Essere clochard/Prima puntata
(di Angela Corica)
Censire, insieme al paese visibile, anche quello nascosto. Dare un nome ai tanti volti che affollano le piazze delle grandi città. Gente comune senza una fissa dimora che dalla sera alla mattina si trova sulla strada, escluso dal contesto economico e sociale. Il mondo dei clochard, dei senzatetto, è variegato e complesso. Un fenomeno esploso da diverso tempo anche nel nostro Paese e sempre in maggiore espansione. Sono 727 gli enti e le organizzazioni che, secondo l’indagine presentata il 3 novembre 2011 nella sede romana dell’Istat, hanno erogato servizi alle persone senza dimora nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta la rilevazione promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dalla Fio-Psd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora), dalla Caritas Italiana e dall’Istat. L’obiettivo della ricerca quello di definire un quadro di conoscenza sul fenomeno delle persone senza dimora, il loro status e il profilo, il sistema dei servizi. L’homelessness soffre da tempo di una cronica assenza di attenzione da parte del legislatore per la mancanza di consapevolezza della sua specificità anche a causa della mancanza di una sua stima precisa e aggiornata. La ricerca in questione, infatti, segue e integra quella avvenuta circa 10 anni fa e che vede come risultato un calcolo di 17mila persone presenti in Italia in condizione di grave emarginazione. In questi anni il numero dei clochard è certamente cresciuto, se non raddoppiato, e si è assistito alla quasi scomparsa delle politiche pubbliche, non solo emergenziali, a sostegno delle persone senza dimora. Residenza in Italia significa aprire un contratto, essere iscritti alle liste elettorali del Comune per votare e avere anche un peso politico. Significa aprire una partita Iva e avviare una attività, accedere all’assistenza sanitaria che è riservata ai residenti del luogo, presentare una domanda come nullatenente per l’accesso all’edilizia popolare, iscrivere un figlio a scuola, ottenere prestazioni previdenziali e assistenziali spettanti dall’Imps. Un mondo complesso quello dei clochard, perché diversi sono i motivi che ti portano a vivere in strada, in case di cartone, fra buste di plastica colme di coperte e qualche straccio. Non sono solo stranieri ma anche italiani coloro i quali vivono in condizioni di povertà estrema, perché hanno perso il lavoro, perché hanno subito maltrattamenti o violenze in famiglia o perché quello che guadagnano non è sufficiente a pagare l’affitto. Non c’è alternativa alla strada e la vita diventa non vita, si va avanti in condizioni disumane. Ognuno inventa quel che può. Molti bevono o soffrono di disturbi mentali. Rimangono comunque invisibili e abbandonati a se stessi, ai margini della società. Soffrono in silenzio e, nella peggiore delle ipotesi, perdono la vita per il gelo invernale o per il caldo che ti toglie il respiro. Tuttavia, in questo scenario complesso, emergono i casi di persone assolutamente geniali, eccentriche ed ultraliberitarie che hanno deciso di rinunciare al possesso di ogni bene materiale. Tra questi il matematico russo Grigori Perelman (noto per aver dimostrato la congettura di Poincarè) oppure Pablo Picasso che nel suo ‘Periodo blu’ pare abbia vissuto come un barbone, girovagando dapprima a Parigi poi in altri posti. D’altra parte, però, diversi sono gli esempi di solidarietà e volontariato come il lavoro della Caritas o della Comunità di Sant’Egidio. Malitalia proverà ad entrare nel mondo dei clochard per fotografare questa complessità attraverso diversi contributi che seguiranno nelle prossime settimane. Un esperimento difficile soprattutto quando si parla dei casi italiani. Il senso di vergogna e frustrazione porta queste persone a chiudersi e isolarsi sempre più.
DIVENTARE CLOCHARD
(di Francesco Perrella)
A volte ci vuole meno di quanto possiamo immaginare. A volte può volerci molto poco, nella pessima congiuntura che sta attraversando la nostra economia e che, al di là dei dati con cui giocano i tecnici, colpisce le nostre vite al minuto, e può cambiarle radicalmente. Metti di perdere il lavoro, o di subire una drastica decurtazione di orario per quel lavoro magari del tutto in nero, che rende nero anche il tuo avvenire. Metti che prima o poi si esauriscano i pochi risparmi, gli aiuti dei parenti o degli amici, quella mano che ti è costato moltissimo chiedere. E intanto la banca o il padrone di casa continua ad esigere quanto gli spetta, e potrà aspettare un mese, due, tre, ma prima o poi ti toglierà anche quel tetto da sopra la testa. Non è cosi difficile doversi trasferire a dormire in macchina, o nei dormitori in cui con pochissimi euro a notte puoi garantirti almeno un riparo dal freddo e dalla pioggia. E’ molto sbagliato pensare che i nuovi senza tetto siano totalmente stranieri. E’ vero, la percentuale di immigrati, molte volte clandestini, è alta ma non sempre maggioritaria. Anche queste, storie che abbiamo imparato a conoscere. Dove pensate che vadano a finire, quelli che sopravvivono ai viaggi per mare e svicolano i centri d’accoglienza? Quando non sono assorbiti dal nostro tessuto economico, spesso rimangono fuori anche da quello sociale. Ed è questo tipo di esclusione la più drammatica. Pensare che i ghetti siano retaggio di un oscuro passato è ipocrisia: ogni giorno nascono nuovi ghetti, nuove esclusioni. “Povertà” è un termine che può voler significare tante cose. Ed essere poveri di denaro a volte è solo il filo conduttore di altri tipi di povertà: povertà di parole, povertà di contatti umani, povertà di diritti.
LA STRADA ACCOGLIE TUTTI
(di Elisabetta Cannone)
Vivono ai margini delle nostre vite, sui marciapiedi o nei parchi delle città, schivati, guardati velocemente dai passanti. Li chiamiamo emarginati, senza tetto, homeless, e se si e’ abbastanza romantici clochard. Definizioni che racchiudono tutti quelli che vivono per strada in un unico popolo, senza identità. Ma ognuno di loro potrebbe raccontare un lavoro andato un fumo, una fortuna dilapidata, o magari una scelta di vita alternativa. Perchè assieme alle persone che soffrono di disturbi psichici, agli anziani senza più nessuno, c’e’ anche chi, questo tipo di esistenza, la fa per scelta. Forse pochi, a fronte di tanti – molti gli anziani – che si ritrovano sui marciapiedi, a trascorrere la giornata semi cosciente, ubriaco di vino scadente, sporco, mal vestito, abbrutito da violenze quotidiane subite in silenzio. Affrontano il giorno e la notte in compagnia di un cane o di un altro clochard. Un amico forse o più semplicemente qualcuno con cui scambiare poche parole o un solo sguardo. Come le due donne che da anni ormai vivono in una delle piazzole vicino alla stazione Termini. Sempre unite, vicine ai loro cumuli di stracci, gli averi raccolti in tanto tempo passato per strada. Difendono il loro “appartamento”: due carrozzine su cui c’e’ di tutto, vestiti, buste, cianfrusaglie e coperte.
Italiani o stranieri, vecchi o giovani, uomini o donne, da soli o in compagnia, la strada alla fine accoglie tutti senza distinzione, non guarda in faccia nessuno. E ogni angolo della città diventa un letto dove dormire.