I politici a lezione dai tecnici
C’è da ammettere che, da un punto di vista di meri fruitori dell’attualità politica, le questioni che popolano titoli ed occhielli di quotidiani e telegiornali in queste settimane sono ben più noiose di quelle che la facevano da protagonista solo un anno fa. Le leggi sulle intercettazioni, le proteste contro le restrizioni alla libertà di stampa, e poi i processi… Che fine ha fatto tutto ciò? Tutto impietosamente sommerso dall’agenda traboccante dell’attuale Governo, che in nemmeno tre mesi ha messo sul piatto della vita politica nazionale manovre economiche da quaranta miliardi, riforma del lavoro, riforma della giustizia e delle carceri, riforma della legge elettorale, e poi le tre questioni che stanno monopolizzando l’attenzione pubblica: le scuri sui costi della politica, le innominabili liberalizzazioni, e la caccia – che si spera senza quartiere – agli evasori fiscali, siano essi super ricchi, imprese e quant’altro. Problemi che sembrano essere nati insieme all’esecutivo Monti, e che invece sono radicati da anni ed anni nel nostro tessuto economico e sociale. Un esecutivo che apre in maniera repentina numerosissime questioni, alcune decisamente scomode, e lo fa sicuramente con la sicurezza, verrebbe quasi da dire con la disinvoltura – concetto del resto ribadito dagli stessi membri del Governo – di chi deve rispondere solo alla propria coscienza o, più prosaicamente parlando, che non deve rendere conto ad un elettorato ed ai suoi interessi – e si spera non ne metta in mezzo altri. Un governo su cui si sono spese le definizioni più disparate: “tecnico” è il termine più comune, ma forse la definizione più interessante l’ha data proprio il Presidente del Consiglio, quando definì il suo un “governo di impegno nazionale”. Ma non sia mai definirlo “politico”: ed è l’opinione più condivisa proprio tra i politici. Non politico perché non nasce da una chiamata alle urne per elezioni – per l’appunto – politiche, non politico perché sorretto da una maggioranza che sarà si una delle più estese dalla nascita della Repubblica, ma che non è espressione di una comune volontà politica: qualcuno la chiama “responsabilità”, qualcun altro “passo indietro”, altri ancora “fuga dalle proprie responsabilità”.
Eppure l’avventura politica del tecnico Monti porta con sé almeno tre paradossi. Primo, la tenuta di fiducia nell’opinione pubblica di un esecutivo che non è espressione di pubblica volontà politica. Come emerge da un sondaggio realizzato da IPR Marketing per Repubblica, la fiducia degli italiani nella figura di Mario Monti al 28 gennaio scorso – dopo lo tsunami di proteste da parte di tassisti e forconi – si attesta al 57%. Poco meno di quanto registrato prima della manovra economica (-3%), ma ben più rispetto al giorno di affidamento dell’incarico da parte di Napolitano (+7%). Tra i ministri, quello che raccoglie più consensi è il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, seguita da Riccardi e, pari in terza posizione, Giarda, Passera – malgrado si sia detto, e si dica tutt’ora molto sulla sua presenza nell’esecutivo – e Fornero, in discesa dell’ 8% rispetto allo scorso mese, che probabilmente sta scontando l’impopolarità del nebuloso dibattito sull’articolo 18, che fin’ora ha prodotto solo dubbi e zero certezze.
Secondo paradosso che viene fuori dai numeri di Ipr Marketing: non tutti i partiti sostengono o si oppongono al governo Monti seguendo gli umori del proprio elettorato. E’ esempio eclatante di questa tendenza il PdL: dei suoi elettori, solo il 30% ha fiducia nell’esecutivo “tecnico”. Tanto per fare un raffronto, nel bacino elettorale leghista – il più accanito oppositore in Parlamento e fuori – la percentuale scende ad appena il 28%. Ciò malgrado, oggi Berlusconi torna a ribadire che staccare la spina a Monti sarebbe da irresponsabili, con buona pace degli ultimatum in arrivo dal Carroccio. E’ evidente che ben altri interessi muovano queste scelte. Altro caso curioso quello dell’Italia dei Valori, che resta all’opposizione malgrado il 60% dei suoi elettori si dichiari fiducioso nell’operato del governo Monti. Come mai la “discesa in campo” di una squadra di professori che non avrebbero niente a che fare con la politica riesce a portare tanto scompiglio tra gli elettorati, tanto da recidere il filo che lega la base con la testa di quelli che sono tra i partiti che più si affidano al carisma dei propri leader per far presa sull’elettorato?
Il terzo aspetto paradossale di questo quadro, allora, discende dagli altri due, dalla fiducia degli elettori in questo governo e dalla remissione dei partiti della cosa pubblica nelle sue mani: sembra quasi che la politica stessa debba imparare qualcosa da questi non politici. Il che è molto di più che tirare fuori l’Italia da un periodo di crisi, è molto di più che far scendere lo spread e riportare il bilancio al pareggio. Nel suo recente discorso all’Università di Bologna il presidente Napolitano ha auspicato che la crisi possa rendere tutti un po’ più sobri. Ed è certamente difficile che un popolo riesca a rinunciare a parte dei privilegi su cui si è più o meno meritatamente arroccato se la propria classe politica si guarda bene dal farlo. Forse è proprio per questo che Mario Monti, che molti vedono come l’uomo calato dall’alto quasi “a tradimento”, riesce malgrado tutto ad esprimere consensi. Perché prima ancora dei fatti, che se ci saranno produrranno nell’immediato conseguenze dolorose e, si spera, benefici nel lungo termine, porta avanti un’immagine sicuramente diversa rispetto a quanto abituati a vedere nel passato. Gli italiani sembrano non voler attribuire più di tanta importanza al rischio che l’attuale governo possa avere un occhio di riguardo per alcuni “poteri forti”, banche e Chiesa prima di tutti. Sarà “tecnico”, ma mette sul tavolo da gioco della politica le questioni che proprio la politica ha ignorato per anni, sempre e comunque. Ed ora, come del resto deve essergli familiare, il professore sale in cattedra. Dopo un trimestre di “governo tecnico”, viene da chiedersi se forse non dovremmo ridefinire tutti questi termini. Ci si chiede se in fin dei conti “politica”, “tecnica” e “impegno” possano essere davvero parole a se stanti, o se invece non starebbero meglio indissolubilmente legate.
E’ incredibile costatare come un governo non politico, che non deve rendere conto a nessun e elettorato, riesca ad avere il 57% dei consensi.