I detenuti mi hanno guarita

(di Jana Cardinale)

Un’esperienza forte, sia umana che professionale, che segna e permette di maturare, apprezzando quello che nella “normalità” si dà per scontato. Ma la libertà non è scontata. Io li ringrazio. I detenuti mi hanno “guarita”.” E’ con queste parole che la dottoressa Sandra Titone, marsalese, dal 1° febbraio scorso in servizio presso la guardia medica del carcere di Favignana, comincia a raccontare la sua esperienza, che si concluderà il 31 dicembre del 2012. Ha iniziato al vecchio carcere, fatiscente e inadeguato, oggetto di visite e ispezioni parlamentari per verificare le condizioni generali dei detenuti, e da fine settembre, quando è stato inaugurata, ha iniziato a lavorare alla nuova casa di reclusione che ospita 120 detenuti provenienti da ogni parte d’Italia, e anche stranieri: serbi, croati, maghrebini. Adesso lavoro con sei medici, in servizio per 24 ore ciascuno, uno per ogni giorno della settimana, sempre a contatto con i detenuti condannati a pene definitive. Giovani, tra i 23, 24 anni, e più anziani, di 60 anni ed oltre>. Il nuovo carcere di Favignana, così come conferma il direttore Paolo Malato, che presiede anche la casa di reclusione marsalese, registra un lieve sovraffollamento, in linea con molte altre carceri italiane. E’ una struttura dignitosa che si distanzia non poco dalla precedente: un ex castello costruito nel 1100 e adattato a carcere, con le celle umide ma ampi spazi ricreativi. Adesso invece ci sono le celle con la tv, il citofono, le docce con l’acqua calda e 3-4 persone per stanza. . I detenuti hanno diritto ai momenti di aria e, oltre al pasto ministeriale anche a preparazioni autonome, grazie ai fornellini di cui sono dotate le celle, al cui interno si crea una vera e propria gerarchia. In carcere c’è la scuola e la scuola di teatro oltre che il progetto “ casa lavoro” riservato agli internati, ossia i detenuti che anche dopo la scarcerazione persistono nella condotta illecita e vengono monitorati, lavorando all’interno del carcere.
. E’ così che ci si sente dei privilegiati, sapendo che dopo 24 ore si è liberi al contrario di loro. Per chi ha vissuto esperienza personali tristi, ha avuto delle perdite, dei fallimenti, il confronto con i detenuti è una terapia e ieri mi ha fatto tenerezza un giovane che ha scontato la sua pena ed è venuto a salutarmi. Le prime notti qui sono state terribili, perché l’ambiente è crudo,poi mi sono adattata confrontandomi con loro. Purtroppo sono frequenti i gesti di autolesionismo in segno di protesta verso i magistrati che non li ascoltano o in generale. Un detenuti ha ingerito una lametta, c’è chi si cuce la bocca con del ferro filato, chi fa lo sciopero della fame, della sete. In caso di ferite interveniamo subito con delle patate bollite utili ad assorbire e non far ledere l’intestino>.
(pubblicato su La Sicilia del 15.12.2011)