Antimafia per arte o per mestiere

Quest’anno in Calabria per le feste natalizie si sono prodotti regali piuttosto bizzarri. L’idea è arrivata direttamente dal presidente dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, Salvatore Magarò, che infischiandosene dei classici torroncini, ha pensato bene d’inventarsi come regalo di Natale un rimedio contro la ‘ndrangheta: il cioccolatino ’anti’ndrina’
All’esterno il prodotto si presenta come una scatola di aspirine ma, in realtà, sulla confezione c’è scritto ’anti ‘ndrina’ e all’interno ci sono i cioccolatini al posto dei farmaci. Le scatole sono state distribuite da Magarò come gadget di Natale. E all’interno della confezione, come in ogni farmaco che si rispetti, portano tanto di foglietto illustrativo: “La malattia – si legge –si manifesta come un cancro che aggredisce le cellule della società civile. L’origine della trasmissione della malattia sono protette da una coltre di omertà, per questo è necessaria una terapia d’urto”. Inoltre, andando avanti nella lettura, alla voce “principio attivo” è scritto: “antivirale, inibisce la moltiplicazione di molti tipi di virus, tra cui quello della ‘ndrangheta, della mafia, della camorra, della Sacra corona unita”. Dosi consigliate da Magarò, una o più pastiglie al giorno, tanto col cioccolato gli effetti collaterali sono pochi.
“Quest’anno mi è venuto in mente di realizzare questa scatola in favore della legalità – ha detto Magarò commentando la sua iniziativa – se la Regione riterrà significativa questa mia idea non è escluso che la scatola si potrà distribuire anche in tutte le scuole calabresi”.
Certo la ‘ndrangheta, nonostante la massiccia dose di cioccolatini e scatole ‘anti ‘ndrina distribuite, poco dovrà temere per i suoi affari, che continueranno anche se la gente nel 2012 dovesse mangiare più cioccolata. In questo caso, almeno, non si è speso tanto per contrastare la criminalità organizzata.
Tanto, invece, si è speso e si spende per finanziare il Museo della ‘ndrangheta. La Provincia di Reggio Calabria, infatti, ha versato (e forse continuerà a farlo) più di 200 mila euro l’anno per mantenere in vita il Museo. E i fini per cui nasce un Museo della ‘ndrangheta in una regione piegata dalla criminalità organizzata sono nobilissimi. Ci si occupa infatti di ricerca, analisi, attività e programmazione del territorio, “con il fine di realizzare una conoscenza oggettiva della mentalità diffusa su cui l’elemento criminalità organizzata attecchisce. L’obiettivo è fare i conti in maniera razionale e cosciente e intervenire sulla trasmissione di valori che informino le nuove generazioni, agendo sui processi di inculturazione diretta e indiretta”.
Il Museo ha sede in una villa confiscata alla criminalità organizzata a Reggio Calabria,ristrutturata nel 2006 con una somma di 125 mila euro. Il progetto per la costituzione di un museo utile soprattutto a chi si occupa dello studio e alla ricerca del fenomeno mafioso, nasce nel 2009, con un protocollo d’intesa firmato in prefettura dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune, dalla cattedra di etnologia dell’Università. La Sapienza di Roma e dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria. Certo all’epoca della costituzione non si è discusso circa i costi del Museo. Semplicemente alla ‘ndrangheta si è deciso di rispondere con la cultura della legalità per conoscere davvero il problema mafioso e combatterlo con gli strumenti giusti.
Fra le sue attività principali, gli incontri con le scuole, la ricerca di documenti sulla mafia, alcune pubblicazioni, nate anche dalla collaborazione con le scuole che aderiscono al progetto come ’A mani libere’ e ’Vincere la ‘ndrangheta’.
Da nessuna parte però vi è scritto quanto costa ai calabresi il Museo e quali sono stati i risultati conseguiti. Sul sito si trovano solo le indicazioni su come fare una ’donazione’, invito indirizzato a chi vuole sostenere economicamente le attività del Museo. A sollevare per primo la polemica sull’utilità di un centro di studi, meglio conosciuto come Museo della ‘ndrangheta, è stato l’assessore provinciale, Eduardo Lamberti Castronuovo. La polemica ha riguardato i professionisti dell’Antimafia di sciasciana memoria. Quelli che, per dirla come lo scrittore appunto, fanno antimafia per professione e non per portare avanti una causa.
Un centro di studi sulla ‘ndrangheta dovrebbe essere composto da chi nella vita ha studiato e continua a studiare, con metodi scientifici, la mafia nella sua evoluzione storica, nelle sue manifestazioni e nel suo ruolo all’interno della società. Così è solo in parte. Nella sezione dei contatti del Museo, come si evince dal sito, c’è anche il nome dell’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani, ma non compare né il suo indirizzo di posta né un suo contatto telefonico, differentemente da tutti gli altri. Per il Museo, il primo passo per combattere la ‘ndrangheta è “nominarla”. E il secondo?
(pubblicato su www.lindro.it)