Sfiducia anche al governo europeo

In tema di risposte alla crisi economica, ma anche di fiducia e sfiducia nelle istituzioni nazionali e comunitarie, l’intervento del professore di Economia pubblica all’Università Roma 3 Paolo Leon.

Anzitutto, qual è il suo giudizio “a caldo” sugli sviluppi della manovra economica che coinvolge il nostro Paese? Possiamo avere più fiducia nel nostro esecutivo più di quanta non ne abbiano Angela Merkel e Nicolas Sarkozy?

No, penso di no. Noi abbiamo lo stesso giudizio che hanno i capi di stato esteri sul nostro governo. Lo dimostrano gli indici di gradimento dei diversi personaggi del governo stesso. La differenza è che mentre noi abbiamo il diritto di criticare il nostro governo, gli altri stati possono avere un atteggiamento più diplomatico, visto che nessuno è innocente.

E come cittadini, quanta fiducia possiamo riporre nelle istituzioni comunitarie in questo momento?

Poca fiducia, perché le istituzioni comunitarie nel frattempo non sono semplicemente burocratiche, come abbiamo sempre detto, perché il Parlamento conta molto poco e non interferisce in nessuna questione centrale come quelle che riguardano la Banca Centrale Europea e la Commissione. Quindi, nella situazione attuale, come anche negli anni precedenti, l’Europa si presenta più come un ’regolatore’ che come un governo. Perché se invece avesse veramente capacità di governo, riconoscerebbe che la crisi è di tutti, non è semplicemente una crisi del debito pubblico dei paesi mediterranei, ma è una crisi di domanda che rende difficili le condizioni economiche di ciascun paese europeo, compresa la Germania: il vantaggio che hanno i tedeschi rispetto a noi si sta erodendo piuttosto rapidamente. Cosi, se l’Unione Europea non può fare effettivamente nulla contro la crisi e la disoccupazione, se non raccomandare il pareggio di bilancio e la riduzione del debito, si rivela una istituzione sostanzialmente inutile, spesso dannosa.

Parliamo allora di proposte. Secondo lei l’utilizzo di fondi europei per aiutare l’economia italiana, parlo per esempio degli aiuti alle piccole imprese o all’agricoltura, può essere una delle vie d’uscita dalla situazione attuale?

Una parte certamente si, perché si tratta di risorse che ci sono state sottratte perché provengono dall’Iva versata all’Unione Europea, quindi è giusto che rientrino nel circuito economico italiano, non sono grandissime risorse, però sono risorse. Queste devono rientrare, ma devono rientrare nella forma di poter generare una domanda effettiva per le imprese piccole, medie ed anche grandi che sono oggi in grande difficoltà. Se prendono la via di semplici incentivi o riduzione di fiscalità, raramente possono determinare un miglioramento delle condizioni delle imprese. Queste devono vendere i loro prodotti, quindi devono avere davanti a se la possibilità di avere dei compratori. Questi compratori sono di due tipi: i compratori esteri e i compratori interni. Quelli esteri sono in un certo senso determinati non dalle nostre condizioni ma dal valore che ha l’Euro rispetto alle altre monete. Siccome il valore dell’euro è piuttosto elevato, anche se si è ridotto recentemente, la domanda estera è frenata. La domanda interna è frenata perché i salari sono bassissimi, le famiglie non ce la fanno e come risultato non comprano. Alla fine è questo il vero problema.

Ha parlato ora di crisi di richiesta da parte delle famiglie. In questo quadro l’aumento dell’Iva è stata una manovra intelligente?

No, è una manovra che aumenta i prezzi, non aumenta la domanda e si ripartisce in maniera molto ingiusta su tutti i contribuenti. L’unico suo vantaggio è che è relativamente piccola, però piccola com’è non faciliterà la lotta all’evasione.

Non potrebbe essere più opportuno fare come negli Stati Uniti, dove tutto può essere detratto dalle tasse e quindi si è meno indotti ad evadere l’I.v.a.?

Non tutto, anche in America qualcosa può essere evaso. Ma grandi capitoli di spesa si, può essere dichiarato e sottratto al reddito. Si potrebbe benissimo fare ed in parte si è anche fatto in Italia, ma in una maniera molto ridotta, sempre perché si ha paura di perdere il gettito fiscale, mentre si guadagnerebbe moltissimo in termini di lotta all’evasione. Anche il governo di centro-sinistra era molto timido su una riforma di questo tipo che andrebbe fatta, certo che andrebbe fatta.

Parlando sempre di riforme, uno dei nodi critici in questi giorni per il governo è quello delle pensioni. Qual è il suo avviso al riguardo?

E’ l’ultimo rifugio dei mascalzoni…(ride). Perché la situazione delle pensioni in Italia presenta grandi disparità, questo è verissimo, e quindi bisognerebbe ricostruire un sistema pensionistico dove non l’eguaglianza, ma una giusta ripartizione tra la gente che finisce di lavorare ci sia. Oggi per esempio abbiamo una difficoltà con le pensioni di anzianità, perché su questo si applica ancora il vecchio metodo retributivo, e non quello contributivo, che è naturalmente un difetto, perché privilegia i lavoratori che possono godere della pensione di anzianità rispetto ai lavoratori che invece debbono o possono godere solo della pensione di anzianità. Ma se si elimina questa differenza, poi una differenza tra anzianità e vecchiaia deve rimanere per tutti i lavori che sono effettivamente usuranti. Pare che una classifica sia stata fatta – nessuno l’ha vista bene, i sindacati si sono interessati ma non sappiamo cosa hanno deciso – e il risultato è che in questo momento se si toccano le pensioni di anzianità il consenso intorno ad alcuni partiti del governo si dilegua. La cosa poteva essere fatta in maniera più seria immaginando una riforma complessiva che però non doveva ridurre, ripeto non doveva ridurre il rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo, che è già basso.

Chi si oppone all’aumento dell’età pensionistica spesso asserisce che se nessuno va più in pensione c’è meno lavoro per i giovani. E’ un’ affermazione vera o solo un pretesto?

No, è un risultato e non una causa. Il problema delle pensioni dipende dal fatto che noi non abbiamo, ormai da tanti anni, una vera piena occupazione. Nessun governo si è mai interessato di avere come obiettivo centrale delle politiche economiche di mandare a lavorare il massimo numero di persone, perché se lavorassero tutte le donne che lavorano in Germania, e tutti i giovani che lavorano nel resto d’Europa, avremmo un eccesso di risorse dentro l’Inps e dentro l’Inptap, e non avremmo mai avuto nessun problema pensionistico neanche negli anni scorsi. Il problema delle pensioni è un problema del mercato del lavoro, non delle pensioni.

E allora per rilanciare il mercato delle pensioni quali proposte possono essere avanzate, suo avviso?

Purtroppo bisogna tornare indietro a cose che sono state “espulse” dal linguaggio economico, dalla teoria economica ed anche dalla pratica. Se il settore privato non è in grado di produrre nuovi posti di lavoro ci deve pensare il settore pubblico, è inevitabile. Questo costa, naturalmente, e quindi pone sotto stress il disavanzo ed il debito pubblico. E’ per questo che deve intervenire l’Europa, perché l’Europa non può consentire che per ridurre il debito ed eliminare il disavanzo corrente si produca ancora disoccupazione. Il suo scopo non è quello di rendere infelici le persone. Basterebbe fare una cosa semplicissima per rimediare a situazioni di eccesso di debito come quelle in cui ci troviamo noi da trent’anni, ed è che la Banca Centrale Europea finanzi nella misura che sia contrattata e programmata i disavanzi pubblici dei paesi che devono crescere. Questo è sempre successo, succede ancora negli Stati Uniti, succede in Cina, succede in Argentina, succede in Inghilterra ma non succede nei paesi dell’Euro perché la Banca Centrale Europea non ha lo scopo, gli è stata tolta ’una gamba’ che consisteva proprio nel finanziare i disavanzi pubblici, cosicché se tu vuoi fare delle operazioni per rinvigorire l’occupazione ti devi indebitare, e naturalmente questo genera i disastri nei quali viviamo.

 (pubblicato su www.lindro.it)