Resistenza operaia
Domenica sera facendo zapping mi sono imbattutto nella trasmissione di Chiambretti. Luci, cotillon, ballerine e..Daniela Santanché che apprezzava, elogiava, difendeva il sottosegretario al Welfare Michel Martone, quello che recentemente ha definito i giovani universitari che a 28 anni non sono riusciti ancora a laurearsi dei poveri “sfigati”. Impugnata la spada, la signora Santanché, già pasionaria di Berlusconi, ritrovava nelle parole del giovane sottosegretario del governo Monti, giudizi veramente di destra. Martone non è il solo del suo governo a dispensare giudizi da bar dello sport. Prima di lui il Presidente Monti ha giudicato “noioso” il posto fisso e il ministro dell’Interno Cancellieri ha benevolmente rimbrottato gli italiani che non si spostano, non cambiano città perché vogliono il lavoro “vicino a mammà”.
Le paure degli italiani per la crisi economica, il dolore di chi ha perso il lavoro, la preoccupazione di chi lo cerca, il disastro economico che sconvolge intere famiglie, vengono affrontati così, con la battuta facile facile e la derisione da parte di chi ha responsabilittà di governo. Personalmente la cosa mi fa arrabbiare ma non mi meraviglia: questo è un governo che ha un solo obiettivo, rimettere a posto i conti dell’Italia eseguendo i diktat di Bce e Fondo monetario internazionale. Stop. Le conseguenze sociali della crisi, delle manovre e dei tagli, non rientrano tra le preoccupazioni dei “professori”. Per un motivo semplicissimo, si tratta di persone che non conoscono il Paese, non lo hanno mai frequentato, non hanno mai visto una fabbrica, mai parlato con un operaio licenziato o in cassa integrazione, mai osservato la vita quotidiana di chi vive con poco. E in questo c’è una fondamentale continuità con la filosofia di fondo degli anni del berlusconismo. Il successo a tutti i costi, i poveri che dovevano provare vergogna per la loro condizione, il danaro facile per pochi, il pensionato e il cassintegrato additati al pubblico disprezzo come privilegiati. Ma il frutto più avvelenato che quegli anni ci hanno lasciato in eredità è la rottura generazionale, i figli (disoccupati, precari e senza prospettive) contro i padri col posto fisso o la pensione. Saranno necessari anni per risanare questa ferita.
Comunque, mentre sentivo la Santanché mi è tornata alla mente una bella lettera scritta dalla figlia di un operaio dell’Irisbus di Flumeri, una delle tante fabbriche Fiat che Marchionne ha deciso di chiudere. Centinaia di famiglie dell’Irpinia interna (una delle aree più povere del disastrato Sud) in mezzo a una strada, promesse, acquirenti farlocchi che si affacciavano all’orizzonte, imprenditori cinesi che spuntavano all’improvviso e poi sparivano.
La lettera è di Elena Raduazzo, l’ha scritta nel dicembre scorso ed è stata pubblicata da “Il Ciriaco”, un sito internet di Avellino. Eccola:
Ieri sera non riuscivo a prendere sonno…Pensavo e ripensavo a mio padre. Qualche giorno fa è tornato e ha detto di avere svuotato l’armadietto, il suo armadietto. Si, perché dopo 32 anni era suo. Avevo sempre immaginato che avremmo vissuto questo momento con un altro stato d’animo. Sinceramente sapevo che sarebbe stata dura lo stesso perché chiudere quell’armadietto significava chiudere un periodo della sua vita, ma non doveva succedere adesso, è troppo presto, e non doveva succedere in questo modo. Quel giorno avremmo dovuto fare una grande festa con la famiglia, gli amici e i suoi colleghi. Avrebbe dovuto rappresentare l’inizio di una vita nuova. Il mio papà avrebbe dovuto finalmente iniziare a godersi un po’ la vita, lasciarsi alle spalle tutti i sacrifici fatti per noi, i suoi figli e mettere finalmente in un cassetto quelle magliette bucate dalle schegge della saldatrice, la compagna di una vita. E invece…Ci troviamo alcune sere a tavola, in silenzio. Ci guardiamo e nessuno ha più il coraggio di affrontare l’argomento. Vorrei dargli forza, ma a volte non so veramente che dirgli. Dopo la riunione di venerdì davanti ai cancelli dell’Irisbus, però, d’improvviso le parole mi sono nate dal cuore. Ma le cose che ho da dire a mio padre sento di dirle anche a voi, a tutti quei papà che hanno creduto in questa lotta, alle persone del comitato “Resistenza Operaia”, che si sono battute con tutte le loro forze. Vi prego non mollate. In molti occhi ormai c’è rassegnazione, senso d’impotenza, smarrimento. Siete rimasti in pochi rispetto all’inizio, ma questo lo avevate già messo in conto quando tutto è iniziato. Durante l’assemblea qualcuno, rammaricato, ha detto che è brutto contare pochissimi giovani, quando quella che si sta portando avanti è una battaglia per noi. Però è stato detto anche che se fosse stato solo uno l’operaio che voleva continuare a lottare, non lo avreste lasciato solo. E adesso è la figlia di un operaio, una vostra figlia, che vi chiede di continuare. Arrivati a questo punto vorrei fare tante cose, ma non so nemmeno io cosa ci sia da fare. Per favore, ve lo chiedo con il cuore in mano, aiutateci. Insegnateci con il vostro esempio a non abbassare la testa, non fate morire i nostri sogni, aiutateci a realizzarli. Il mio sogno,se Dio lo vorrà, un giorno, è avere una mia famiglia, avere dei figli, e farli crescere nel posto in cui sono nata e cresciuta io. Non voglio andare via da qui, non voglio che altri giovani vadano a cercare lavoro altrove perché non ci sono più speranze. Fatelo per noi. Anche se in pochi, la lotta deve continuare, non possiamo vanificare i sacrifici e gli sforzi di tutti questi mesi. Ormai vi considero la mia famiglia allargata e per questo vi chiedo di resistere. Anche se andrà male e tanti continueranno a prenderci per pazzi sapremo di aver fatto il tutto per tutto. Al mio papà, a tutti i papà della lotta, al comitato “Resistenza Operaia”…grazie per quello che avete fatto: resistete per noi, per i vostri figli.
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