21 anni da dimenticare

Sentenza annunciata e ancora una volta ci sono da riscrivere pagine della cronaca nera siciliana. Non furono balordi ad uccidere la sera del 26 gennaio 1976 i carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, militari in servizio presso la caserma dell’Arma di Alcamo Marina, in provincia di Trapani. La Corte di Assise di Reggio Calabria che ha riaperto un processo definito, ha sentenziato l’assoluzione e disposto l’immediata scarcerazione di Giuseppe Gulotta, che quasi sessantenne oggi riguadagna la sua incensuratezza. Gulotta nel 1976 era appena 18 enne, e per lui, considerata la maggiore età fu decisa la pena massima dell’ergastolo. Gli altri due condannati, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, erano invece minorenni, e per loro vi fu la condanna a 24 anni, in carcere però non sono mai finiti perché tra un processo e l’altro riuscirono a fuggire via, in Brasile dove si trovano ancora. Un altro dei condannati il partinicese Giovanni Mandalà morì durante il dibattimento, un quarto giovane, l’alcamese Giuseppe Vesco, conosciuto come anarchico all’epoca del duplice delitto dei carabinieri, morì invece suicida in carcere, sebbene fosse privo di una mano riuscì ad impiccarsi, dopo che aveva accusato gli altri quattro arrestati della strage. A 36 anni dalla morte dei carabinieri Falcetta e Apuzzo la svolta. Un ex brigadiere, Roberto Olino, ha confessato che i balordi di fatto furono costretti ad autoaccusarsi della strage, le loro dichiarazioni furono estorte dopo ore e ore di torture. Gulotta e gli altri durante la fase dibattimentale avevano raccontato delle torture subite dai carabinieri che indagavano, ma non furono mai creduti, così come in quattro e quattr’otto fu chiuso il caso del suicidio di Vesco in carcere. Dopo la confessione di Olino la Procura di Trapani ha riaperto il fascicolo di indagine mentre i difensori di Gulotta Pardo Cellini di Firenze e Lauria di Alcamo chiedevano la revisione del processo. La Procura di Trapani ha messo sotto inchiesta i carabinieri che parteciparono all’operazione e dalle intercettazioni disposte negli ambiti familiari degli stessi è saltata fuori la circostanza che addirittura gli stessi congiunti sapevano della messinscena. Per i carabinieri finiti sotto inchiesta però è scattata l’archiviazione per prescrizione dei relativi reati, la Procura di Trapani ha riaperto invece le indagini sul perché furono uccisi quei due carabinieri.

E quanto emerge è clamoroso. Addirittura c’è un filo che lega la strage dei carabinieri di Alcamo marina al delitto di Peppino Impastato avvenuto a Cinisi tre anni dopo.  I carabinieri Falcetta e Apuzzo sarebbero stati uccisi da altri loro commilitoni, appartenenti a servizi segreti, qualche ora prima del loro delitto avevano fermato sulla strada che passa per Alcamo Marina e che collega Trapani a Palermo, un furgone, dentro c’erano delle armi, armi e munizioni destinate ad una delle basi di Gladio all’epoca già esistenti nel trapanese. La verità però non poteva venire fuori e così i carabinieri che indagavano sulla morte dei loro commilitoni apposta finirono con il battere piste lontane dalla vera matrice, dapprima si pensò al terrorismo e così i carabinieri andarono a bussare a soggetti dell’estrema sinistra, anche a casa di Peppino Impastato a Cinisi, poi puntarono su Vesco che torturato per primo fece i nomi dei complici, per poi uccidersi in cella. Il resto della storia l’ha riassunta oggi Giuseppe Gulotta appena assolto dai giudici di Reggio Calabria e tornato libero.

“Aspettavo questo momento da 36 anni. Spero -ha detto Gulotta parlando interrompendo spesso le parole da un pianto ininterrotto – che anche per le famiglie dei due carabinieri venga fatta giustizia. Non ce l’ho con i carabinieri -ha precisato- solo alcuni di loro hanno sbagliato in quel momento”. Giuseppe Gulotta, nonostante la complessa vicenda giudiziaria che lo ha portato a subire 9 processi poi il procedimento di revisione, non ha smesso di credere nella giustizia. “Bisogna credere sempre alla giustizia. Oggi e’ stata fatta una giustizia giusta”, ha dichiarato. Un ultimo pensiero va all’ex brigadiere Renato Olino, che con le sue dichiarazioni ha permesso la riapertura del processo: “dovrei ringraziarlo perche’ mi ha permesso di dimostrare la mia innocenza pero’ non riesco a non pensare che anche lui ha fatto parte di quel sistema”.

Il casoImpastato infine.Il giornalista d iCinisi da qualche tempo si era occupato del caso e forse aveva individuato le connessionitra mafia e servizisegretideviati.Da qui l’ordine di morte deciso da Gaetano Badalamenti che avrebbe fatto uccidere PeppinoImpastatonon soloperchèalla radio lo appellava come “Tanoseduto”, offendendol’onorabilitàmafiosa. Impastatosistavainteressandoancheaigrandiappalti per la costruzionedell’autostrada e l’aeroportodi Punta Raisi. Ma in suopossessocisarebbestataunacartellina con dentroappuntisullastragedi Alcamo Marina. Cartellina che non si è più trovata dopo la sua morte, una costante,questa, dei gialli siciliani, qualcosa di importante che scompare dalle scene dei delitti