Coca Cola, Rosarno e le arance

Non ci sono ancora molte certezze sul futuro del settore agrumicolo nella Piana di Gioia Tauro, a Rosarno. Dopo una inchiesta della rivista inglese ’The Ecologist’, ripresa anche dal quotidiano ’The Indipendent’, che documentava lo sfruttamento di manodopera nera per la raccolta degli agrumi – chiamando in causa anche la multinazionale Coca Cola, che per le bibite col marchio Fanta, utilizza i succhi prodotti nella cittadina calabrese, il colosso di Atlanta aveva annunciato di voler fare a meno del concentrato di succo prodotto a Rosarno.
Si cerca di evitare così il danno d’immagine a seguito del reportage pubblicato dai due giornali inglesi. Una notizia che in poche ore aveva creato scompiglio fra gli amministratori locali preoccupati per un settore già in crisi e le aziende che rischiavano di chiudere i battenti con il conseguente licenziamento di 50 lavoratori. Le ultime notizie fanno intravedere qualche spiraglio.
Pare che, infatti, la Coca Cola ci abbia ripensato e nel giro di qualche giorno dalla polemica, avrebbe deciso di tornare sui suoi passi o, quantomeno, di aprire un tavolo di confronto in cui coinvolgere tutti gli attori della vicenda. Smentendo la notizia della cessazione del contratto, la multinazionale ha chiarito pure che la paventata chiusura del contratto posta in essere con un produttore della zona, non sarebbe dipesa dal reportage della rivista ’TheEcologist’.
Fin qui i fatti. Certamente il caso merita una analisi molto più attenta perché evidenzia tutta una serie di problematiche che vanno ben oltre la polemica di questi giorni e che paiono aver interessato soprattutto i politici locali. Intanto bisogna fare i conti con una crisi che paralizza ogni tipo di investimento in questo settore. Molti sono i produttori di agrumi che non raccolgono più le arance, facendole marcire sugli alberi.
Questo perché il prezzo di vendita del prodotto, venduto a pochi centesimi al chilo, è poco conveniente. Rosarno è nota alle cronache nazionali e internazionali per la rivolta checoinvolse i migranti che si ribellarono alle ingiustizie, al sistema di sfruttamento e fecero aprire i riflettori sulle condizioni in cui erano – e in parte sono – costretti a vivere. Appena la Coca Cola ha manifestato l’intenzione di non rinnovare più i contratti di acquisto nella Piana, il primo cittadino, Elisabetta Tripodi, è intervenuta per denunciare una situazione che avrebbe provocato un ulteriore danno economico, in un territorio che si trova già ginocchio.
Il fatto che Coca Cola ora sia disponibile a sedersi intorno a un tavolo per la Tripodi è “un segnale positivo”.
“Possiamo dire – ha affermato il sindaco – che non tutti i mali vengono per nuocere e, dopo il clamore mediatico che la vicenda ha avuto, adesso è importante verificare se da parte della Coca Cola c’è la volontà di rinnovare il contratto rinunciando a un poco del profitto. Se poi tutto il clamore che c’è stato può servire a parlare della crisi che investe l’agricoltura, principale risorsa del nostro territorio, ben venga. È importante comunque che anche la Regione Calabria, che è l’attore principale, prenda contezza della necessità di adottare provvedimenti eccezionali per questo territorio e per la crisi che attanaglia l’agricoltura”.
D’altra parte, il Presidente di Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro, ha invitato le istituzioni a fare fronte comune. “Dai dati in nostro possesso – chiarisce all’indomani degli articoli della stampa inglese – il prezzo pagato dalle multinazionali per un chilo di succo concentrato di arance calabresi, è così basso che un litro di aranciata, contiene il valore di soli 3 centesimi di arance. È palese che non vi sia quindi un’equa remunerazione e questo è anche causa di spiacevoli episodi contribuiscono a danneggiare l’immagine della Calabria che vuole riscattarsi e uscire dalle logiche che non appartengono alla stragrande maggioranza dei cittadini. Avevamo chiesto – aggiunge Molinaro – con una lettera a tutte le più importanti multinazionali che hanno rapporti commerciali in Calabria di acquistare il succo concentrato di arance ad un prezzo che consentisse alle industrie di spremitura di pagare le arance ai produttori almeno ad un prezzo minimo di 0,15 centesimi. Ma ripeto. Silenzio assoluto. Anzi oggi, dopo il rilancio sulla stampa internazionale, come atto che non esito a definire ritorsivoma di debolezza, che mi auguro si traduca in riflessione, qualcuna disdice i contratti”.Molinaro ha auspicato che vi sia una azione incisiva, possibile con la legge che stabilisce l’utilizzo nelle bevande a succo di arancia del 12% di concentrato e il regolamento per l’etichettatura obbligatoria sulla provenienza della materia prima.
Una vicenda piuttosto ingarbugliata, dunque. Per cui sono intervenuti a difesa della ’filierapianigiana’ il referente di Libera per la Calabria, don Pino De Masi, che ha invitato a “boicottare tutte le multinazionali che sfruttano consapevolmente le situazioni di emarginazione”; l’onorevole Angela Napoli e il coordinatore di Fli, Aurelio Timpani; l’assessore provinciale all’Agricoltura Gaetano Rao; l’onorevole Nicodemo Oliverio (Pd); l’assessore regionale alle Attività produttive, Antonio Caridi e il gruppo dei Comunisti Italiani regionale. Adesso non resta che attendere il tavolo di confronto con i rappresentati della multinazionale.

(pubblicato su www.lindro.it)