Mafia Spa, le mani sulle imprese

“Il nostro obiettivo non è solo denunciare, ma rompere la ragnatela criminale”. Queste parole del Presidente di Confesercenti Marco Venturi riassumono bene lo spirito dell’evento organizzato dalla sua associazione, insieme a Sos Impresa e Rete per la Legalità, per la presentazione del XIII rapporto nazionale di Sos Impresa dal titolo ’Le mani della criminalità sulle imprese’, tenutasi ieri a Roma.
Un documento, curato da Lino Busà – presidente Sos Impresa – e Bianca La Rocca, che illustra in maniera dettagliata le modalità con cui la malavita organizzata allunga i suoi mille tentacoli sul mondo dell’economia e dell’impresa. “La crisi economica non allenta la morsa criminale, non esistono licenziamenti e cassa integrazione” dichiara il presidente Venturi. Ed in effetti ’Mafia spa’ può contare su una cassa da capogiro: 140 miliardi di euro di fatturato, 100 miliardi di utile netto, 65 miliardi di liquidità. Cifre che la conferiscono il titolo di più grande agente economico del paese. Un’ attività estremamente redditizia, che si nutre di attività criminali perpetrate nelle modalità e nei contesti più disparati.
Una holding capace di mutare dall’interno, di adattarsi ai terreni più accidentati, in maniera, come viene definita nel Rapporto, ’camaleontica’. Un dato molto interessante è spia diquanto ’Mafia spa’ debba darsi da fare per ripulire la mole di denaro che scorre nelle sue casse: quello dei costi per riciclaggio è il capitolo di spesa più oneroso, gravante sui bilanci mafiosi per ben 20 miliardi di euro. Venti volte quello che si spende in armi. E la seconda voce, sebbene molto meno rilevante sul piano quantitativo, è la spesa per fiancheggiatori ed attività corruttiva, che ammonta a 2 miliardi e 400 milioni di euro.
1300 imprese al giorno, per un totale di un milione (su cinque circa) di imprenditori che subiscono reati. E le attività più redditizie sono, manco a dirlo, l’usura e il racket: crimini che vedono sempre più coinvolti le grandi strutture di timo mafioso, le uniche in grado di disporre di grande liquidità da cedere a strozzo, e delle risorse necessarie alla riscossione.Ma è anche una malavita che sa adattarsi, e darsi un volto pulito: una malavita che si muovenegli ambienti della finanza, che agisce per mano di professionisti di alto livello e che trova un terreno fertile laddove la crisi ha minato la sicurezza finanziaria degli imprenditori. Chi è nel giro prospera, chi si taglia fuori, nel migliore dei casi, è destinato a scomparire. Si crea dunque un meccanismo di collusione partecipata che coinvolge malavitosi, professionisti e componenti deviati della finanza, e perfino gli stessi imprenditori che, pur di entrare nei salotti buoni, sacrificano la propria dignità sull’altare del fatturato. Nel suo intervento, il Presidente della Rete per la Legalità Lorenzo Diana, ha sottolineato come a denunciare sia solo “un imprenditore su mille che subiscono estorsioni”. E non è difficile immaginarlo, dal momento che spesso chi denuncia, al di là di ogni possibile guadagno sul piano della coscienza, non ottiene molto altro. Anzi, si arriva al paradosso di ritrovarsi schiacciati tra un processo in cui si è vittima di mafia, ed un altro in cui si è insolventi. Come ha sottolineatoLino Busà, “sul piano etico non si fanno grandi passi avanti, occorre intervenire per rendere chi denuncia vincente sul mercato”.
Spezzare questa catena non è facile, dal momento che, almeno all’inizio, gli imprenditori che decidono di denunciare possono contare solo sul proprio coraggio. Una storia di coraggio è quella di Valerio Perrone, imprenditore pugliese che ha deciso di liberarsi dalla morsa che la criminalità aveva messo sulla sua azienda. Un esempio, soprattutto, per tutti coloro – e sono veramente tanti, più di quanti possiamo immaginare – sono oggi vittime di racket.

Signor Perrone, quando e come comincia esattamente la sua storia?
La mia storia inizia vent’anni fa, nel ’92 con la prima bomba presso un cantiere nella zona di Brindisi, fecero saltare una villetta e poi arrivarono le telefonate di richiesta di pizzo. I primi momenti sono allucinanti, nel senso che uno ha paura, si richiude in se stesso e crede che blindandosi o nascondendosi risolva i problemi. Poi, dopo la terza bomba, mia figlia piccolina di tre anni mi disse, in mezzo al fumo, “papà, perché la casa ha fatto bum?”. Quello fu il momento in cui mi dissi che niente avrebbe più dovuto “fare bum”, decisi di uscire allo scoperto e denunciare. Nel ’92 non c’erano leggi anti racket, non c’erano risarcimenti, c’era semplicemente la volontà italiana e dignitosa di voler essere liberi di fare il proprio lavoro.

Oggi cosa è cambiato, perché un imprenditore dovrebbe denunciare malgrado in molti casi non sia di fatto vantaggioso?
Ci sono due motivi importanti per cui si deve denunciare: primo, per lo spirito di libertà personale, della propria azienda, lavorativo. L’altro, per l’imprenditore che ha famiglia, è essere di esempio e di sprone, di insegnamento per i propri figli. Un padre codardo, un imprenditore codardo, anche nei confronti dei propri operai, è meno che nessuno. A questo punto deve scattare quell’orgoglio di dignità e libertà.

In questi vent’anni quali istituzioni le sono state vicine e da quali, invece, si è sentito in qualche modo deluso?
In prima analisi mi sono stati vicini i Carabinieri, le forze di polizia in genere, la magistratura, le prefetture sono arrivate dopo: dal punto di vista burocratico c’era un certo tipo di distacco, ma subito dopo si sono allineate perché hanno capito il fenomeno. Non riusciamo ancora oggi dopo vent’anni nonostante le le leggi, nonostante i protocolli d’intesa stipulati con le banche e gli istituti tipo Inps, Inail, Agenzia delle entrate, Equitalia, non riusciamo ad entrare in sintonia ed a far capire che, se l’imprenditore che denuncia e viene dichiarato dallo stato vittima dell’estorsione e dell’usura, e di conseguenza gli viene decretato lo stato di necessità, perciò non può esser adempiente per assolvere in quei momenti agli impegni dello Stato, a questi “non gliene può fregar di meno”, detta in romano! Con loro non si riesce ancora a dialogare. Perciò bisognerebbe, per ripetere una proposta del Presidente Diana, fare un tavolo di concertazione, presente il Ministero dell’Interno e presente la magistratura, perché una cosa importante, per cui io da anni mi sto battendo, è l’istituzione della Distrettuale antiracket, nel senso che un unico giudice si occupa di ogni caso: se un giudice ha capito e ti dichiara vittima di estorsione, deve essere lui a decidere per te e per il tuo futuro fino a quando non viene risolta, o per lo meno capita definitivamente la questione.

Nel suo intervento prima ha citato le intimidazioni mafiose per antonomasia, come le teste di animali trovate fuori casa; malgrado ciò oggi ne parla con un sorriso, come si fa?
Oggi ne parlo con un sorriso, ma allora mi sono preoccupato. Oggi mi chiedo, con vent’anni in più – allora ne avevo trenta, oggi ne ho cinquanta – che paura può far mai una gallina azzoppata o un coniglio sventrato? D’altronde, se qualcuno ti vuole far male seriamente, di sicuro non ti mette la gallina sgozzata, viene e ti prende sotto casa. Sono forme oserei dire aborigene, folkloristiche della criminalità. E’ come il famoso can che abbaia che, in genere, non morde mai.

In ultima battuta, prima lei ha detto di non volersi definire una vittima di mafia: come sidefinirebbe?
No assolutamente, l’ho detto anche prima, quando in qualche convegno dicono “vittima di mafia” mi sembra un po’ pietoso. Io non mi sento una persona pietosa, mi sento una persona piena di energia. Lavoro da quando avevo sedici anni e ho cercato di dare insegnamenti dritti ai miei figli. Non mi sento una vittima, mi sento un semplice e libero cittadino italiano che fa, in questo momento particolare, la sua parte, che l’ha fatta e continuerà a farla. E preciso, l’ho fatto quando nel ’92 la legge anti-racket che risarciva non era stata neanche immaginata. Oggi c’è questo grande incentivo che ti mette nelle condizioni di poterti riprendere anche dal punto di vista economico.

(pubblicato su www.lindro.it)