Insicurezza di Stato

“La verità è che sabato siamo ritornati a dieci anni fa. Un tuffo nel passato, Genova, la zona rossa e i disastri che ne seguirono. Eppure dopo il G8 c’erano state altre manifestazioni a  Firenze, a Roma, tutte senza incidenti. Ricordo il cosiddetto metodo Serra (Achille, ex prefetto della Capitale, ndr): prevenire, isolare, essere presenti in piazza in modo organizzato ma discreto”.  Parla un funzionario di polizia che sabato pomeriggio era in piazza, e ammette che di errori ne sono stati fatti nella gestione della grande manifestazione degli indignati.

Il primo è stato quello di concentrare tutta l’attenzione, e quindi il dispiegamento di uomini e mezzi, nel “quadrilatero del potere”. Palazzo Grazioli, Palazzo Chigi, Montecitorio, il Senato. Quindi Piazza Venezia off-limits, invalicabile, zona rossa del  2011. Bastava vedere il dispositivo di “tamponamento” dei vicoli e delle stradine di accesso che da via Cavour portano verso il centro della città. Reparti mobili della polizia di Stato, in massima parte provenienti da altre città (il cronista ha sentito un poliziotto rispondere alla richiesta di indicazioni di un turista con un “non so, sono di Torino”), erano a gruppi a chiudere ogni varco. Un errore che, a catena, se n’è trascinati altri. Quello più grande, lasciare “sguarnite” le strade del percorso del corteo.

Quando sono iniziate le devastazioni in via Labicana, con il lancio di fumogeni e molotov all’interno del palazzotto con l’intestazione “Ministero della Difesa” (una vecchia targa che nessuno ha pensato di rimuovere), i reparti di polizia, carabinieri e finanza, erano lontani. Sono intervenuti quando le fiamme erano già alte. Dopo una scaramuccia con lancio di lacrimogeni durata una trentina di minuti con l’ala dura del corteo, c’è stato un momento di mediazione con uno dei “capi” della manifestazione per consentire agli uomini e ai mezzi delle forze dell’ordine di defluire verso via Manzoni e piazza San Giovanni. Lì, stando alle notizie raccolte sabato, c’erano non più di 50 uomini tra carabinieri e poliziotti. Un numero certamente insufficiente per contrastare l’ala violenta.

Quanti erano gli “incappucciati”? Non più di cinquecento. E stiamo parlando dell’ala militarmente più agguerrita e anche più abituata agli scontri di piazza. Per intenderci quelli che hanno attuato (in via Cavour, poi in via Labicana, infine in piazza San Giovanni), la tecnica del mordi e fuggi. Avanza, colpisci, arretra, fatti scudo  con la massa di manovra di giovanissimi poco politicizzati  e ancora meno inquadrati nel movimento che si eccita negli scontri, poi avanza di nuovo e colpisci ancora.

La loro presenza era  stata analizzata dall’intelligence e dall’antiterrorismo. Strutture che da tempo hanno schedari precisi sui centri sociali e i gruppi più pericolosi, nel Nord-Est, in Piemonte, a Napoli e Roma, le punte violente che di volta in volta si infiltrano nei movimenti di protesta come i No-Tav.

Il problema non è l’esistenza delle informazioni, ma la loro circolazione. Il questore di Roma, per capirci, aveva il quadro preciso delle migrazioni verso la Capitale dei vari gruppi violenti? Intelligence a parte, le intenzioni degli “incappucciati” erano note e circolavano sul web. L’obiettivo dei “neri” era quello di entrare nella “città proibita”, dare l’assalto alle sedi del potere politico. Luoghi che erano militarmente blindati e presidiati da reparti in assetto antiguerriglia.

Il resto della città era terra di nessuno. Non è stato “bonificato” il percorso della manifestazione. Troppe macchine parcheggiate dove non dovevano esserci, cassonetti della spazzatura non rimossi e poi incendiati e utilizzati come barricate, finanche il cantiere della Metropolitana in via E. Filiberto lasciato incustodito. Anche lì gli incappucciati si sono riforniti di pietre e mazze.

Infine le buste bianche lasciate lungo il percorso dai commando della guerriglia per segnalare i luoghi dove erano state nascoste armi improprie, ma micidiali. Nessuno ha ispezionato il percorso prima che iniziasse il corteo.

Chi aveva previsto tutto sono stati i poliziotti, quelli abituati a stare in piazza. Basta leggere i loro post sul sito poliziotti.it. “Sicuramente esisterà pure una saggia ed efficace via di mezzo fra i festosi e ordinati cortei sindacali tanto cari al potere e gli incappucciati con la fionda, le molotov e le bombe carta, ma dubito che avremo modo di vederla in atto questo sabato. Non nelle piazze italiane, almeno”, si legge nel post dell’agente “Junior”, il 13 ottobre.

Anche loro sono stati mandati allo sbaraglio da una organizzazione dell’ordine pubblico fallimentare. Tutti, però, sono d’accordo con le parole pronunciate nei giorni scorsi dal loro capo, Antonio Manganelli. “Queste giornate calde richiederanno uno sforzo dagli agenti, chiamati a compiti di supplenza della politica. Noi siamo in piazza non per contrastare i manifestanti, ma per assicurare loro la libertà di espressione garantita dalla Costituzione”. Non è andata proprio così.

(pubblicato su  Il Fatto Quotidiano, 18-10-2011)