Le malavite di Montesacro

“Non può esistere una seria lotta alla camorra se non c’è una lotta altrettanto dura per un mondo più giusto ed equo, attraverso un ripensamento strutturale del sistema economico e sociale in cui vivono la maggior parte dei giovani del Sud Italia”.

E’ questa la convinzione di Marco De Biase, autore del libro ‘Come si diventa camorristi – La trasformazione di una società meridionale’ . Non il solito romanzo su una camorra violenta che spara, che insanguina le strade della Campania, né l’inchiesta classica a cui siamo abituati, con la ricostruzione di percorsi processuali e indagini delle forze dell’ordine.

‘Come si diventa camorristi’ è un viaggio nelle viscere di una comunità dove la camorra mette le sue marce radici nei vuoti lasciati da stato e politica, partendo dai racconti degli stessi protagonisti: tutte persone normali, tutte potenziali pedine de ‘o sistema’. De Biase si immerge nelle dinamiche sociali di Montesacro, nome immaginario di un comune irpino, una sorta di plastico applicabile all’intero Sud Italia. Quali sono le dinamiche di trasformazioni che Montesacro subisce negli anni? “Il libro è un’etnografia politica che indaga e racconta le dinamiche economiche, sociali e politiche che hanno caratterizzato questo pezzo di entroterra meridionale. La trasformazione di Montesacro passa certamente per la disastrosa politica dei ’poli di sviluppo’ a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, per la clamorosa vicenda del Programma di fabbricazione del 1973, per la speculazione edilizia e l’urbanizzazione selvaggia del prima ma soprattutto del post terremoto 1980 e per l’incontrollata diffusione sul territorio dell’economia della grande distribuzione. E’ la storia di un paese che diventa da piccolo centro di provincia a periferia di Napoli”. Il testo è il racconto diretto di nuove marginalità sociali. Sono storie di ragazzi che non sono nati criminali, ma lo sono diventati. Come vivono oggi a Montesacro questi giovani? “Tutto ciò, insieme alla disoccupazione diffusa e al precariato selvaggio, ha eretto una sorta di muraglia invalicabile per quanto riguarda la partecipazione alla vita sociale, culturale e politica del paese. Il paradosso è che in questo vuoto si inserisce la camorra. Per questi ragazzi la criminalità organizzata funziona rappresenta un’occasione di riscatto sociale. Diventano affiliati e vittime allo stesso tempo sia dell’organizzazione criminale sia delle istituzioni che scatenano su di loro la furia repressiva”.

Come hanno reagito gli abitanti di Montesacro, vedendosi intervistati su un tema dove spesso l’omertà e la paura la fanno da padroni? “La ricerca è stata accolta con grande curiosità ma anche con molto sospetto. Le reazioni sono state le più diverse, avendo intervistato personaggi con biografie profondamente differenti le une dalle altre: dagli ex sindaci, ai politici fino alle gente comune. Ovviamente il contenuto delle dichiarazioni va inserito nel complesso contesto del paese e non trascendono interessi politici, economici e personali. Il mio lavoro è in qualche modo una controstoria e in questo senso ho privilegiato le testimonianze di coloro che sono stati sempre esclusi dalla storia stessa; tra le storie e le biografie di fame e miseria delle vecchie generazioni e quelle drammatiche e senza scampo delle nuove generazioni. L’unica speranza che le biografie raccolte di questi ragazzi e di questo territorio ci lasciano quella collettiva, per sottrarsi e per rispondere a un sistema di privazioni, di dominio e di oppressione come quello perpetrato in Irpinia e nel Mezzogiorno in generale. Non mi sembra che ci sia altro modo per resistere e insieme combattere i meccanismi del privilegio”.

 (pubblicato su www.lindro.it)