Il poliziotto che truffava

“Solito ponte, solito punto, lettera urgente un consiglio vai che è meglio”. Stesso linguaggio, uguali mezzi di comunicazione, identiche le buste utilizzate per spedire le missive di minaccia. La sorpresa è che questa volta a finire in carcere è Antonino Consolato Franco, un poliziotto con la vocazione per i delitti e le truffe. Lo scenario è Reggio Calabria e alcune delle vittime di questi raggiri sono stretti parenti di Orsola Fallara, l’ex dirigente del Comune di Reggio, morta dopo aver tentato il suicidio con l’acido muriatico; di Gianluca Congiusta, imprenditore ucciso dalla mafia in un agguato e del vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno, anch’esso ucciso dalla mafia.
I militari dell’Arma del Comando provinciale di Reggio Calabria, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia reggina questa mattina hanno arrestato, assieme a Franco, anche Angelo Belgio e applicato una misura cautelare agli arresti domiciliari per Rosa Bruzzese, moglie e complice del poliziotto. “Vai ad Ardore Marina, scendi sul lungomare, dal primo passaggio a livello, venendo da Bovalino; sul lungomare gira a sinistra e fai fino in fondo direzione Locri. Sulla tua sinistra vedrai un residence di colore rosa, a fianco c’è l’abitazione in questione fotografata. Entra dal cancelletto aperto. C’è un portone di ferro senza vetri. L’appartamento è al primo piano, proprio di fronte la scala”.
Questo il tenore di alcune delle missive indirizzate alle vittime. L’indagine ha documentato tutta l’attività di questo nucleo organizzato di persone pronte a manipolare informazioni in loro possesso e che offrivano, sotto ricatto, ai prossimi congiunti di persone a vario titolo coinvolte (realmente o ipoteticamente) in vicende giudiziarie.
I tre componevano dunque una vera e propria associazione per delinquere, finalizzata a commettere delitti quali estorsioni, violenza privata, falso materiale e ideologico, truffa, abuso d’ufficio, sostituzione di persona ed altri reati ancora. Il poliziotto, Franco, secondo le indagini dei carabinieri, è risultato capo e promotore del sodalizio. Assumeva informazioni riservate in relazione ad importanti vicende giudiziarie del Distretto di Reggio Calabria, anche in ragione del proprio ufficio, individuava le persone a cui chiedere denaro, stabiliva la strategia da seguire, predisponeva la documentazione da utilizzare in occasione dei singoli reati, impartiva disposizioni agli altri associati e manteneva, anche personalmente i contatti con le vittime.
Angelo Belgio coadiuvava l’attività di Franco e gli forniva tutte le informazioni utili del caso. Mentre la moglie del poliziotto, Bruzzese, gli forniva il necessario supporto logistico ed informativo. Soprattutto collaborava con Franco per mantenere i rapporti con le vittime e metteva a disposizione del gruppo le schede telefoniche intestate a terzi.
La prima truffa è quella ai danni del fratello di Orsola Fallara, Paolo: Il gruppo aveva fatto pervenire a Paolo Fallara, più lettere anonime indirizzate alla sorella. Nelle lettera veniva segnalata l’imminente emissione di una ordinanza di custodia cautelare nei confronti della Fallara. Ecco che la squadra di truffatori si mostrava disponibile a far avere all’interessata la copia dell’informativa in questione in cambio di un corrispettivo di 30 mila euro.
L’associazione si impegnava inoltre a far sapere in tempo utile quando l’ordinanza sarebbe stata eseguita. Oltre al danno economico che i tre provocavano alle vittime prescelte, vi era anche quello del timore che le stesse vittime provavano dopo aver letto quelle lettere.
Le indagini sul poliziotto sono partite, suo malgrado, proprio grazie alla denuncia di Paolo Fallara. Infatti, durante un servizio di appostamento, i militari sorprendevano Franco, vice sovrintendente della Polizia di Stato in servizio al NOP di Reggio Calabria, assieme a Belgio, nella località designata per la consegna del denaro. In quella occasione Franco disse di trovarsi con un suo informatore che gli avrebbe fornito notizie utili per la cattura dei latitanti. Da lì sono partite le indagini e le perquisizioni estese anche alle rispettive abitazioni, dove è stato trovato del materiale utile ad accertare la colpevolezza dei tre soggetti. La Fallara era altresì stata invitata a non denunciare il ricatto e non chiedere aiuto “all’amico pezzo grosso che prima stava a Reggio e poi a Roma”. L’amico importante della Fallara, secondo quanto scrivono i magistrati reggini, è il questore Mario Blasco “intimo amico di Paolo Fallara e cognato, poiché coniugati a due sorelle, di Ferraro Salvatore e Francesco Nicola, a sua volta cognato di Fallara Paolo”.
Segue la truffa ai danni di Francesca Bruzzaniti e Mirco Monteleone: In questo caso Franco spediva due lettere. Una indirizzata a Mirco Monteleone e l’atra, appunto, a Francesca Bruzzaniti. All’interno di queste lettere erano indicate le istruzioni da seguire per ottenere, in cambio di un corrispettivo di dieci mila euro, dei documenti che provavano l’estraneità di Alessandro e Giuseppe Marcianò, rispetto all’omicidio dell’onorevole Fortugno, per il quale i due sono stati arrestati.
Mirco Monteleone è il cugino di Paola Macrì, figlia di Annamaria Cordì, nonché sorella di Salvatore, assassinato a Locri e di Vincenzo, condannato all’ergastolo, entrambi con ruoli apicali all’interno della ‘ndrina.
Francesca Bruzzaniti è invece la moglie di Alessandro Marcianò e madre di Giuseppe Marcianò, condannati per essere stati i mandanti dell’omicidio Fortugno. In questo caso la truffa è stata scoperta durante una ispezione dei carabinieri in località ’La Scogliera’ di Africo. I militari stavano cercando la documentazione relativa all’omicidio di Fortugno. Durante l’ispezione, dunque, in una costruzione diroccata, adibita a chiosco in estate, sotto una lastra di cemento armato è stato trovato un sacchetto azzurro di plastica che conteneva un foglio di plastica trasparente e dentro a questo una busta gialla per le lettere. Sull’etichetta bianca della busta c’era scritto: “Per la signora Bruzzaniti Lella, via Garibaldi VI traversa, nr 9, Bianco di Reggio Calabria. All’interno della busta, un’altra busta con delle indicazioni per Francesca Bruzzaniti, la sorella di Lella, con un foglio contenete delle raccomandazioni. Appunto dieci mila euro in cambio della documentazione che dimostra l’estraneità dei Marcianò all’omicidio Fortugno. La lettera si chiudeva con la frase: “Se noi avremo problemi, prima di sabato, chiameremo a casa Reale e diremo, dite alla signora che tutto è rinviato…omissis…”.
Infine, la truffa ai danni di Mario Congiusta: in particolare, Franco, ha fatto arrivare a Congiusta la solita lettera anonima in cui sosteneva di sapere dell’esistenza di materiale probatorio che dimostrava la colpevolezza di Salerno e, di conseguenza, l’innocenza di Tommaso Costa, in relazione all’accusa per l’omicidio del figlio, Gianluca. La somma richiesta a Mario Congiusta era di 50 mila euro e, in caso di rifiuto da parte di Congiusta, l’anonimo scrittore diceva di consegnare il materiale in suo possesso direttamente ai Costa. Questa vicenda ha intimorito la vittima che ha subito pensato all’ipotesi di inquinamento probatorio. Anche Congiusta ha denunciato l’episodio alle forze dell’ordine. Il gruppo criminale si firmava con la lettera “B”, il che ha dimostrato il collegamento fra le tre storie, riconducendole ad un’unica mano.
L’organizzazione ha agito nel 2008 in tutti i tre casi. I tre si erano inventati anche un codice linguistico per potersi parlare senza destare sospetti. Nel linguaggio diverse sono le interruzioni di discorsi rimandati a successivi incontri di persona, con l’adozione di termini che nulla hanno a che fare con il reale contenuto della conversazione e che vengono utilizzati proprio per mascherare i riferimenti alle attività illecite portate avanti. E così le prostituite – come emerge dall’ordinanza – vengono indicate come le “cameriere”; il luogo di esercizio della prostituzione “ristorante”; il ciclo mestruale delle donne come perdita di benzina ecc.Antonino Franco aveva a casa anche dei ritagli di fogli che riportavano il timbro della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e uno che riportava il gruppo firma del sostituto procuratore generale Francesco Mollace, anche lui vittima dei truffatori dunque.
Una vicenda che ha dell’incredibile non solo perché parla di raggiri ma perché un uomo in divisa che, in Calabria come altrove, dovrebbe rappresentare lo Stato, la legalità, dovrebbe dare l’esempio, è invece protagonista di un sistema illegale. Un sistema talmente illegale che colpisce direttamente gli uomini che sono stati vittime della mafia, i loro parenti che oltre al dolore hanno dovuto sopportare anche le pressioni e gestire la paura. Se non le vittime della mafia colpisce chi si è tolto la vita (probabilmente) per mettere fine alla parola illegalità. Come Orsola Fallara e gli scandali in cui è stata coinvolta nel suo ruolo di dirigente del settore Tributi del Comune di Reggio Calabria.
Una vicenda che lascia l’amaro in bocca, proprio perché dimostra, ancora una volta, come sia difficile stabilire il confine fra legittimo e illegittimo, giusto e ingiusto, legale e illegale. E la ‘ndrangheta di questo sistema è sia causa che effetto.

(pubblicato www.lindro.it)