La secessione silenziosa

 

Leggendo i numeri e le riflessioni contenute nel rapporto annuale di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, prende forma l’idea che la divisione del nostro Paese in due stati a se stanti, tanto auspicata e tanto sbandierata da certe frange politiche in maniera piuttosto “disinvolta”, sia in realtà un processo già silenziosamente in atto da anni. L’Italia cammina a due velocità differenti, con attitudini, bisogni e prospettive differenti, e quel che è peggio è che questa ferita non è in via di guarigione. Pil, diffusione delle infrastrutture, aspettativa di vita, ricchezza pro-capite, prospettive di crescita, tasso di abbandono scolastico sono solo alcune delle possibili spie di questo divario. La sezione più interessante, se non fosse anche quella da cui emergono i dati più drammatici, è quella riguardante l’occupazione. Il tasso di occupazione non tocca il 40% in Campania, ed è al 42,4% in Calabria ed al 42,6% in Sicilia. I livelli di dieci anni fa. Cosa è stato fatto nel frattempo? “Se si analizzano gli andamenti trimestrali dell’occupazione, emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo”, spiega il rapporto. In totale, nel 2010 in Italia ci sono stati 153mila occupati in meno rispetto all’anno precedente, di cui 86.600 solo nel meridione. Palma nera alla Campania con 27.900 posti di lavoro in meno, controtendenza la Sardegna con 1.100 posti in più. Ma è un caso unico in tutto il Mezzogiorno. E se tra i settori produttivi l’agricoltura sembra tenere (+2% nell’ultimo anno, dopo un 2009 in rosso), l’industria nel Sud Italia arranca sempre più: la domanda di lavoratori in questo settore cala del 7,3%, il doppio rispetto al -3,3% registrato nel Centro-Nord. Secondo il rapporto, una possibile “cura” per contrastare questa tendenza sarebbe un regime di “fiscalità di vantaggio” per le imprese del meridione, volto a colmare quel gap di competitività dato da molteplici fattori strutturali che caratterizzano negativamente il nostro Sud: la mancanza di infrastrutture adeguate e la criminalità organizzata in testa. Forse non stupisce constatare che se i dipendenti nel Sud sono calati dell’1,9% solo nel 2010, crescono invece dell’1,3% i lavoratori atipici, cosi come i contratti part-time (+3,9%). Altro dato sconfortante: nel Mezzogiorno appena il 31,7% dei cittadini tra i 15 ed i 34 anni ha un lavoro. Nel 2009 erano il 33,3%. Per non parlare delle giovani donne, di cui appena il 23,3% può contare su un lavoro; nel Nord sono il 56,5%. Solide basi per costruire un futuro, insomma.

E infatti, spiega il rapporto, l’Italia – o meglio, le due Italie, se mi è consentito – è teatro di un fenomeno unico sulla scena europea, quello di due flussi migratori distinti e separati: mentre il Centro-Nord accoglie e smista nuova forza lavoro, il Sud contemporaneamente la espelle. E ciò non riguarda ovviamente solo i lavoratori stranieri che vengono in Italia alla ricerca di un avvenire migliore (molto più numerosi al Centro-Nord, come è facile intendere) ma anche e soprattutto, negli ultimi anni, gli stessi cittadini italiani che dal Sud si spostano al Nord permanentemente. 109mila italiani nel 2009 sono partiti verso in Centro-Nord: 33.800 dalla Campania, 23.700 dalla Sicilia, 19.600 dalla Puglia, 14.200 dalla Calabria. Il viaggio in senso opposto è stato compiuto da 67mila persone. Se si confronta questa cifra con lo stesso dato riferito all’intervallo 2000-2009, che attesta a 583mila i cittadini che hanno abbandonato il Mezzogiorno, si capisce come il fenomeno sia in crescita. In flessione invece i pendolari a lungo raggio, che lavorano al Centro-Nord mantenendo casa e famiglia al Sud: circa 170 mila nel 2008, sono stati 134mila nel 2010. Interessante notare come, mentre il dato assoluto è in forte calo, cresce quello dei pendolari in possesso di una laurea (+6%): segno che al Sud non mancano tanto i “cervelli”, quanto un mercato del lavoro in grado di assorbirli adeguatamente.

Per non parlare di un altro dei grandi paradossi del nostro Paese. Se l’Unione Europea ha stanziato per il periodo 2007-2013 35 miliardi di euro a favore delle regioni del meridione, solo il 33% di questi fondi è stato utilizzato. Il resto torna al mittente e siamo daccapo, data l’incapacità delle amministrazioni di sfruttare queste enormi cifre di denaro. Tanto per avere un riferimento, nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino, Germania Ovest e Germania Est erano divise da un fossato certamente più profondo di quello che divide oggi l’Italia del Centro-Nord da quella del Sud. Erano due Paesi che viaggiavano a velocità diverse e che ora, dopo nemmeno trent’anni, costituiscono un’unica nazione con uno standard di vita pressoché omogeneo.

Della nuova emigrazione italiana parla perfino il quotidiano francese Le Monde, che titola “Le ritals reprennent la rue de l’exile”. I “ritals”, nel lessico quotidiano d’oltralpe, siamo noi italiani, con una connotazione che va dallo spregiativo, allo scherzoso, al compatimento. Come nota il quotidiano parigino, “stranamente, malgrado l’emigrazione di massa sia uno degli eventi strutturanti l’identità italiana, non esiste alcun museo, alcuna fondazione a consacrare la questione. Repressione, pudore? Senza dubbio, un po’ di tutto”. Difficile per una volta non essere d’accordo con i cugini francesi. Peccato che coloro che avrebbero la responsabilità di arginare questa secessione silenziosa del Sud dal Nord siano gli stessi che, smessi i panni istituzionali, pur di racimolare qualche voto, la secessione sarebbero pronti a sbandierarla anche in campagna elettorale. In barba ai principi costituzionali.