allora realizzò le opere abusive rilevate mai celebrato.
Antonio pizzo.
Sto pensando, assieme ad alcuni amici, alla fondazione di un nuovo organismo che lontano dagli schemi e dalle logiche di organizzazioni soffocate da ruoli e manie di protagonismo di alcuni loro rappresentanti si occupino di lotta alla mafia ed alla politica corrotta. Un gruppo di donne e di uomini liberi, capaci di lavorare insieme, condividendo ogni momento del loro impegno in un continuo scambio di idee ed esperienze di formazione e di crescita, un collettivo di lavoro volontario, lontano dalla logica degli <> dell’antimafia che usando il “sapere ” a loro, e solo a loro concesso, esercitano potere sui “subordinari” su chi, da volontario, da combattente vero si è schierato a favore della legalità. Un gruppo unito dunque che si prefigge, in collaborazione con le forze dell’ordine e la magistratura, di contribuire alla crescita sociale della nostra comunità. Ed è a proposito di questo impegno che voglio scrivere, oggi, di due avvenimenti che hanno stimolato il mio interesse. Si tratta degli incendi che hanno distrutto un ristorante a marinella di selinunte ed uno a trefontane. Ufficialmente in entrambi i casi si è trattato di cause accidentali dovute alla vetustà dell’impianto elettrico che ha generato un corto circuito ma c’è chi parla di invidie altri dell’azione di qualche balordo che irritato da uno sgarbo subito si è vendicato. Quali che siano state le cause sugli “incidenti” è, comunque, calato il silenzio, l’indifferenza ha soffocato ogni interesse da parte dei media. Eppure è cosa strana che nella stessa stagione, due locali, nello stesso periodo, possano essere stati distrutti o pericolosamente danneggiati a seguito di due “incidenti” del tutto identici. Purtroppo in questa nostra povera-straordinaria terra non siamo nuovi ad episodi di tentate estorsioni da parte della delinquenza organizzata che si concludono con punizioni di questo genere, atti intimidatori o punitivi come l’incendio di case, macchine o attività commerciali hanno da sempre caratterizzato l’ opera di convincimento messa in atto dai malavitosi per soggiogare commercianti ed imprenditori che, restii a capire che rivolgendosi alle forze dell’ordine ( come per fortuna sempre più spesso oggi accade ) possono liberarsi e liberare gli altri dalla prepotenza di questi luridi aguzzini, cedono alla paura subendo passivamente la violenza dei danni subiti o pagano per non subirne. Per quanto la lotta senza quartiere messa in atto da magistrati coraggiosi insieme a carabinieri e polizia abbia inferto colpi mortali all’organizzazione mafiosa i disperati sono ancora convinti che la mafia protegge gli amici creando lavoro e sviluppo mentre lo stato li piega alla disoccupazione. E’ così che il potente padrino messina denaro è visto, come un potente, occulto imprenditore che vince da anni la sua partita contro lo stato, come un “protettore”che ha creato, con le sue attività apparentemente lecite, centinaia di posti di lavoro garentendosi omertà e favoreggiamento in cambio di illusorio potere concesso ai suoi fedelissimi. Un potere, quello mafioso, che si regge sulla paura, sul traffico di uomini, armi e droga, sull’assassinio di quegli uomini coraggiosi che lo hanno combattuto in nome della giustizia e della verità.
Ho scritto, qualche settimana fa, del mio ristorante “Roccalonga” di marinella di selinunte, del mio impegno nell’antiraket e del piccolo contributo, aderendo a Consumo Critico, che con questa attività dò alla lotta contro le estorsioni che l’associazione “Libero futuro”, della cui sede castelvetranese sono uno dei fondatori, conduce con successo ormai da anni. E’ dal 1970 che mi occupo di ambiente, in quegli anni ho fondato, insieme ad altri, nella nostra città “Urbanistica Democratica” ed attraverso essa ho cercato di contrastare le speculazioni edilizie e lo scempio del territorio che hanno saputo fare quei pochi scaltri, arricchiti cittadini che sapevano “vedere” lontano, ma solo nella direzione dei loro profitti. Gente senza scrupoli che protetti da mafiosi e politici e con la complicità di tecnici comunali collusi hanno distrutto buona parte dei beni paesaggistici ed architettonici del nostro territorio. A poco o a nulla è valso essere riusciti a realizzare sulla costa castelvetranese la riserva naturale del fiume belice, stranieri ottusi divenuti sindaci della nostra città in combutta con faccendieri ed imprenditori mafiosi prima l’ harnno deturpata distruggendo le dune di quella sabbia di cui hanno fatto commercio arricchendosi, poi costruendovi una orrenda struttura alberghiera che non solo non ha arrecato, contrariamente a quanto promettevano, alcun beneficio economico in nome del quale avevano ottenuto la benevolenza dei semplici, ma che ancora oggi sottrae risorse alle attività alberghiere realizzate dentro marinella, ancora oggi rappresenta un’invito alla violazione delle norme di salvaguardia della riserva, ancora oggi stimola in altri “imprenditori” l’interesse a costruire altri alberghi rubarisorse, quali quelli realizzati a ridosso della riserva, che nulla concedono, in termini di benefici economici alla nostra città, Alberghi che continuano a mettere in serio pericolo l’equilibrio di quello straordinario tratto di costa lungo il quale hanno realizzato rozze e pretenziose “zone d’ombra” tratti di costa cui loro stessi,carnefici, nella pubblicità delle loro squallide attività, decantano la bellezza.
Untempo, tanto tempo fà (1971)Fulco Pratesi e Franco Tassi dopo avere decantato le suggestive bellezze di questo paesaggio dunale scrivevano sulla costa alla Foce del Fiume Belice nella loro guida alla natura di sicilia:”In questa zona, battendo la spiaggia all’alba, può capitare la grande emozione di vedere sulla sabbia le grandi e caratteristiche tracce <> delle tartarughe marine che sono giunte la notte per depositare le uova in una buca scavata faticosamente : se dovessero avverarsi le previsioni degli<>del luogo, tutto questo incanto svanirebbe, lasciando al suo posto teorie di ombrelloni, sedie a sdraio, tutta una sovraffolata umanità sudaticcia e ustionata. Non c’è veramente da guadagnare nello scambio.E’ quello che a causa di pochi miserabili ignoranti è successo.
A proposito dell’articolo di cui sopra che riporterebbe delle dichiarazioni da me fatte alla Sig.ra Aprati voglio precisare quanto segue:
ricordo perfettamente che nel corso di un pranzo in un ristorante di marinella in compagnia della sig.ra aprati ed altri amici comuni, questa mi abbia chiesto se conoscevo matteo messina denaro e cosa pensassi di lui, non è facile, dissi, definire una figura così complessa come quella di messina denaro, mafioso dalle mille sfaccettature. Un mafioso gentiluomo con chi ne chiedeva l’aiuto, uno spietato persecutore di chi gli era “nemico”, è questa, dicevo, la considerazione che hanno del boss i castelvetranesi, ed è per questo che difficilmente, in paese, se ne sentirà parlare male. Io stesso, frequentando a marinella, un tempo, la stessa terrazza-bar di M. D. non ancora latitante, ho avuto modo di constatare con quanta misurata cordialità si relazionava ai camedieri che lo servivano, ai quali lasciava laute mance, ed al proprietario. Ho raccontato alla Sig.ra anche di un altro episodio che mi aveva colpito molto, una sera stavo dando una mano ad un mio amico proprietario di un pub a castelvetrano quando entrò nel locale M.D. in compagnia dei soliti amici ciaccio, geraci, clemente ed un forestiero che non conoscevo, non c’era affatto Giuseppe fontana, si sedettero ad un tavolo ed ordinarono il famoso dom perignon di cui parla la Aprati, brindarono e subito dopo gettarono i bicchieri a terra rompendoli tutti tranne m.d. che si alzò venne al banco e chiese il permesso di potere rompere i bicchieri con cui brindavano, gli fu detto di si e dopo qualche giro di brindisi, andando via scusandosi per la dannosa esuberanza dei suoi amici pagò non solo lo champagne ma anche i bicchieri che erano stati rotti. non so a chi o a che cosa avessero brindato non l’hanno sicuramente comunicato a me ed io non potevo a mia volta dirlo alla giornalista. Ho parlato con la sig.ra anche di ciccio geraci e del fatto che sono del parere che quello che ha rivelato alle forze dell’ordine non era così determinante da incidere sulla realtà e sicurezza di m.d. altrimenti come ogni collaboratore di giustizia secondo il codice mafioso sarebbe stato oggetto di rappresaglie sia lui che i suoi familiari. Per Pizzo, come garbatamente e rispettosamente mi chiama la sig.ra aprati, m.d. è un potente e pericoloso criminale, più determinato ed inflessibile del padre nell’amministrare il proprio potere. il vecchio reggente” don ciccio” apparteneva ad una cultura mafiosa legata alle proprietà agrarie, al latifondismo, matteo è la modernità è un imprenditore.
è indicativo l’episodio dei tecnici dell’eni, di cui parlai all’aprati, questi erano venuti in cerca di tralci di vite, materia prima per la produzione sperimentale di pannelli compensati, li portai presso le aziende agricole più importanti della zona tra queste anche quella amministrata dallo “zu ciccio” come viene chiamato ancora oggi il vecchio boss a castelvetrano. la cosa che nel corso della trattativa tra i tecnici e il patriarca mi colpì particolarmente e che ho cercato di mettere in evidenza fu che questi non concepiva, lui abituato ad impartire ordini ed a dare disposizioni indiscutibili, il fatto che questi forestieri non si rendessero conto che per avere a disposizione la materia prima che chiedevano, quale che fosse la quantità, era sufficiente la sua parola che era garanzia, più di qualsiasi contratto o altro accordo scritto.
Evidentementemente non ho saputo dare al racconto la giusta enfasi e la sig.ra aprati ha colto solo il fatto che messina denaro padre non parlava in italiano.
con questa mia non intendo cantare le lodi di m.m.d. che per me, lo ripeto è e resta un pericoloso, spietato capomafia reo di tutto quello che gli viene addebitato, con questo scritto voglio contestare quello che ha scritto la sig.ra aprati, credo fermamente nella libertà di stampa e nella grande funzione formativa ed informativa del giornalismo ma aborro le manipolazioni, le mistificazioni finalizzate, a qualsiasi costo, solo a rendere più esplosive le notizie. un giornalista serio riporta ciò che gli viene raccontato e sopratutto le riporta fedelmente e se ciò che acquisisce non è sufficientemente clamoroso certamente non lo manipola, semmai non lo pubblica.
vorrei acora precisare che le famiglie sapoprito,briuccia e dalì erano solo ricche famiglie di latifondisti e che non avevano nè hanno nulla a che fare con la spartizione mafiosa dell’ isola. ed ancora, io non so quale sia la condizione familiare di m.m.d. nè quanti figli abbia ma se anche lo sapessi non mi permetterei mai di fare delle valutazioni sulla loro condizione psicologica ancora di più se qualcuno di loro, ancora adolescente dovesse cominciare ad avvertire il peso del cognome che porta, sarebbe a mio parere indicaticvo del fatto che qualcosa che potrebbe indurla al cambiamento si muove e se potessi semmai la sosterrei. mi sconcerta la capacità di persone come laura aprati di conoscere con tanta dovizia di particolari organizzazione ed abitudini della famiglia m.d. .
credo che la sig.ra aprati abbia letto male i suoi appunti ed il suo articolo contiene molte più cose che avrebbe voluto sentire piuttosto che non quelle che ha sentito. io, antonio pizzo, sono una persona onesta, ed ho una opinione molto critica, di profonda condanna del fenomeno mafioso e di tutto ciò che è sopraffazione, malaffare, sorpruso, violenza, delinquenza organizzata ed a mettere in evidenza tutto questo pensavo nel corso di quel pranzo a marinella non a raccontare tutta una serie di storielle senza fondamento, da bar dello sport…….del nord.
Antonio Pizzo