Contro la mafia, la via del consumo critico
“Cosciente della gravità, della complessità e della capillare diffusione del fenomeno del racket e delle estorsioni nella realtà economica e produttiva siciliana, ritengo che tutto il tessuto sociale, economico e culturale nel quale agiscono gli operatori economici può e deve esercitare un ruolo attivo nella lotta contro il pizzo”. Questo è l’incipit del manifesto per la campagna del ‘consumo critico’ che prosegue: “Pertanto, in quanto cittadino e consumatore, consapevole del mio potere e della mia responsabilità, mi impegno a scegliere prodotti e servizi forniti da imprenditori, esercenti e professionisti che non pagano il pizzo e che essendo stati vittime di richieste estorsive ne abbiano fatto denuncia”.
Nel maggio del 2005 il comitato Addipizzo, con la pubblicazione del suo primo manifesto presenta ufficialmente la campagna ‘Contro il pizzo cambia i consumi’. La campagna si propone il duplice scopo di stimolare i cittadini alla responsabilizzazione, mostrando quale sia il potere dei singoli nel far valere il proprio diritto di spendere i soldi in esercizi commerciali ‘puliti’ e liberi dalle mafie.
Al contempo, la campagna cerca di incentivare gli imprenditori a prendere le distanze da ambienti mafiosi. Si tratta della prima esperienza di consumo critico legata all’estorsione:consumatori che orientano i propri acquisti verso una economia legale, premiando coloro che si oppongono al racket. Il consumo critico non è più basato soltanto su principi qualisostenibilità e rispetto ambientale ma guarda alla società e diventa motore della legalità.
Prima di arrivare al consumo critico, dunque, la Sicilia che si ribella alla mafia (Palermo in prima linea) è quella legata a Addiopizzo. L’associazione che nasce nel 2004 per scuotere le coscienze e organizzare la rivolta sociale contro Cosa nostra. In quel contesto, promuovere le denunce e la nascita di associazioni antiracket capaci di dialogare con le forze dell’ordine e la magistratura è stato il secondo passo. E così, dopo due anni è nata anche ‘Libero futuro’, la prima associazione antiracket che ha ’accompagnato’ i commercianti a denunciare.
In questo percorso verso la legalità si ricorda l’impegno di Mario Bignone, il primo funzionario ad avere seguito le denunce del gruppo, pronto ad ascoltare e dare consigli. Quell’uomo oggi non c’è più ma il suo impegno e il suo lavoro allo Sco, così come quello diTano Grasso (che invece ha mosso le fila per costruire l’associazione antiracket) è servito ad avvicinare concretamente le persone che volevano denunciare.
Dunque la triade dell’antimafia a Palermo, a partire dal 2004 è rappresentata da Addio Pizzo; Libero Futuro e Professionisti Liberi.
La prima come abbiamo detto è quella che poi ha definito le strategie del consumo critico che, coinvolgendo direttamente i consumatori, faceva diventare antiracket un movimento di massa, introducendo una distinzione che serviva a determinare un grande imbarazzo fra tutti quelli che invece convivevano con il fenomeno mafioso nel silenzio assoluto. Da ciò derivòpure la decisione di Confindustria di espellere chi paga il pizzo. Il consumo critico si è quindi rivelato uno straordinario deterrente contro le estorsioni ma, soprattutto, è diventato lo strumento per costruire un circuito economico di imprese solidali fra loro, capace di contendere all’organizzazione mafiosa pezzi di mercato o di territorio.
Le imprese col marchio ‘pizzo free’ hanno cominciato a collaborare fra loro e così è natoAddiopizzo Travel, che mette in rete quelle attività del circuito turistico o semplicemente il marchio Pizzo Free che contraddistingue i prodotti realizzati da imprenditori ‘puliti’ che portano anche fuori dall’Italia l’immagine della Sicilia che resiste e sa liberarsi dalla mafia.
Il successo più grande di Addiopizzo è Libero Futuro che, utilizzando l’esperienza della Fai (federazione antiracket italiana) e sotto la guida di Tano Grasso, ha accompagnato i primi imprenditori che denunciavano o collaboravano: L’Antica focacceria, l’azienda Guajana, Damiano Greco, Giorgio Scimeca di Caccamo, Ceraulo di Prima Visione, Todaro della Gelati Gallo, il bar Oriol, il supermercato Davì, sono solo alcuni dei tanti che l’associazione ha accompagnato verso la strada della denuncia. E adesso buona parte di questi imprenditori riesce a portare la propria esperienza e professionalità, oltre alla qualità dei prodotti, anche fuori dalla Sicilia.
Dall’esperienza di Addiopizzo e Libero Futuro, nel 2010 è stato redatto un Manifesto che i singoli Professionisti Liberi possono sottoscrivere e devono rispettare, pena la cancellazione dall’elenco pubblico che è consultabile sul sito www.professionistiliberi.org. Ci sono già adesioni da tutta Italia grazie anche alla collaborazione con la Fai e con Confindustria. Circa 1300 ProfessionistiLiberi sono tanti ma per vincere bisogna coinvolgere sempre più gente in tutta Italia.
“Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità” continua a ripetere uno dei referenti storici del comitato Addiopizzo, Enrico Colajanni: ’La forza dei consumatori per dare forza alla denuncia’ spiega. L’esperienza siciliana può essere ripetuta in altre regioni. Proprio Colajanni ha partecipato la scorsa settimana all’inaugurazione del Polo solidale per la legalità a Cittanova, in provincia di Reggio Calabria – città in cui è nata nel lontano ’93 la prima associazione antiracket (Acipac) grazie alle denunce di alcuni imprenditori. Inoltre, è stata aperta una bottega equosolidale che contiene i prodotti col marchio Libera terra e Pizzofree. Con Colajanni anche il coordinatore calabrese antiracket, Gaetano Saffioti e il presidente della Federazione delle associazioni antiracket italiane, Maria Teresa Morano.
La struttura è la prima nel Meridione ad essere stata finanziata completamente con i fondi del Pon sicurezza del Ministero dell’Interno ed è stata salutata come il nuovo ‘centro’ di promozione della cultura della legalità. La Fai sarà attenta agli imprenditori che denunciano con l’apertura di uno sportello informativo che sia da guida per chi sceglie di ribellarsi alla ‘ndrangheta e alla cultura dell’omertà.
L’obiettivo, come lo stesso Colajanni ha sottolineato, è rendere liberi tutti quegli imprenditori che scelgono la strada della legalità.
(Pubblicato su www.L’Indro.it)