Gratteri chiede 1641 anni di carcere

(di Luca Rinaldi)

E’ arrivata all’epilogo la requisitoria in abbreviato del pubblico ministero Nicola Gratteri all’interno del processo scaturito dall’operazione “Crimine-Infinito” scivolata sull’asse Reggio Calabria-Milano nel luglio 2010 che portò all’arresto di 300 persone presunte affiliate alla ‘ndrangheta. Gratteri ha chiesto 118 condanne e due assoluzioni.

Molte delle pene chieste da Gratteri superano i dieci anni di carcere (sono circa 1.700 in tutto), così come era avvenuto anche a Milano al termine della requisitoria del pm Alessandra Dolci per quanto riguarda l’asse milanese dell’inchiesta. La condanna più pesante è stata chiesta per Domenico “Mico” Oppedisano, considerato il capo “Crimine”, cioè, come ricorda lo stesso Gratteri nel corso della requisitoria “il custode delle regole”.

Un capomafia particolare quel Mico Oppedisano, classe 1930, originario di Rosarno e solito viaggiare sulla sua apecar per vendere meloni, un “custode delle regole” che, come spiega Gratteri “definire il Riina della Calabria – come era stato rappresentato da molti organi d’informazione dopo gli arresti del luglio 2010 – è una sciocchezza”. Per il pubblico ministero, uno dei massimi esperti mondiali sul tema ‘ndrangheta e riferimento per le procure di tutto il mondo quando incappano in esponenti della mafia calabrese, Oppedisano è stato “il compromesso tra le forze della ‘ndrangheta jonica e le forze della ‘ndrangheta della piana, e come in tutti i compromessi non si sceglie mai il migliore. Ma Oppedisano non e’ anche il povero vecchio, morto di fame che si vuol fare apparire. Ha una storia antichissima di ‘ndrangheta”.

In questo senso possiamo affermare che l’operazione ‘Crimine’, ha smascherato il comando più militare e primitivo della ‘ndrangheta, scoprendo e potendo mandare a futura memoria l’organigramma di quell’azienda mafiosa che muove da sola circa 44 miliardi di euro l’anno (dati Eurispes 2008). Ma a Reggio Calabria sanno bene che la parte del leone la fa quella parte ‘invisibile’ fatta di contatti con il mondo della politica, della finanza e delle istituzioni, che attualmente è alla sbarra nel processo Meta la cui requisitoria è condotta dal pm Giuseppe Lombardo, bersaglio anche di recente di una intimidazione proprio davanti alla Procura presso cui lavora.

Su una conclusione queste due indagini sono convergenti: l’unitarietà della ‘ndrangheta. Nel corso della prima udienza del procedimento abbreviato di ‘Crimine’ il procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, Michele Prestipino, ha infatti osservato “l’esistenza della ‘ndrangheta come organizzazione di tipo mafioso unitaria, insediata sul territorio della provincia di Reggio; l’esistenza di un organo di vertice che ne governa gli assetti, assumendo o ratificando le decisioni più importanti; l’esistenza di molteplici proiezioni di cui la più importante è “la Lombardia”, secondo il modello della “colonizzazione”, e i rapporti tra la casa madre e tali proiezioni esterne”.

Allo stesso modo Lombardo nella sua requisitoria al processo ‘Meta’, più attento a Reggio città, ma più orientato al nervo scoperto dei rapporti ‘ndrangheta-affari-politica, parla di “‘ndrangheta che governa la città di Reggio è dotata di un organismo di vertice, composto dai soggetti tratti a giudizio e da quelli che degli stessi si servono o di cui sono strumento, che decide le sorti di ognuno di noi, che condiziona il destino di migliaia di persone che si sentono libere solo perchè hanno voglia di illudersi di esserlo o ritengono che quello sia l’unico modo di trovare la forza di andare avanti”.

Una indagine, quella che ha portato all’operazione ‘Crimine’ in cui, come precisa lo stesso Gratteri durante la requisitoria, “non ci sono alchimie, non ci sono magheggi o voli pindarici. Questo procedimento è stato riempito di contenuti, soprattutto, dalla voce degli attori protagonisti, e cioè degli odierni imputati”. Senza contare poi il materiale video raccolto dagli investigatori che hanno testimoniato anche l’elezione di Oppedisano il 19 agosto 2009 a capo della ‘Provincia’.

La sentenza potrà confermare o smentire l’impianto accusatorio secondo cui la ‘ndrangheta è composta da organismi di vertice e non più una associazione priva di organizzazione, una sentenza che sarà quindi storica. Ora la parola passa alle difese, che sicuramente tireranno le fila del processo per diverse settimane. Nicola Gratteri nel corso della requisitoria ha voluto anticiparle “per sminuire la portata di questa indagine, cercheranno (le difese, nda) di sminuire il capo Crimine Domenico Oppedisano dicendo che una mafia così ricca non può avere a capo un povero contadino, venditore di piantine e verdure nei mercati. Questa analisi potrebbe avere una sua valenza se ci adagiassimo su ciò che è stato detto, subito dopo gli arresti del 13 luglio, da parte di cosiddetti addetti ai lavori, o studiosi, i quali nel presentare quest’importante indagine hanno esordito dicendo: “abbiamo arrestato il Riina della Calabria, abbiamo scoperto la cupola come Cosa nostra”. Per noi questa è una sciocchezza”. Se qualcuno esulta pensando di sconfiggere la mafia solo con gli arresti e i processi, Gratteri non è tra questi.
(lucarinaldi.blogspot.com)