Poliziotti tutti bastardi?
E’ uscito da poco sugli schermi e già fa molto rumore come d’altra parte,a suo tempo, il libro da cui è tratto: ACAB di Carlo Bonini. Ma sono anche i fatti di questi giorni a porre l’attenzione sui poliziotti: a Milano un vigile uccide un cileno ( e la dinamica è ancora da chiarire) e ieri c’è stata la condanna definitiva dell’agente Spaccatorella per l’omicidio del tifoso Gabriele Sandri. Oggi gli animi si accendono anche grazie alle dichiarazioni. Su twitter, dell’On.le Santanchè che scrive “Gli uomini delle forze dell’ordine anche se sbagliano non sono mai assassini” e che provoca reazioni sdegnate anche da chi si occupa di sicurezza ogni giorno “ queste parole offendono coloro che,ogni giorno, rischiano la vita, a poco più di 1300 euro al mese, per proteggere tutti noi e che nel 99,9% dei casi prima di impugnare l’arma ci pensano non una ma dieci volte” così dichiara Luca Di Bartolomei,coordinatore forum sicurezza del PD.
ACAB, cioè, ”All Cops Are Bastards” era un celebre motivo skin anni Settanta diventato richiamo universale alla guerra nelle città, nelle strade. I personaggi di Bonini ,Michelangelo, «Drago» e «lo Sciatto», sono tre «celerini bastardi». Sono odiati e hanno imparato a odiare. Si scoprono disillusi al termine di una parabola di violenza che è la loro «educazione sentimentale».
Il libro si snoda in tempi e luoghi diversi come l’assalto militare degli ultras a una caserma di Roma e la caccia al romeno nelle periferie, i Cpt per immigrati clandestini e gli scontri della discarica di Pianura. La catena dell’odio e delle impunità.
«Si era messo a gridare come un ossesso. Aveva picchiato con i pugni e con il suo Gl40 scarico contro quei maledetti cancelli, fino a far grondare di sangue le nocche, a non sentire piú gli avambracci, i gomiti, implorando di aprire.
Di non lasciare che li facessero a pezzi con quelle maledette baionette, o magari a colpi di bottiglia, mattoni, tirapugni di ferro e coltelli a serramanico, che ora vedeva distintamente nelle mani degli incappucciati che li avevano circondati, facendo roteare le fibbie delle cinture come frombolieri impazziti.
Quando finalmente il cancello si era aperto, si era lasciato cadere sull’asfalto. Aveva vomitato. Aveva pianto».
Il film è nel solco del libro e all’uscita della sala, e su face book, si raccolgono i commenti di chi il poliziotto lo fa da anni tutti i giorni.
“Ho appena visto ACAB…. Un film che descrive i poliziotti italiani come una manica di microcefali fuori di testa. Si passa dalle fiction latte e miele ad una rappresentazione caricaturale. Un occasione persa…..”
“La vita del reparto l’ho vissuta da molti anni in diretta sul campo, stando in prima linea con i colleghi e nessuno che non ci sia stato, può effettivamente comprendere sapere o capire che cosa si provi.”
“E’ pure peggio del libro … tutto dire … “
“Non serve essere stati al reparto per capire che il film e’ veramente denigrante..io l’ho visto insieme ad altre tre colleghe e tutte siamo rimaste sconcertate. Come ho gia’ detto se questa è la polizia mi è sfuggito qualcosa”…
“La mia impressione sul film? Penso che possiamo trasformarlo in un’occasione per noi (ribaltando la situazione che ci vede in difficoltà), per parlare delle nostre condizioni di lavoro, spiegare che la polizia non è questo, che quello che emerge dal film non è una violenza della polizia ma una violenza sociale, urbana, che bisogna parlare di stress da lavoro correlato ecc. Trovo negativo chiudersi, arroccarsi su difese corporative in contrasto con il motto “polizia fra la gente” e fare delle generalizzazioni di segno opposto altrettanto inutili. Ieri mi è capitato di rivedere Serpico, un film del 73 che denunciava uno spaccato di corruzione nei distretti di polizia di New York, quindi ACAB è solo uno di una lunga serie di film scomodi. Non dimenticate che a breve uscirà DIAZ….(probabilmente ci farà molto più male). Tra ACAB e ACAH (tutti sono eroi) ho coniato il giusto compromesso ACAW (tutti i poliziotti sono LAVORATORI).”
Su face book si legge “Io ho visto solo il trailer del film, ma ho letto il libro, ed è stato facile immaginare quale sarebbe stato il filo conduttore del film. Ho avuto la fortuna di essere un Celerino per diversi anni, e qualcuno dei brutti ceffi di cui si parla ho avuto il privilegio di averlo al mio fianco in situazioni per così dire “calde”. Sicuramente si tratta di persone dall’elevato carisma che probabilmente viste dall’esterno possono sembrare dei violenti esaltati, ma vi posso assicurare che si tratta di persone,con delle idee in testa, ma soprattutto per bene, ed io aggiungerei esseri umani, con tutti i loro limiti e difetti.”
Chiediamo a Marcella Lucidi,ex sottosegretario all’Interno ed oggi direttore dell’Ufficio legislativo del gruppo del Partito Democratico al Senato, un pensiero : “Non ho visto il film. Il libro, come il suo autore, mi hanno rimandato alla conclusione della relazione che il mio gruppo parlamentare scrisse dopo i fatti di Genova e cioè che <Il sistema politico deve garantire, in tutte le sue componenti , che le forze di polizia siano e si sentano forze dell'intero paese…La coesione di un paese si misura anche sulla base del grado di fiducia che nelle forze di polizia ha la società civile, soprattutto nelle sue aree di dissenso politico… La polizia che era in strada a Genova è la stessa che ci ha liberato dal terrorismo rosso e dallo stragismo nero, che ha arrestato i più importanti capi delle organizzazioni mafiose…Le forze di polizia devono esercitare il più rigoroso controllo sui propri comportamenti per evitare che l’esercizio della forza si trasformi in abuso…Il dissenso, per parte sua, non deve mai esprimersi in forma violenta e non deve indulgere a comportamenti equivoci o tolleranti verso la violenza. La democrazia infatti non è solo esercizio di pluralismo; è soprattutto esercizio di responsabilita’>…Sono parole ancora attuali, alle quali aggiungerei che questa responsabilità è quel che muove molti operatori, nonostante, oggi, non abbiano le risorse per svolgere bene il loro lavoro!”
Continua Marcella Lucidi “Per formazione, le nostre Forze di Polizia sanno che la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico può richiedere loro l’ “uso della forza”, che altro non è se non l’uso legittimo della violenza. La questione è, allora, se ci sono operatori che, invece, ricorrono abusivamente alla violenza, in violazione dei loro doveri istituzionali e su questo, purtroppo, diversi fatti ci dicono di sì.Una lettura di questi casi che voglia svalutarne l’importanza o, al contrario, generalizzare il giudizio, non solo sarebbe sbagliata ma lede il grado di fiducia verso le forze dell’ordine. Credo che non esiste un volto oscuro delle forze dell’ordine. Esistono, semmai comportamenti di singoli che devono essere osservati e isolati perchè non contagino l’ambiente lavorativo e non diventino metodo di azione. Serve un controllo rigoroso interno come è importante che la voce della politica non tenti mai di tirare le forze di polizia da una parte o dall’altra del sistema dei partiti, dimenticando o facendo dimenticare che esse sono al servizio dello Stato e devono garantire ogni libertà civile, anche quella di protestare, di dissentire senza forme violente. Occupandomi di immigrazione, ho apprezzato il lavoro di tante donne e uomini delle Forze dell’ordine che agivano ispirati da una forte carica umana. Allora, mi capitava di ricordare a questi operatori che per chi è vittima di un reato, o vive un disagio o ha semplicemente paura, essi sono il primo punto di contatto con lo Stato. Quel contatto può esprimere o meno la prossimità delle istituzioni al cittadino, la qualità della ns. democrazia. Questa responsabilità non è scontata: richiede formazione, etica, linguaggio e, soprattutto, motivazione. Credo che oggi si stia rischiando che il deficit di risorse, di strategie, di strumenti di indagine, di personale si traduca in deficit di motivazione.Inviterei tutti ad evitare che questo accada.”
(pubblicato su www.lindro.it)