Isochimica e amianto

(pubblicato su www.ilciriaco.it)

La testimonianza di un operaio dell’Isochimica

Nei giorni in cui scoppia il dramma per gli ex operai della Isochimica a cui sono state riscontrate patologie conclamate da asbesto conseguenti all’inalazione di fibre di amianto durante il periodo di attività nella “fabbrica killer”, il rischio si estende anche ad altre persone: ai ferrovieri che all’epoca dei fatti lavoravano nella stazione di Avellino. Lo racconta Pietro Mitrione ex capostazione in pensione. «Prima che l’Isochimica aprisse fisicamente i battenti, le carrozze di Fs veniva scoibentate all’interno della stazione, su un binario a poche decine di metri dalle casette post terremoto in cui noi dipendenti lavoravamo e a contatto con i viaggiatori e con gli abitanti del quartiere che abitualmente frequentavano quel luogo». Scoibentazione all’aria aperta quindi secondo il ricordo di Mitrione che nel 1989 fu protagonista solitario di una denuncia pubblica di quanto accadeva. «Fui interrogato come persona informata sui fatti dalla magistratura fiorentina (quella che dispose poi la chiusura dello stabilimento ndr.) ma non ebbi la solidarietà dei miei colleghi. All’inizio per noi ferrovieri l’apertura dell’Isochimica significava il riscatto post sisma, lavoro, ricchezza. Solo dopo capimmo i rischi a cui si andava incontro. Ma le autorità sanitarie, chi doveva sapere, sapeva. Le carrozze arrivarono ad Avellino perché dopo anni di lavorazione alle Grandi Officine di Foligno, gli operai del posto capirono che alcune malattie e morti di colleghi erano legate a quella polvere che veniva grattata dalle carrozze e diedero vita ad una lotta senza precedenti che portò alla riconversione della loro fabbrica. Le mandarono qui da noi che eravamo i terremotati bisognosi di lavoro. Ad oggi non possiamo escludere che qualche ferroviere avellinese, la cui morte è stata legata a qualche male oscuro, non abbia invece perso la vita proprio a causa di quelle polveri. Ricordo la pausa pranzo di questi operai, dipendenti Isochimica, che scrollavano le loro tute impregnate di polvere prima di consumare la merenda. Era il massimo di precauzione che avevano: e intanto quelle polveri si disperdevano nell’aria». Che fine ha fatto quell’amianto? «Voci insistenti dicevano – continua Mitrione – ch veniva chiuso in sacchi di plastica e gettato nel Fenestrelle. Altri dicevano che fu seppellito nelle fondamenta della stazione, che fu ricostruita in concomitanza con l’apertura dell’Isochimica. La battaglia che gli ex operai stanno portando avanti deve coinvolgere anche noi ex ferrovieri e gli abitanti del quartiere». Interrogativi inquietanti e confermati da un altro testimone, Ugo Santinelli, ambientalista, in quegli anni attivo con Democrazia Proletaria al fianco degli operai Isochimica. «L’autorizzazione all’utilizzo del piazzale della stazione per la prima lavorazione delle carrozze fu data dal comune perché ufficialmente quella che bisognava estrarre era ruggine. Non fu così. La letteratura scientifica dell’epoca forniva tutti gli elementi necessari alla comprensione della gravità del contatto con l’amianto. Era già scoppiato lo scandalo di Casale Monferrato, dove si erano ammalate anche le mogli degli operai che erano state a contatto con le tute sporche dei mariti. Esistevano dei contratti che prevedevano un certo tipo di cautele ad esempio bisognava lavorare in un ambiente con una pressione inferiore a quella esterna per evitare che le fibre fuoriuscissero. Graziano, da imprenditore, semplicemente assicurò il lavoro ad Fs e risparmiò in loco sui costi di sicurezza. Ci fu un disinteresse generale da parte del quartiere, ma anche dei sindacati tutti. In troppi avevano costruito le loro fortune su quella fabbrica ed è per questo che l’attenzione nel corso degli anni è andata scemando. Perché faceva comodo che l’Isochimica restasse un ricordo di 23 anni fa».
(di Rossella Fierro pubblicato su Il Mattino)