Lega Nord, tra paradossi e vizi da prima Repubblica

Per quante motivazioni ci si può buttare anima e corpo nella mischia politica? Per interesse, certo. Perché credi in un programma, ovviamente. Per combattere una battaglia, anche. Più raramente la spinta aggregante della base di un partito ha ragioni che scavano più profondamente in sentimenti come la fedeltà. Fedeltà ad un leader, ad un programma, ad una vita di partito che si radicalizza a tal punto da diventare tradizione. Uno di questi partiti, probabilmente l’unico attualmente, è la Lega Nord, la cui vera forza probabilmente sta proprio nelle motivazioni che sono alla base del sostegno che gli viene garantito dai sostenitori: fedeltà alla causa ed al leader. Valori in cui devono riconoscersi tutti gli iscritti, dall’ultimo arrivato fino ai massimi vertici, per permettere al partito di affondare saldamente le proprie radici nel tessuto sociale e godere di quell’aura di irreprensibilità che tanto le è cara, che vorrebbe idealmente accomunare gli elettori al proprio rappresentante, farlo insomma sentire “uno di loro”. Davide Boni, il presidente leghista del Consiglio regionale lombardo, ora indagato nell’ambito di un’inchiesta su un giro di tangenti che ammonterebbe a oltre un milione di euro, è un esempio di uomo di partito verde: fedele al leader Bossi (arrivò a dire, indossando una giacca scura, “se Bossi mi dice che questa giacca è bianca, il farò di tutto per convincervene”), lealmente attaccato alle battaglie storiche del movimento: immigrazione, salvaguardia delle pensioni, federalismo. Ed a quel volto pulito del partito: “nella Lega reati di questo genere non sono ipotizzabili. È automatico che chi viene accusato di corruzione deve prima di tutto togliere dall’imbarazzo il Movimento e poi, se ha sbagliato, deve pagare”, aveva affermato un anno fa, commentando l’arresto di due assessori bresciani accusati di corruzione. Ed anche oggi, mentre Bossi si butta sul genere “giudici politicizzati”, Boni si dichiara totalmente estraneo ai fatti e ben disponibile a chiarire la sua posizione. Ma questo è solo un aspetto, l’ultimo, di un partito che vive perennemente in equilibrio tra l’immagine che vuole dare di se e ciò che è, tra quello che professa e quello che pratica davanti all’opinione pubblica. “Lega Nord, un paradosso italiano in cinque punti e mezzo” è il titolo di un libro (edito da Laruffa) in cui Luigi Pandolfi, blogger e saggista, analizza proprio questo status quo di uno dei movimenti politici più controversi della scena politica italiana dal dopoguerra. Cerchiamo di capire insieme a lui cosa c’è oltre questa tumultuosa immagine pubblica, apparentemente indistruttibile ed immutabile.

Nel suo libro definisce la Lega Nord come un “paradosso”. Come mai?
Il termine paradosso, nel libro, è riferito a cinque questioni che io prendo in esame, che riguardano il profilo identitario di questo partito, che lo rende in qualche modo assimilabile alle principali formazioni politiche dell’estrema destra europea. Il primo paradosso consiste nel fatto che un partito con queste caratteristiche in Italia trovi spazio e legittimazione nel sistema democratico, mentre in altri paesi europei formazioni politiche omologhe sono generalmente tenute ai margini del sistema politico, ed in alcuni casi addirittura sottoposte a censura da parte delle autorità dello Stato.

Mi viene in mente il Front National francese, guidato da Marine Le Pen, un movimento politico che è in ottimi rapporti con la Lega e con alcuni suoi componenti come Mario Borghezio…
Qui occorre fare una distinzione, il fronte nazionale evidentemente è un partito di estrema destra, nazionalista, di tipo tradizionale, la Lega è un partito identitario ma regionale e territoriale. Ciò che accomuna questi partiti è il giudizio sull’immigrazione, xenofobia, la difesa del proprio orticello contro il rischio che loro paventano di contaminazione della nostra cultura, e poi anche la strumentalizzazione dell’immigrazione per quanto riguarda i temi della sicurezza. Per questi aspetti ci sono delle affinità, poi per il resto ci sono solo differenze.

Veniamo all’attualità. Il caso Boni, qualora fosse accertata la sua colpevolezza, non sarebbe indicatore del paradosso di un partito che si professa differente da tutti gli altri e che poi non riesce a rimanere fuori da certe pratiche non ortodosse?
Questo è uno dei paradossi che io ho esaminato anche nel mio lavoro. La Lega esordisce dal punto di vista politico ed elettorale nel pieno della crisi della prima repubblica. Si ricorderà il suo atteggiamento nei confronti dell’inchiesta Mani Pulite, un atteggiamento positivo, in quei giorni Bossi diceva “noi davanti a questa banda di ladri siamo qui per dire: avanti Di Pietro”. Dopodiché accade qualcosa che davvero appare sconvolgente e inaspettato, cioè questo partito, che aveva cavalcato con successo l’inchiesta Mani Pulite gridando contro la corruzione, ad un certo punto si ritrova invischiato in una vicenda, quella della tangente Enimont, che cambia radicalmente il loro atteggiamento nei confronti di Tangentopoli. Si passa quindi dal clima Di Pietro a “magistrati attenti che le pallottole al Nord costano solo 300 lire”. In queste ore anche su quotidiani nazionali gira l’immagine del deputato Luca Leone Orsenigo, che incitava la forca in Parlamento. Credo che rievocare quell’immagine sia qualcosa che ci porti lontano dalla verità, perché è un modo epr rappresentare ancora una volta l’immagine di un partito tutto sommato diverso, che ha avuto questo suo passato giustizialista ma che poi ha visto al suo interno dei casi di corruzione. Io credo che le cose stiano diversamente: l’immagine che in questo momento andrebbe proposta non è tanto quella del cappio esibito dal deputato Leone Orsenigo, quanto l’immagine di Bossi che siede sulla stessa sedia su cui si erano seduti i principali esponenti della Prima Repubblica dinanzi al PM di Mani Pulite. Quella è l’immagine chiave che dimostra una cosa secondo me molto semplice: la Lega è un partito che ha fatto appena in tempo ad entrare nella Prima Repubblica, ed il suo battesimo è avvenuto con la maxitangente Enimont. Da quel momento questo partito non è più uscito dalla Prima Repubblica, nel senso che oggi la Lega rappresenta forse l’ultimo partito della Prima Repubblica presente nel panorama politico italiano. Lo è perché è l’unico partito di quegli anni con lo stesso nome, lo stesso simbolo, lo stesso segretario, ma soprattutto con gli stessi vizi di quei partiti che il processo Mani Pulite spazzò via. Quest’ultimo caso, che è un caso grave – ovviamente, come si dice in questi casi, vale la presunzione di innocenza – testimonia ancora una volta questo rapporto ambiguo della Lega con il denaro, con fenomeni di corruzione.

Ha parlato del comportamento della Lega in Parlamento. Nelle aule il partito di Bossi ha sempre voluto darsi il ruolo di antagonista della casta, per poi ricorrere contro la riduzione degli stipendi parlamentari. La base come reagisce a queste contraddizioni?
Io credo che la Lega in questo momento sia in difficoltà, nonostante i sondaggi dicano che sostanzialmente il partito tiene. C’è una difficoltà di fondo però, perché queste contraddizioni alla lunga avranno effetto. Come per quanto riguarda i casi di corruzione che ci mandano indietro di qualche decennio, poi arriviamo ad oggi con il caso Boni ma c’è una miriade di casi sul territorio, nei comuni e nelle regioni che parlano di questa Lega non diversa, anche nel caso dell’atteggiamento del partito nei confronti di un tema sensibile che è quello dei privilegi della casta, la Lega afferma si una diversità, ma in negativo, perché si accredita come un partito più propenso a difendere determinati privilegi anziché combatterli come anche ipocritamente altre formazioni politiche fanno. Da questo punto di vista appare davvero contraddittorio e paradossale il suo atteggiamento, e credo che alla lunga questo pagherà in termini negativi presso il suo elettorato.

Negli ultimi mesi, dal divorzio con Berlusconi alla feroce opposizione al governo Monti, la Lega sta affrontando una stagione politica poco chiara. Cosa immagina per il suo futuro?
Penso che questo partito non scomparirà dal panorama politico italiano, ma immagino che per il futuro la Lega possa diventare una formazione politica di tipo regionale, con minor peso politico sulla vicenda nazionale. Non so se i rapporti con Berlusconi o il PdL potranno essere recuperati, ma credo che in prospettiva la stagione di una Lega paradossale, che delira contro Roma e contro lo stato unitario e poi occupa poltrone e condiziona la politica del governo sia irrimediabilmente finita. Immagino un futuro per questo partito circoscritto alla dimensione regionale, con un peso elettorale tutto da verificare.

(pubblicato su www.lindro.it)