Articolo 18, una norma di decenza
Ancora benzina sul fuoco della trattazione in materia di riforma del lavoro. Questa volta l’affermazione scottante arriva dal leader Confindustria Marcegaglia, che punta il dito contro i sindacati, accusati di proteggere “assenteisti cronici, ladri e fannulloni”. Galantuomini che, e sarebbe strano il contrario, gli imprenditori vorrebbero “poter licenziare” senza troppi paletti di mezzo. Un’affermazione che di certo non aiuta la dialettica di un dibattito dai toni già abbastanza aspri, ed una terminologia a cui la solitamente compassata leader degli industriali non ci aveva (ancora?) abituati. E le repliche piccate dei tre più importanti leader sindacali non si sono fatte attendere: “offensiva” è il giudizio della Cgil Camusso, allontana ogni accusa Bonanni della Cisl affermando di aver “sempre tutelato i lavoratori onesti”, mentre Angeletti della Uil lancia una provocazione che fa riflettere: “gli imprenditori possono dire altrettanto?”. Come a dire, chi è senza peccato scagli la prima pietra. E infatti Emma Marcegaglia chiude il cerchio confermando la fiducia riposta nei sindacati confederali. Il nocciolo duro ed indigesto della questione è sempre l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. C’è stato un piccolo spostamento della messa a fuoco nelle motivazioni addotte da quanti vogliono modificarlo: se inizialmente si insisteva sull’effetto di limite agli investimenti stranieri della scarsa flessibilità in uscita, ora si fa leva sulla legittimità del datore di lavoro di poter licenziare un dipendente inetto o addirittura dannoso per l’impresa. Sembra voler stare il più possibile nel mezzo il ministro Fornero, che cerca di conciliare parlando di accordo “possibile” e affermando di stare lavorando in questo senso. Anche perché, quando si sentono affermazioni come quelle della Marcegaglia, viene spontaneo chiedersi se un accordo pacifico e universalmente accettato sia davvero l’obiettivo perseguito da tutti. La partita cruciale, però, sarà quella giocata in parlamento, e li sarà chiaro quanto e come le ragioni delle parti sociali saranno portate avanti tra i banchi delle camere. E sarà chiaro anche se i sindacati riusciranno a farsi portavoce non solo delle istanze dei propri iscritti, ma anche e soprattutto di quel mondo del lavoro che ora come ora non può contare su alcuna tutela. Cerchiamo di ricomporre questo quadro insieme a Raffaele Morese, sindacalista già Sottosegretario con delega al Ministero del Lavoro e consigliere del CNEL, segretario generale dell’associazione Nuovi Lavori e presidente dell’associazione Koinè.
Cosa pensa dell’affermazione della Marcegaglia che vede i sindacati proteggere “assenteisti, ladri e fannulloni”? Ha prevedibilmente suscitato più di qualche polemica, eppure esprime una posizione comprensibile: perché non si potrebbe licenziare un inetto?
Questa uscita tradisce il pensiero. La Confindustria vorrebbe fare un accordo, però l’unica cosa che gli interessa come modifica dell’articolo 18 è che possa escludere i licenziamenti individuali. Poi è uscita una frase un po’ sghemba, un po’ fuori riga, tant’è vero che l’ha corretta, ma l’interesse principale della Confindustria sull’articolo 18 non è né la riduzione per motivi economici, né per altri motivi, ma solo per i licenziamenti individuali per motivi disciplinari.
Possibile che questo articolo 18 tuteli i lavoratori fino all’inverosimile? Davvero un imprenditore non può licenziare un lavoratore volutamente improduttivo o dannoso?
Quando si tratta di queste cose, o perché un lavoratore ha rubato o perché è un fannullone o un assenteista non motivato, si va davanti al giudice e lui decide, non è mai il sindacato a decidere. Penso anche che mai il sindacato si sia fatto parte civile in una vicenda di questo genere, se non in casi in cui era eclatante il tentativo di incolpare una persona strumentalmente. In genere il sindacato non si mette mai a contrattare o a difendere, l’unica cosa che suggerisce è di andare davanti al giudice e di far decidere lui. Se poi il giudice decide che in effetti il lavoratore non ha rubato o offeso nessuno o se era veramente ammalato, non fa altro che reintegrarlo, che mi sembra anche minima regola di decenza, non uso altre parole complicate.
Si sente spesso dire che la scarsa flessibilità in uscita è un freno agli investimenti stranieri. Perché, nel resto d’Europa questo aspetto com’è regolato?
Nel resto d’Europa la situazione è variegata, e se dobbiamo prendere un punto di riferimento come la Germania, li vige un patto non scritto per cui non si licenzia per motivi economici, ci si mette intorno al tavolo e con il sindacato si stabilisce di ridurre l’orario, oppure i salari, o di fare delle rotazioni. Alla fin fine l’orientamento generale è di trovare tutte le soluzioni perché la gente possa rimanere assunta, seppur a condizioni diverse, fino a quando non passa la bufera. E quando la bufera passa, come nel caso attuale in Germania, il sindacato rivendica il 6% di aumento dei salari, cosa che in Italia possono anche scordarsi. Penso che la manutenzione in una fase di crisi come questa, dove il problema principale non è l’offerta che è abbondante, ma la domanda, mettere mano al mercato del lavoro non può che essere una modalità di manutenzione dell’esistente, se poi invece il mercato tirerà, la domanda richiede un sacco di lavoro, allora si potrà discutere su come sistemare le cose. Ora mi sembra che su come ridurre la precarietà si sta andando verso una opinione comune, sull’articolo 18 è più un problema di facciata che di sostanza, e penso che la proposta che ha fatto la Cisl, e cioè di svuotare l’articolo 18 per i motivi economici e dirottare verso la legge 223, cioè l’uso della cassa integrazione quando i lavoratori sono in una fase di momentaneo esubero possa essere una via più logica.
L’articolo 18 però non si applica alle piccole e medie imprese, che sono la maggioranza. Non si sta combattendo una battaglia da parte dei sindacati solo per una parte dei lavoratori? Come si potrebbe estendere questa tutela?
Questo è stato un elemento di flessibilità molto forte che è stato sempre assicurato al sistema delle imprese. Andare verso forme più universali di tutela apre il capitolo di come finanziare questa cosa, nel senso che mentre i sistemi attuali consentono per le aziende piccole e piccolissime, dove il rapporto con l’imprenditore è più diretto e più lasciato alla valutazione interpersonale, la tutela per motivi economici è più blanda. Se si dovesse andare a una tutela che per quest’area si aprirebbe un capitolo di riforma, come il governo vorrebbe fare se ho capito bene, ma dichiarando di non avere risorse per farlo. Non si capisce effettivamente come si può fare ad assicurare l’una e l’altra cosa. Ci si accartoccia quindi al tema dell’articolo 18 come un simbolo da spendere non so dove e nei confronti di chi. La Marcegaglia ieri l’ha fatto capire bene: se non mi fate licenziare quelli che io considero fannulloni e ladri, non mi interessa l’articolo 18. Ora che se la sia presa con i sindacati di base sono tutti lapsus, penso che la veemenza abbia tradito il pensiero, non penso che ce l’avesse con i sindacati federali come poi ha corretto. In realtà però ha spiegato qual è la motivazione fondamentale per cui vorrebbero cambiare l’articolo 18.
Che ruolo giocheranno, a suo avviso, i sindacati in questa difficile partita?
Penso che l’atteggiamento unitario del sindacato assicurerebbe al governo una possibilità d’intesa se ragionevole, se invece la cosa è tutta “politica” metterebbe in imbarazzo il sindacato che potrebbe essere anche messo fuori gioco, però con conseguenze politiche che non capisco quali potranno essere, perché non credo che il governo Monti possa giocarsi la qualità del proprio sostegno parlamentare su un pezzetto del suo disegno innovatore. Penso che alla fine l’accordo con le parti sociali sarebbe la migliore delle soluzioni.
(pubblicato su www.lindro.it)