Mafia: quando Cosa nostra trapanese voleva fare un documentario

A Trapani e fuori Trapani è vicenda nota. La mafia in questa provincia è stata battuta, così i maggiorenti insistono con il dire, quando per decenni si è detto che la mafia non esisteva, anche davanti ai morti straziati dalle mitragliette o dal tritolo, come accaduto esattamente 39 anni addietro ad un giudice, Gian Giacomo Ciaccio Montalto, e iol 2 aprile del 1985 a Barbara Rizzo Asta ed ai suoi due gemellini, di sei anni, Giuseppe e Salvatore, straziati da una bomba destinata al magistrato Carlo Palermo, rimasto illeso. Le indagini raccontano altro e continuano a dirci altro. Intanto c’è il primo dato di fatto, ed è quello che qui si nasconde e comanda il boss dei boss delle famiglie siciliane e cioè il castelvetranese Matteo Messina Denaro, 50 anni, ricercato dal 1993. Poi le sentenze anche recenti, ci dicono che qui si è insediata la mafia moderna, quella sommersa, quella che non ha chiesto il pizzo ma la quota associativa alle imprese, garantendo commesse facili facili, rapporti privilegiati con politica, burocrazia e banche, quella che non uccide ma che esercita pressioni con altre armi, di tanto in tanto un attentato incendiario, così da fare ricordare quali sono i pericoli per l’eventuale sventurato che vuole fare senza i mammasantissima, qui c’è la mafia dei grossi investimenti, del commercio, che si occupa di turismo. Qui c’è una organizzazione mafiosa che l’aveva pensata proprio bene: fare accompagnare le affermazioni della mafia battuta con un documentario sulla provincia di Trapani da pubblicizzare a livello nazionale, così che di Trapani si sarebbe parlato come Cosa nostra desiderava.

E’ questo uno dei risvolti dell’operazione Panoramic, dal nome di un grosso albergo di San Vito Lo Capo, finito oggi sequestrato. Polizia e Finanza hanno eseguito un maxi provvedimento di sequestro da 30 milioni di euro, immobili e residenze alberghiere, una residenza per anziani, estensioni terriere per 150 ettari, un centinaio di immobili e quasi altrettanto di conti correnti bancari e rapporti intrattenuti dai soggetti intestatari a Trapani e fuori da Trapani. L’operazione colpisce Michele Mazzara, 52 anni, nel 1997 arrestato per favoreggiamento ai latitanti, allora sembrava personaggio di poco conto, ha patteggiato una condanna a 14 mesi per il reato contestato, 11 mesi fu la pena patteggiata dalla moglie, Giuseppa Barone. Di lui a proposito di questa circostanza così disse il pentito di Alcamo, Vincenzo Ferro: “Sono stato inoltre presente, nel febbraio del 96, all’iniziazione di MELODIA Ignazio il dottore avvenuta a DATTILO nella casa nella disponibilità di una persona da me conosciuta come Enzo e che ho poi appreso chiamarsi Michele MAZZARA. Nell’occasione erano presenti: SINACORI e MESSINA DENARO Matteo; vi era inoltre in una stanza attigua anche il dottore PANDOLFO che entrò successivamente e venne anche lui affiliato.

Ricordo che al momento dell’affiliazione del MELODIA Ignazio, il SINACORI disse che io sarei diventato da quel momento il capo della famiglia di ALCAMO, decapitata a seguito dell’arresto di Antonino MELODIA avvenuto qualche settimana prima; io però feci presente che era opportuno che tale carica venisse affidata al MELODIA Ignazio sia perchè era persona ben conosciuta nel paese in quanto medico, in quanto fratello di Antonino e in quanto titolare di un ufficio pubblico che rilasciava i certificati di abitabilità, sia perchè io non me la sentivo, non essendo mai stato addentro nelle cose dell’associazione”.

Ne è passata da allora acqua sotto i ponti e Michele Mazzara secondo gli investigatori anziché fare un passo indietro, avrebbe fatto passi in avanti nella organizzazione mafiosa, finendo con l’essere indicato dal collaborante Nino Birrittella, anche lui imprenditore, arrestato nel 2005 e qualche mese dopo diventato collaboratore di giustizia, come uno dei vertici della rete di interessi illeciti della Cosa nostra trapanese. Tutto quello che di “buono” – si fa per dire – accaduto a Michele Mazzara le indagini lo hanno ricondotto alla politica. E’ stato intercettato a discutere con l’ex deputato regionale di Forza Italia, Giuseppe Maurici, proprio per cercare di trovare finanziamenti per realizzare quel documentario su Trapani, avrebbe tentato di mettersi in contatto con il senatore Antonio D’Alì, attraverso uno stretto collaboratore di questi, il consigliere comunale Totò La Pica, i poliziotti lo seguirono mentre di volata si fiondava su Palermo, per cercare di bloccare in aeroporto il senatore D’Alì che stava partendo o arrivando da Roma. In rapporti con Mazzara anche un noto professionista anche lui come Mazzara originario di Paceco, l’ing. Salvatore Alestra, presidente dell’Ato Rifiuti di Trapani. I due sono legati, risultano avere lavorato assieme, nelle ultime elezioni amministrative a Paceco sono stati molto attivi, almeno così appare da rapporti investigativi che fanno parte del fascicolo del sequestro disposto dalle misure di prevenzione.