Cinque pentiti: così noi aiutiamo i politici

Dottore , se io so dove abito,e per andare a casa devo passare da Botteghello, ma so che in quella zona ci sono i fuochi d’artificio, per tornare a casa cambio strada”. E’ il 9 settembre e a Reggio Calabria fa caldo. Nell’ufficio del pubblico ministero Giuseppe Lombardo,ancora di più. Soprattutto dopo le parole sussurrate dall’avvocato Lorenzo Gatto,difensore di buona parte del Gotha mafioso della città. Ha chiesto di entrare nella stanza, ma ha lasciato la porta aperta. L’avvocato non perde tempo in premesse. Prende sottobraccio il pm, lo porta in corridoio e continua a parlare. “Dottore lei sta dando fastidio, stia attento e quando fa un’inchiesta si faccia affiancare da un suo collega”. Lombardo sta indagando sui rapporti tra boss e politica, la sua inchiesta “Meta” è ormai a processo e rischia di alzare il sipario sul livello alto delle collusioni. Mafia e politica, boss e zona grigia, anfratti finora scarsamente esplorati . Insomma  un magistrato “non gradito”, un pm ad altissimo rischio. Stesso discorso di Gatto pochi giorni dopo, il 14 settembre durante la pausa di una udienza. Il compito di dare una lezione a Lombardo sarebbe stato affidato alle “famiglie” che controllano l’area dove vive il magistrato. Sono ‘ndrine federate alle cosche che contano, De Stefano,Tegano. Alta mafia. Ma quello che più allarma è che si tratta di gruppi che hanno una forte di disponibilità di esplosivo da cave. Quando parliamo all’avvocato Gatto di questa storia si irrigidisce. “Scriva che io non ho attinto notizie da ambienti criminali,stimo il dottor Lombardo e gli ho voluto rappresentare solo  delle  mie semplici deduzioni, tutto qui”. Dei colloqui e delle “deduzioni” del legale,il pm Lombardo ha fatto relazioni scritte al procuratore Giuseppe Pignatone, Gatto  è stato interrogato a fine settembre. Ma il 4 ottobre, le affettuose “deduzioni” hanno assunto la forma inquietante di un pacco bomba. Indirizzato al pm Lombardo,ovviamente. Un ordigno sofisticato fatto trovare sotto gli uffici della procura. Era incellofanato, dentro, in evidenza, la foto del giovane magistrato accompagnata da un bigliettino “E’ tutto pronto per la festa”.

In piena estate,la procura antimafia reggina ha interdetto l’avvocato Gatto dalla professione per due mesi  accusandolo di essere “il postino” del boss Luciano Lo Giudice. Portava “i pizzini” del capintesta della ‘ndrina a suo fratello Antonino, che ad ottobre del 2010 si pente e “se la canta” sui rapporti della cosca con magistrati, avvocati, gente che conta. Nino Lo Giudice racconta che si rivolgeva a Gatto, che i mafiosi chiamavano “Mastrolindo”, per avere informazioni su operazioni  di polizia, spesso imminenti , sempre supersegrete ma stranamente note in anticipo a certi ambienti. Quando a luglio gli perquisiscono lo studio, il legale avverte magistrati e poliziotti :”Attenti potreste trovare documenti coperti dal segreto di Stato”. Quei documenti, però, non sono stati ancora trovati. Si scava nei computer sequestrati e nei file cancellati. Misteri di Reggio , città avvolta dalle nebbie e dai veleni. Qui sta succedendo qualcosa di grosso. Lo dicono le 200 intercettazioni preventive che da mesi stanno mettendo sotto osservazione i telefoni dell’area grigia, si sussurra di imminenti operazioni sulla ‘ndrangheta al Nord che piomberebbero  anche sulla politica reggina. Ancora misteri, perché a Reggio,come ha detto un esperto di rango, il mafioso Roberto Moio, “la ‘ndrangheta  è la politica e la politica è la ‘ndrangheta”. E Moio, pentito dal 29 settembre 2010, di nomi di politici ne ha fatti. E’ uomo di ‘ndrangheta da quando aveva 17 anni, sa delle guerre di mafia ed è imparentato con la figlia Tegano. “Con la politica- dice interrogato in un processo d’Appello il 19 ottobre- abbiamo sempre avuto ottimi rapporti. Abbiamo raccolto sempre voti, ogni periodo i miei zii (i boss Tegano,ndr) candidavano qualcuno. Abbiamo sempre aiutato i politici, la maggior parte di destra, ma ultimamente De Gaetano (Nino, eletto in Rifondazione al Consiglio regionale, ora in predicato di passare al Pd, ndr)…”. “In tanti- continua- salivano spesso in via Corvo, ad Archi (il quartiere generale di Tegano,ndr). Gigi Meduri (ex parlamentare Margherita,ndr), Renato Meduri, dottori…abbiamo sempre votato per il Sindaco Scopelliti, attraverso Peppe Agliano (ex Assessore al bilancio del Comune,ndr)..”. Peppe Scopelliti, golden boy del Pdl e governatore supervotato della Regione, è l’uomo forte della politica calabrese . Con Moio sono ben cinque gli ex mafiosi pentiti che fanno mettere a verbale di aver gli dato sostegno elettorale. Nino Lo Giudice il 7 dicembre 2010: “Gli abbiamo dato i voti io e la mia famiglia”. Giovanbattista  Fragapane,  ex killer dei De Stefano,pentito dal 2004 :”Alle elezioni sentivo sempre il nome di Scopelliti”. Nino Fiume, imparentato con i De Stefano e collaboratore di giustizia: “Ero amico del sindaco, lo conosco da quando l’ho appoggiato politicamente”. Paolo Iannò, ex braccio destro del “Supremo” Pasquale Condello :”In relazione a Giuseppe Scopelliti  si diceva che era appoggiato dalla ‘ndrangheta già da quando ero latitante”. Parole di pentiti che vagano  di inchiesta in inchiesta, bollate come menzogne dal governatore che annuncia reazioni e querele. E invita sempre ad avere fiducia nella magistratura.”Ma una fiducia selettiva”.

Brutto clima in riva allo stretto. Dottore, si sente tranquillo? La domanda è rivolta a Salvatore Di Landro. E’ il procuratore generale che ha avuto il torto di rimettere ordine in quello che tutti in città chiamano “l’ufficio sconti”. Gli hanno messo due bombe, una il 3 gennaio 2010 sotto il suo ufficio, un’altra, il 25 agosto, l’hanno piazzata sotto casa sua. “Non mi sento assolutamente tranquillo. Le indagini non sono venute a capo di niente e ancora oggi  non conosciamo movente e mandanti di quegli attentati. Se la ‘ndrangheta è una struttura verticistica e unitaria, i Lo Giudice da chi hanno avuto il via libera alla strategia della tensione?”.La domanda è ancora senza risposta.

(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 3 novembre 2011)