Muschilli tra infanzia e camorra
Giancarlo Siani li chiamava i muschilli, baby spacciatori, quelli a cui dedicò il suo ultimo articolo prima di finire, unico giornalista ucciso dalla camorra, sotto i colpi di Gionta, Nuvoletta e compari. Bambini in terra di camorra, ha ragione Totò, si nasce non si diventa. Anzi a volte non si ha il tempo di venire al mondo che si è già grandi, già dentro i meccanismi del Sistema, vittime di un substrato culturale quasi folkloristico che non lascia spazio ad alcun riscatto. Bambini di camorra, che pagano l’essere figli ad un padre o una madre, che appartengano alla sfera dei cattivi o dei buoni, poco importa. Sono vittime.
Simonetta Lamberti era una bambina quando a soli 11 anni, il 29 maggio 1982, fu massacrata mentre era in auto accanto al padre, vero obiettivo dell’attentato, il giudice Alfonso Lamberti. Tanto bastò ai giornalisti per derubricare, un po’ troppo frettolosamente, quella barbarie sotto la categoria “uccisa per sbaglio”. Come se un killer che si prepara ad attentare alla vita di un uomo adulto, un uomo di giustizia e spara noncurante della presenza di una bambina, possa nascondersi dietro l’attenuante dell’errore umano.
Un omicidio, quello di Simonetta, che sfatò il mito di una camorra che ha un codice d’onore che non tocca donne e bambini. Balle: il nome di Simonetta echeggia insieme a quelli di tante, troppe, vittime innocenti nell’interminabile elenco che ogni 21 marzo il popolo di Libera ricorda all’Italia intera.
A 29 anni da quel giorno disumano, la storia di Simonetta rispunta in tutta la sua crudezza: un anziano pregiudicato di Nocera Inferiore si autoaccusa dell’assassinio, era un uomo di Raffaele Cutolo, O’ Professore. E così si riapre l’inchiesta su quella morte assurda. Prima di lui, nel 1987, la Corte di Assise di Salerno aveva condannato all’ergastolo Francesco Apicella, riconosciuto come l’uomo alla guida dell’auto da cui partì il fuoco.
Di Simonetta a Cava de’ Tirreni restano solo affettuosi ricordi: l’intitolazione dello stadio comunale, un monumento eretto in suo nome, una targa in una biblioteca di una scuola. Ma soprattutto resta la grande rivelazione che, quella bambina dai capelli chiari e il sorriso intenso, ha senza saperlo donato al mondo: la camorra è, per parafrasare Peppino Impastato, una montagna di merda soprattutto per i bambini. E’ stato questo lo sgarro postumo più grande che Simonetta ha fatto ai suoi aguzzini: basti pensare che O’ Professore, dalla sua cella nel carcere di Novara, si è sentito talmente offeso nel vedersi additato da Roberto Saviano quale mandante di quell’omicidio, che ha dovuto querelarlo.
Simonetta è solo la prima piccola vittima innocente: dal 1989 al 1991 a Napoli vengono uccisi sette minori, il più piccolo, Nunzio Pandolfi aveva due anni il 18 maggio del 1990, quando mentre guardava la tv in casa nel quartiere della Sanità, venne raggiunto da una raffica di mitra.
Fino ad arrivare alla più recente fine di Annalisa Durante, la bella 14enne di Forcella, usata come scudo umano da Salvatore Giuliano, vero obiettivo del commando di fuoco. Era il 27 marzo 2004, una sera qualunque di inizio primavera da passare sotto casa, sui motorini fermi a chiacchierare con le amiche dell’ultima puntata della trasmissione preferita o del compagno di classe per cui hai preso una cotta. Gesti normali che a Napoli possono costarti la vita. Anche a 14 anni. “Vivo e sono contenta di vivere, anche se la mia vita non è quella che avrei desiderato”, scriveva nel suo diario di adolescente Annalisa prima di morire.
E chissà se i bambini dell’esercito del male, hanno scelto la loro vita al servizio della camorra. Una realtà che ancora sfugge alla stampa e a quella cronaca che predilige il fatto di sangue rispetto ad un’analisi sociale e culturale, che indaghi fino in fondo le piaghe di una società, dove chi dovrebbe rappresentare il futuro nasce già nelle catene del Sistema.
Sono veri e propri bambini soldato perché, come dice Don Tonino Palmese, referente di Libera Campania, “appartengono all’esercito del male”. Una realtà macroscopica che solo chi conosce Napoli può comprendere: non ci sono statistiche che dicono quanti sono i bambini che fanno da palo all’ingresso dei vicoli dello spaccio, o che accompagnano gli adulti a riscuotere il pizzo dai negozianti del centro storico, o che vengono letteralmente addestrati a scippi e rapine. Ragazzi che fin da piccoli mettono in conto, come veri capi dei capi, di finire in gattabuia o davanti ad un giudice minorile. Quasi fosse un gioco. A volte lo fanno per bisogno, perché provenienti da famiglie ai margini che campano grazie a servizi di vario tipo offerti alla camorra; altre volte per acquistare una maglia firmata o un motorino all’ultima moda. E addio scuola, amici, giochi, sport. Addio infanzia, addio normalità.
Basta fare un giro nelle stradine di un qualsiasi paese dell’hinterland partenopeo per rivedere davanti agli occhi, il giovane Siani che bic e taccuino alla mano, prende appunti per il suo ultimo pezzo pubblicato da ’Il Mattino’. “Mini-corriere della droga per conto della nonna: dodici anni, già coinvolto nel giro dell’eroina. Ancora una storia di ’muschilli’, i ragazzi utilizzati per consegnare le bustine. Questa volta ad organizzare il traffico di eroina era una nonna-spacciatrice. Era lei a tenere le fila della vendita con altre due persone ed il nipote”. Era il 22 settembre 1983, Siani fu assassinato il giorno dopo. I “muschilli” sono ancora lì.
(pubblicato su www.lindro.it)