Trapani, crocevia di misteri/2

In Sicilia si racconta che le cellule di Gladio arrivarono negli anni ’80. La struttura militare che doveva difendere l’Italia da una possibile invasione dell’Est europeo, in Sicilia, in un punto lontanissimo dalle frontiere dell’Est, aveva invece le sue basi già dagli anni settanta. Addirittura in provincia di Trapani di basi Gladio ne aveva ben quattro, una addirittura nella roccaforte comunista di Santa Ninfa, quando a comandare la casera dei carabinieri del paese belicino c’era un maresciallo tutto d’un pezzo, Giuliano Guazzelli, ammazzato poi nel periodo delle stragi ad Agrigento. Un delitto che fece pubblicamente inorridire il giudice Paolo Borsellino. Come se avesse compreso che quella non era una vendetta per le indagini commesse. Ma forse qualcos’altro. Era il periodo in cui il dialogo sottobanco con le istituzioni la mafia aveva decido di interromperlo. E mandava segnali. Segnali di morte. Nel trapanese Gladio aveva una pista dove faceva atterrare aerei super leggeri, la stessa pista, dalle parti di Castelluzzo, in un punto in cui i radar non vedono niente, che secondo i pentiti della mafia siculo americana era quella utilizzata per fare arrivare la droga da raffinare. E come ha raccontato il pentito di Caltanissetta Francesco Marino Mannoia in provincia di Trapani non solo c’erano le raffinerie stabilmente impiegate, ma anche quelle mobili.

Gladio come struttura del “dialogo” tra la mafia e lo Stato. Non è da escludere. Tenere sotto attenzione i movimenti in Medio Oriente e in Nord Africa per lo Stato può avere significato pagare un prezzo. Un prezzo alla mafia che si è messa di mezzo, ha aperto i suoi canali. Ha giocato al solito con più mazzi di carta, talvolta, e non di rado, facendo i lavori sporchi. Eliminando i soggetti scomodi.

Ai magistrati di Trapani che negli anni 90 indagavano su Gladio venne preso a mancare una «pedina» importante, il capo del «Centro Scorpione», il maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, ucciso, nel 1993, in circostanze misteriose in Somalia dove era andato in missione. Si disse durante un improvviso conflitto a fuoco, ma tanti dubbi sono rimasti. Li Causi, originario di Partanna, era in procinto di tornare in Italia, per essere sentito proprio dai magistrati di Trapani che indagavano su Gladio. Il suo nome è circolato anche a proposito del delitto, sempre commesso in Somalia, un anno dopo il suo, di Ilaria Alpi, Li Causi infatti sarebbe stato la sua «fonte» sui traffici di armi e di scorie coperti da settori governativi.

Di Gladio trapanese si è tornati a parlare da quando è saltato fuori che l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, avrebbe potuto fare parte della struttura segreta. Lo ha svelato il figlio dell’ex sindaco, Massimo, nei giorni più intensi di rivelazioni e rivelazioni sulla trattativa tra Stato e mafia. Scacchiere nel quale si muovevano anche i mafiosi trapanesi. Alcuni di questi avrebbero avuto contatti con agenti dei servizi. Legami maturati nel tempo, dietro i quali ci potrebbero essere traffici di armi come un ex gladiatore afferma in una intervista Rai del 2006. Il video gira su Youtube. È estrapolato da una puntata di una trasmissione di Rai Tre che si occupò del delitto della giornalista Rai Ilaria Alpi. Incappucciato e presentato da chi lo intervista come ex appartenente a Gladio, c’è un uomo che racconta, parla di traffici di armi, e di scorie pericolose. Parla di Gladio, dice «una struttura impiegata per i traffici di armi». La ricostruzione non è nuova. «Gladio» usata per far passare da una punta all’altra dell’Italia, carichi di armi o di rifiuti tossici, destinati poi a paesi esteri. Un traffico che secondo un ex faccendiere, Francesco Elmo, si sarebbe intensificato dagli anni ’80 in poi. Quell’«intensificato» fa presupporre che esistevano anche anni prima. In Sicilia poi ci sarebbe stato un particolare in più i «contatti» con la organizzazione mafiosa. «Gladio spiava Cosa nostra» ha fatto mettere a verbale Paolo Fornaro, uno degli ufficiali che si occupava di «Gladio» trapanese, Elmo invece parlò semmai di un vicendevole scambio di favori tra la struttura segreta ed i mafiosi. La presenza tra i «gladiatori» di Ciancimimo in questo senso potrebbe starci per davvero. Lo scenario è quello che sembra possa coincidere con quello del delitto Rostagno (26 settembre 1988) dove non è una sensazione la possibilità di «contatti» tra mafiosi e «soggetti esterni» interessati a quell’omicidio. Non dimentichiamo che il magistrato Giovanni Falcone che seguiva il processo La Torre e le attività dei Servizi Segreti fu bloccato nella sua richiesta di contatti con i magistrati romani che indagavano su Gladio dal procuratore di Palermo Pietro Giammanco. Falcone riteneva che su questo punto si dovesse indagare, Gladio col delitto La Torre poteva entrarci qualcosa, ma si trovò di fronte a un muro posto dal procuratore Capo. Gladio destò anche molto interesse al magistrato Carlo Palermo che nel suo libro “Il quarto livello” scrive che “a Trapani era presente una base militare Nato.