Un altissimo dirigente del Pd, ma issimo, issimo, issimo… mi ha detto…

Ho capito, finalmente ho capito come si fa il giornalista. Dopo tanti anni ho appreso la lezione. L’occasione mi è stata fornita da una collega che senz’altro può essere considerata la migliore di tutti noi, la più brava, la più sensibile, la più attenta ai problemi dei giovani. Che siano precari, mamme, intellettuali incompresi. Tutti li capisce e li accoglie: è Concita. Che all’assemblea di Tilt (organizzazione di giovanissimi e generosissimi militanti di sinistra) ha raccontato l’episodio delle elezioni regionali nel Lazio.

In sintesi. Lei, direttrice de l’Unità, viene informata da un lettore che il Pd nel Lazio non appoggerà la candidatura di Emma Bonino. Nei circoli è boicottaggio, non si distribuiscono santini, né volantini, non si invitano i militanti al voto e all’impegno. Ci conviene perdere, dice l’altissimo, ma issimo, issimo, issimo (così la direttrice De Gregorio nel racconto fatto ai giovani di Tilt tra risatine e clap-clap di compiacimento), perché la Polverini, competitor della Bonino, è finiana, se vince lei Fini metterà in crisi Berlusconi e noi poi potremo allearci con lui e con Casini e il grande centro….Quindi, la direttrice, apprende la notizia dall’altissimo (ma issimo, issimmo, issimo), e si tratta di una notizia bomba, uno scoop. Pensate: il Pd, maggiore partito di centrosinistra, travolto dallo scandalo Marrazzo ha l’opportunità di non perdere nel Lazio grazie alla disponibilità di una donna eccezionale, Emma Bonino, apprezzata in  Europa e nel mondo per la sua storia e il suo impegno umanitario e civile, e che fa? Decide di alzare bandiera bianca. A quel punto un minimo di etica professionale, un pizzico di rispetto per la donna Bonino, per la sua storia e la sua personalità, un fiato di dignità, avrebbe imposto che quella notizia venisse pubblicata, diventasse una bomba. Che attorno ad essa si costruisse una poderosa campagna giornalistica. Titolo: Il Pd non sostiene la candidatura Bonino. Occhiello in prima: le rivelazioni di un altissimo (ma issimo, issimo, issimo) dirigente: Ci conviene perdere.  Uno scoop di quelli veri, che avrebbe aperto un dibattito durissimo, suscitato reazioni degli altissimi (ma issimi, issimi, issimi) dirigenti del Pd. Un terremoto che forse avrebbe lesionato alle basi la casa del Pd, provocato reazioni indignate dei militanti generosi e probabilmente avrebbe reso meno ardua l’impresa di Emma Bonino: ridare dignità ad una sinistra squassata dallo scandalo. Invece, e qui apprendo la lezione di professionalità e di etica, la direttrice decide di nascondere la vicenda (andatevi a rileggere le pagine dell’Unità del periodo elezioni regionali nel Lazio), di dimenticarla, salvo poi ricordarsene due anni dopo. Cogliendo l’occasione di una assemblea di generosissimi giovani di sinistra, pieni di voglia di fare, di capire dove va la politica, di prendere questo Paese e di rivoltarlo come un calzino fradicio perché non se ne può più, per fare, finalmente, la sua rivelazione. Applausi, strette di mano, battute ironiche (dicci chi era? Era D’Alema?). L’eroina, l’impavida giornalista, finalmente sugli altari. E nessuno a chiedersi cose elementari: qual è il dovere civile di un giornalista (dovunque lavori, da chiunque sia pagato, chiunque sia il partito di riferimento) quando ha una notizia? E’ quello di pubblicarla o di tenerla nascosta e di ricordarsene due anni dopo per altri fini, altri scopi, altri interessi? Insomma, per ingannare (le parole, quando non sono conseguenti alle azioni e ai comportamenti, sono maledetti inganni) altre persone disposte ad ascoltare, in buona fede, bisognose di esempi in un  periodo di crisi civile e morale come questa. Ho capito come si fa il giornalista, e ho capito pure che hanno sbagliato tutti quelli che nella loro vita hanno pensato che la notizia veniva prima di tutto. Anche prima dei loro interessi, e molti anche prima della loro vita. Giornalisti ragazzi che in Calabria, Sicilia, Campania, vi fate il culo per 25 euro ad articolo quando va bene, e ricevete sputi e lettere di minaccia, e vivete l’incertezza del vostro futuro: non avete capito come va la vita oggi.  

Che mestiere meraviglioso e terribile è quello di giornalista se fatto rispettando etica e impegno civile: Cosimo Cristina aveva una notizia, la scrisse per il suo giornale, L’Ora di Palermo, e i mafiosi non gradirono: il 5 maggio del 1960 lo ammazzarono. Anche Beppe Alfano, giornalista de La Sicilia, le notizie le aveva e le pubblicava subito: lo uccisero l’8 gennaio del 1993. E poi Mauro de Mauro, 16 settembre 1970, Giovanni Spampinato, che lavorava per l’Ora di Palermo ed era corrispondente de L’Unità. Aveva 22 anni, pure lui le notizie le cercava e le scriveva appena sapute, non consultava prima altissimi (ma issimi, issimi, issimi) dirigenti di partito. Lo ammazzarono il 27 ottobre del 1972. Come Peppino Impastato, come Pippo Fava che non dava tregua alla mala politica e alla mala Sicilia. Come Giancarlo Siani, che per mezza notizia che offendeva un boss di camorra dalla panza prominente gli spararono in una calda sera di settembre del 1985. Aveva 26 anni, il bel film che hanno girato sulla sua storia gli ha restituito memoria e onore. Non la vita. Come Mauro Rostagno, ucciso nel 1988 perché da una scalcagnata tv dava filo da torcere alla mafia più potente, quella di Trapani. Davano notizie, sono morti per questo. Ma in un’altra epoca. Oggi, è il tempo dei talk-show, dei miti falsi e farlocchi, vincono i guitti e sono applausi democratici e di sinistra. Le gente, stanca e in buona fede, ha bisogno di esempi, sente parole e si emoziona, non si accorge che sono false e partono applausi, e forse candidature. Ho capito come si fa il giornalista, certo che ho capito. Ma mi dispiace, con modestia mi dispiace, non sono d’accordo. Continuerò a fare come cazzo mi pare.