Ma a Milano, signora ministro, la mafia non è solo quella ‘pulita’ e non tutti parlano

(di Luca Rinaldi)
Ieri mattina il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri è stata a Milano per inaugurare la seconda sede dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità, in via Moscova 47. La prima è di stanza a Reggio Calabria, con poco personale e impressionanti carichi di lavoro che i dipendenti faticano a smaltire. Ma questo è un altro discorso. Come è un altro discorso la valenza forse simbolica di aprire una sede dell’Agenzia a Milano, cuore della Lombardia, regione al quinto posto per immobili sequestrati e al terzo per numero di aziende tolte dalla gestione della criminalità organizzata. La sede dell’agenzia milanese è all’interno di uno degli appartamenti confiscati al ‘re delle bonifiche’ Giuseppe Grossi, protagonista nell’inchiesta sulle bonifiche nel quartiere Santa Giulia. Sempre per l’occasione una villetta di tre piani confiscata a un boss della ‘ndrangheta arrestato nel corso dell’operazione “La notte dei fiori di San Vito”, tra le prime operazione contro la ‘ndrangheta al nord. L’immobile, situato a Rescaldina è stato destinato come residenza temporanea per i genitori di bambini in cura all’ospedale Buzzi

Tuttavia al di là dei dati, importantissimi e che su questo blog abbiamo analizzato più volte, anche in modo dettagliato, e dei simboli, arrivano in giornata le dichiarazioni del ministro con cui, onestamente e avendo letto di qualche interrogatorio e ascoltato qualche processo, mi permetto di dissentire. “La domanda va posta nei termini giusti: se intendiamo come mafia la cultura mafiosa o lo sfruttamento del territorio per lo sviluppo del capitale. Come cultura omertosa a Milano non c’è la mafia”, dice il ministro ex prefetto di ferro.
“Non c’è la mafia – ha proseguito Cancellieri – nel senso che i cittadini milanesi sono assolutamente consapevoli del loro diritto di cittadini e non soggiacciono alle prevaricazioni e denunciano, c’è una forte capacità di reazione. Non c’è la cultura di una popolazione assuefatta a fenomeni che purtroppo in altre zone del territorio hanno anche storie diverse. Sotto il profilo dell’omertà e della diffusione del controllo minuzioso del territorio, a Milano non c’è. A Milano c’è invece, come in altre parti ricche del Paese e d’Europa, perché il fenomeno non si ferma qui, si sta sviluppando anche in altri Paesi europei, un fenomeno di utilizzo del denaro conquistato dalla mafia per gli investimenti. E naturalmente questi sono territori meravigliosi, appetibili, dove c’è ricchezza e capacità di produrre, e in questo senso c’è un problema. Io distinguerei, sono temi che vanno chiariti bene”.

Secondo il ministro quindi c’è un problema di soli investimenti dei capitali criminali. Verità questa inconfutabile, ma non isolata. Anzi, Cancellieri parla espressamente di cultura omertosa, a suo avviso assente. Qui è sufficiente andarsi a recuperare la requisitoria del pm Alessandra Dolci nel corso del rito abbreviato del processo “Infinito”, che ha portato poche settimane fa alla condanna di 110 persone, oppure alcuni verbali di interrogatorio, per capire il clima che si respira.

Facciamo ancora un passo indietro. Partiamo dal controllo del territorio. Esiste, ci sono le locali di ‘ndrangheta, cioè cellule strutturate sul territorio. Che fanno? Controllano il territorio con l’intimidazione e laddove non intimidiscono pochi sono i cittadini che parlano, perchè anche in alcune zone dell’hinterland milanese il territorio e della stessa Milano il territorio sfugge dalle mani dello stato. Basti pensare agli omicidi di mafia che si sono consumati in Lombardia negli ultimi anni e un episodio che, sempre parlando di controllo del territorio, rimanda al ferimento di un cittadino albanese da parte del boss Alessandro Manno, imputato che alla conclusione del processo “Infinito” in abbreviato a ricevuto la condanna più pesante a 16 anni di reclusione. Le indagini avevano appurato che Manno fosse colpevole del ferimento con armi da fuoco di un cittadino albanese in Pioltello (MI) proprio davanti alla stazione ferroviaria. Questi all’arrivo della polizia riferisce che “sono stati i calabresi”, salvo poi negare davanti all’Autorità Giudiziaria. Inoltre, poche ore dopo, viene captata una intercettazione in cui gli stessi appartenenti alla locale di Pioltello, sanno che anche chi ha visto non dirà nulla, perché “hanno paura tutti in questo paese”.

Episodi simili, con minacce, intimidazioni e pestaggi, capitano nei cantieri milanesi e in alcune attività commerciali. Episodi pesantissimi, raccontati in presa diretta dalle indagini, ma niente denunce. Chi ha parlato, ha parlato solo dopo gli arresti, e alcuni al momento della convalida del verbale si sono rifiutati di firmare le dichiarazioni. Senza poi contare chi volgeva a proprio favore la ‘protezione’ del clan per espellere i concorrenti dal mercato, cedendo quote in appalti e subappalti alle stesse aziende della ‘ndrangheta.

Proprio perché la denuncia è sempre un passo difficile, certamente non solo a Reggio Calabria o Palermo, ma sempre di più anche a Milano, dire che la mafia in quanto cultura omertosa non esiste, non solo restituisce un’immagine poco veritiera del fenomeno sul territorio, ma distoglie anche l’attenzione da alcuni problemi di fondamentale importanza nel contrasto alla mafia.

Più volte per altro gli inquirenti si sono spesi nel far notare la scarsa propensione di certa imprenditoria lombarda rampante nel prendere le distanze da certi rapporti imbarazzanti con gli emissari della mafia, arrivando non solo a un problema di tipo etico, ma sempre più spesso giudiziario. Un’altra donna di ferro, Ilda Boccassini, non si è mai tirata indietro nel fotografare una situazione in cui a fronte delle intimidazioni gli imprenditori che denunciano e rifiutano gli affari della mafia, sono una parte a dir poco irrisoria. Ci sono anche coloro che lavorano nella legalità e questo è innegabile, ma far passare il problema mafia a Milano come un problema di soli investimenti, magari con la retorica della cosiddetta “mafia pulita” è probabilmente una forzatura.

La ministro a margine dell’inaugurazione esorta la classe imprenditoriale a “reagire, reagire, reagire”. Un appello legittimo, che ci si augura, verrà seguito passo passo dalle autorità competenti, sul territorio nazionale, perché oggi le mafie non si battono solo a Roma, ma su ogni singolo territorio, dove la potenza delle mafie entra più facilmente nel tessuto sociale.(pubblicato su www.lucarinaldiblogspot.com)