Ndrangheta: se la mala è folklore
(di Francesca Viscone)
Francesco Sbano, fotografo di Paola residente ad Amburgo, artefice del successo tedesco delle canzoni di ’ndrangheta, era stato definito già due anni fa dal settimanale Der Spiegel «persona che gode della fiducia di alcuni mafiosi». Il magazine si vantava di averlo tra i suoi collaboratori, perché aveva reso possibile l’intervista ad un boss e, sempre grazie a lui, due giornalisti tedeschi avevano potuto assistere ad un rito di affiliazione. L’ultima opera di Sbano è dedicata a Giuliano Belfiore. Die Ehre des Schweigens (Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio, Heyne editore), titolo che viene però subito smentito dal sottotitolo Ein Mafiaboss packt aus (Un boss della mafia parla). Belfiore, nome falso dietro cui si nasconderebbe un pericoloso boss della ’ndrangheta, ha 20 anni quando nel 1980, lascia la Germania. Torna nella sua terra, con il desiderio di entrare nell’Onorata società. Non avendo paura di niente ed essendo ambizioso, scala velocemente tutti i gradini della gerarchia. Oggi ha cinquant’anni, è uno dei boss più potenti in Calabria e sta per cedere a suo figlio i suoi affari. Racconta a Sbano la sua vita, a condizione che non riveli a nessuno chi sia realmente.
Sbano costruisce l’autobiografia di un boss, ma con le regole delle fiabe: assenza di tempo, spazio e identità dei personaggi; abbondanza di riti e miti. Puro folclore mafioso. Impossibile a chiunque verificare le dichiarazioni di Belfiore, e persino la sua esistenza. Nella prefazione l’autore pone una domanda retorica: chi, vedendo un qualsiasi film sulla mafia non ha tentato di immedesimarsi nel ruolo del Padrino? «Siamo onesti. Tutti noi, anche solo per un attimo, abbiamo sognato di trovarci nel ruolo del potente boss della mafia». La ragione profonda per cui Sbano ha scritto questo libro ce la rivela poco dopo: alla luce di nuove fonti di informazione, vuole stimolare il dibattito sulla ’ndrangheta per evidenziare l’inaccettabile condizione economica in cui si trova la Calabria. Ai tedeschi non dice, naturalmente, che le mafie hanno dissanguato l’economia del Sud. Si difende dall’accusa di essere mafioso, ma afferma: «Oggettivamente sono l’unico che, grazie a decenni di ricerche, si è guadagnato la fiducia della mafia e pertanto è in grado, insieme a giornalisti prescelti, di fare ricerca su quei settori criminali che fin’ora erano considerati impenetrabili». E dichiara di essere più sperto pure di Saviano. Che magari gode solo della fiducia della sua scorta. Per Sbano lo Stato italiano è colpevole di tutto: soprattutto delle condizioni di vita nel Sud. Si dice convinto che le finanze meridionali sarebbero risanate, se la ’ndrangheta potesse investire legalmente i suoi miliardi: «Tutti i mafiosi di alto rango con cui ho parlato, mi hanno assicurato che la legalizzazione della mafia e la fine dell’economia sommersa determinerebbero un miracolo economico in Calabria. Naturalmente la mafia dovrebbe interrompere l’uso di antichi metodi barbari», dice Sbano in un’intervista modello apparsa su «Corazon-International» e realizzata dal giornalista “prescelto” Max Dax, coproduttore del primo cd di canzoni di ’ndrangheta.
Andreas Ulrich, anche lui “prescelto” giornalista di «Der Spiegel», scrive una prefazione degna dell’opera. Non si preoccupa di prendere le distanze dalle dichiarazioni del boss, di spiegare agli ignari lettori che i mafiosi parlano solo per costruire giustificazioni intorno al loro agire, per sviare le indagini, per dare al loro delirio di onnipotenza sfondo etnico e valore culturale, oppure per fare proseliti. Non dice per esempio che i magistrati hanno il vizio di verificare le dichiarazioni dei pentiti, di cercare prove e controprove, e che nemmeno i pentiti sempre risultano credibili, figuriamoci poi i testimoni anonimi.
Il giornalista di «Der Spiegel» sferra una serie di attacchi frontali contro lo Stato italiano, contro il movimento antimafia, contro i suoi colleghi giornalisti. Ma elogia, a modo suo, la Chiesa, descrivendola come vicina ai mafiosi, che sarebbero cattolici, mariti fedeli, devoti a Padre Pio, abituali frequentatori di Polsi, benedetti e sempre ben accolti dal parroco di Polsi, don Pino Strangio, un uomo stimato, dice Ulrich, che avrebbe pronunciato le seguenti parole: «I critici rimproverano alla Chiesa di non prendere le distanze dalla mafia. Non hanno capito. La Chiesa cattolica ha un impegno con Dio, non con lo Stato italiano». Attendiamo smentite. Scrivere contro la mafia è facile, spiega, si fa carriera, si diventa eroi e tutti sono d’accordo perché è come scrivere contro la fame nel mondo, contro la distruzione della foresta pluviale. Si guarda bene dall’informare sui giornalisti uccisi e minacciati in Italia. Ma anche dal ricordare che in Germania i libri di Petra Reski, Jürgen Roth e Francesco Forgione sono stati censurati. Invece li accusa di non avere mai visto un solo mafioso in vita loro, e di ricevere informazioni sulla mafia dai media (!), dalle relazioni del parlamento e dai magistrati. Si fa insomma fautore di un nuovo modo di intendere il giornalismo: la parola non va data alle vittime, né agli inquirenti, ma solo ai carnefici.
Violento è poi l’attacco contro il movimento antimafia, definito Wanderzirkus, circo ambulante. Mette inoltre sullo stesso piano mafia e antimafia: entrambe creano identità, entrambe danno ai loro membri la possibilità di diventare importanti. Non si riferisce, dice, a chi cerca di combattere “il cancro del Mezzogiorno” rischiando la vita, i poliziotti e i magistrati, ma a tutta una serie di «giornalisti, fotografi, autori e attivisti d’altro genere che cavalcando l’onda della lotta dell’antimafia vogliono diventare famosi». La storia della mafia deve essere raccontata solo dai mafiosi, dice Ulrich, gli unici credibili. Parola d’onore.
Sbano e Ulrich questa volta si sono spinti un po’ troppo lontano. Attivisti del movimento antimafia di Berlino si erano recati alla presentazione del libro di Gianluigi Nuzzi, Metastasi, a cui avrebbe dovuto partecipare anche Ulrich, insieme a Gratteri. Ma Ulrich, appena un giorno dopo l’uscita del libro di Sbano, era stato invitato a rimanere a casa. Si preparano altre azioni di protesta. Anche Sonia Alfano si è detta indignata. Francesco Forgione sarà presente con l’edizione economica di Mafia Export al Festival della letteratura di Amburgo, due giorni prima di Sbano. A chi crederanno i tedeschi? A Forgione, il cui libro è stato censurato e ritirato dal mercato tedesco, che vive sotto scorta ed è stato presidente della Commisione antimafia, o all’amico del signor Belfiore?
(pubblicato su Il Quotidiano di Calabria del 16 settembre 2011)
l’articolo di seguito spiega che sono state concluse le indagini della procura di reggio calabria che riguardano il signor Francesco Sbano e il signor Domenico Siclari , denunciati da Claudio La Camera e Francesca Viscone per minacce.
http://www.ilquotidianodellacalabria.it/news/cronache/722284/Litigano-per-i-diritti-d-autore.html
http://www.articolo21.org/2012/07/calabria-autore-canzoni-della-malavita-minaccia-francesca-viscone/
[…] VISCONE (2011) “Se la mala è folklore”, Malitalia [link]. Aquesta periodista calabresa, autora de La globalizzazione delle cattive idee (Rubbettino, 2005, […]
[…] VISCONE (2011) “Se la mala è folklore”, Malitalia [link]. This Calabrian journalist, author of La globalizzazione delle cattive idee (Rubbettino, 2005, […]
[…] VISCONE (2011) “Se la mala è folklore”, Malitalia [link]. Esta periodista calabresa, autora de La globalizzazione delle cattive idee (Rubbettino, 2005, […]
[…] VISCONE (2011) “Se la mala è folklore”, Malitalia [link] Questa giornalista calabrese, autrice di La globalizzazione delle cattive idee (Rubbettino, 2005, […]
[…] des Fotografen aus Paola ist das Buch „Die Ehre des Schweigens. Ein Mafiaboss packt aus“, http://www.malitalia.it/2011/09/ndrangheta-se-la-mala-e-folklore/ das in Deutschland […]
[…] anche nelle biblioteche di Milano. L’ultima opera del fotografo di Paola è il libro “Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio“, pubblicato in […]
Salve, mi occupo di criminalitá sia in Germania che in Italia, seguo da anni gli interventi polemici della Reski e della Viscone sul lavoro di Sbano e Ulrich, ho letto gli articoli della Viscone, della Reski e dei suoi amici giornalisti pubblicati nel Fatto Quotidiano e nel Quotidiano di Calabria, nello Zeit. Ho assistito al concerto di Siclari e Cantori di Malavita ad Amsterdam, ho visto la presentazione del film di Sbano allo Zollverein di Essen, il maggiore oggetto dell’UNESCU in Germania. Inoltre, ero presente ad Amburgo alla presentazione del libro di Giuliani dal titolo „Malacarne“. Ho riletto i reportage di Ulrich e Sbano pubblicati da Der Spiegel e vorrei spezzare una lancia per i due reporters. Da criminologo sono stato sempre sorpreso dalla estrema volontá di Sbano e Ulrich di rompere con il mito della mafia. E lo fanno da sempre.
Per me é stato facile capire i veri motivi della polemica dal momento che capisco anche il tedesco. Attreverso la lettura delle informazioni in lingua italiana e tedesca si capisce bene che la Reski e la Viscone attaccano Sbano solo per aver occasione di parlare delle proprie pubblicazioni e cosí aumentarne le vendite. Proprio come ha scritto Sbano qualche anno fa su Calabria Ora.
Penso di essere ormai in grado di spiegare nei tempi il persorso di questa vera e propria caccia alle streghe condotta dalla Reski, dalla Viscone e dai loro amici che mai esitano a strumentalizzare per i propri fini il lavoro dei due ormai celebri reporters. La campagna diffamatoria tenta di macchiare Sbano della „colpa“ di aver prodotto la Musica della Mafia e di averla pubblicata in tutto il Mondo, diffondendone cosí i valori mafiosi. Reski e Viscone fanno volontariamente un errore, raccontando i fatti a proprio modo. In realtá Sbano non ha prodotto i pezzi della musica della mafia ma ha prodotto, con brani giá da tempo esistenti, le tre compilazioni che hanno guadagnato tanto successo proprio perché i produttori non hanno tentato di nascondere i contenuti dei testi delle canzoni, ma li hanno stampati in tre lingue nei libretti di 36 pagine che accompagnano i CD. Anche i numerosi articoli sulle canzoni della ’ndrangheta hanno sempre posto in primo piano il contenuto dei testi. In effetti si tratta di preziosi documenti che descrivono il fenomeno mafioso dall’interno. I concerti di „Siclari e cantori di malavita“ sono stati stavenduti in Germania, Olanda, Belgio e Svizzera. Da notare che i testi delle canzoni eseguite sono stati proiettati nella lingua locale sullo sfondo del palcoscenico. Ma parliamo di Malacarne, il libro fotografico, con inserite le canzoni della mafia, di Alberto Giuliani. Le polemiche iniziate dalle due autrici affermano che l’editore e Sbano hanno preso in giro gli autori dei testi, come Roberto Saviano e Nicola Gratteri, nascondendo il contenuto musicale del libro. Mi chiedo come sia possibile che nemmeno il fotografo Alberto Giuliani ne fosse a conoscenza, come affermato nei due articoli ai quali si rifanno Reski e Viscone all’attacco di Sbano. La veritá? A curare il progetto grafico del libro é stato proprio Giuliani, e siccome nel libro oltre a due CD sono inserite anche una decina di pagine con i testi delle canzoni mafiose, come fa Giuliani a dire di essere stato all’oscuro delle canzoni contenute nel libro? Oltretutto, gli articoli pubblicati dal Fatto Quotidiano e dallo Zeit sono usciti almeno due giorni dopo la presentazione ad Amburgo di Malacarne, dove erano presenti sia Alberto Giuliani che Francesco Sbano. I libri non sono mai stati tolti dal mercato, sia in Italia che in Germania, e sono attualmente venduti nella versione integrale, incluse le musiche. Nel frattempo, alcuni giornalisti amici della Reski hanno portato avanti la polemica, continuando sospettosamente a non porre mai domanda al merito a Sbano. Sono convinto che sia la Reski che la Viscone non lavorano in modo pulito. Sapete perché? Tutta la polemica contro Sbano si basa sul libro della Viscone, sempre indicato dalla Reski alla stampa tedesca, come prova del „mal lavoro“ di Sbano, dal titolo „La Globalizzazione delle cattive Idee“. Nel libro la Viscone adotta un metodo di lavoro del tutto illegittimo: senza chiedere il permesso a chi detiene il diritto d’autore dei testi di 18 canzoni e di diversi articoli, Viscone fa stampare nel suo libro 18 liriche (dalla trilogia „La Musica della Mafia“ piú una decina di reportage internazionali sullo stesso tema (New York Times, Spiegel, Frankfurter Allgemeiner Zeitung, ecc.). Viscone li ha tradotti rifiutandosi di chiederne il permesso agli autori, e alla fine li critica come solo una maestrina potrebbe farlo, distribuendo bacchettate sulle mani di chi si é permesso di parlare del fenomeno musicale calabrese, senza prima averne discusso con la sua persona. Per la Viscone le canzoni della Mafia non sarebbero mai dovuto esistite, e non riesce nemmeno a capire che i calabresi citati dai giornalisti sono quelli che fanno parte della societá parallela, quella vicino alla mafia. Insomma Viscone ha letteralmente rubato agli autori il loro lavoro e dopo averlo manipolato per benino lo vende anche nel suo libro. Non appena le testate internazionali si accorgeranno della truffa, l’editore della Rubbettino e la Viscone non rimarrei meravigliato se gli editori del presunto saggio si verranno denunciati sicuramente dalle autoritá competenti Qui vale la pena citare anche la persona che ha presentato l’uscita di un libro del genere. Si tratta di Pino Arlacchi. Sí, proprio quel Pino Arlacchi che nel 2002 fu allontanato da Kofi Annan dalla guida dell’ufficio dell’ONU di Vienna per la lotta contro mafia e corruzione. Arlacchi ha perso la sua poltrona a Vienna perché invece di fare il proprio lavoro ha pensato bene di corrompere l’uno o l’altro personaggio politico regalando loro delle costosissime crociere a bordo di un veliero d’epoca! http://www.iowatch.org/archive/recentdevelopments/wRDEV%20%205.3%20Top%20Corptn%20fiter%20crrptd.pdf
Alla Reski ha pensato giá Andreas Ulrich, pubblicando una recensione sullo Spigel riguardo il suo ultimo libro „Sulla strada per Corleone“. Reski é paragonata qui a „Spider Woman in lotta contro la mafia“.
http://www.spiegel.de/kultur/literatur/0,1518,722374,00.html
Leggendo il libro, Ulrich si accorge delle lunghe descrizioni della sorprendente automobile, un’Alfa Spider, con quale l’autrice viaggia dalla Germania fino a Corleone. Ulrich sospetta che Reski faccia nel suo libro pubblicitá all’automobile e chiama il dipartimento marketing dell’Alfa in Germania. La conferma arriva subito: „Sì, siamo stati noi a prestargliela“. Cosí, da una parte la Reski ha potuto viaggiare in Italia con l’Alfa Spider, dall’altra parte ha fatto pubblicitá alla casa automobilistica. Ma da quando in qua si usa fare pubblicitá nascosta in un libro di diffusione scientifica? La Reski, fortemente rammaricata dall’articolo ha pensato bene di correre ai ripari almeno con la pubblicazione italiana del libro. Ed ecco perché lí, stranamente, appare l’Alfa Spider in copertina.
http://www.petrareski.com/buecher/von-kamen-nach-corleone/sulla-strada-per-corleone/
La Viscone non solo afferma la legittimitá dell’operazione di pubblicitá nascosta perpetuata dalla Reski. Non contenta, attacca anche l’introduzione del nuovo libro di Sbano „L’onore del Silenzio/Die Ehre des Schweigens“, scritto da Andreas Ulrich. Ulrich é accusato di chiamare gli attivisti del movimento anti-mafia „il circo ambulante dell’anti-mafia“, scatenando la rabbia nel cuore dell’insegnante Viscone. Ma, cara Viscone, ha per caso dimenticato che giá nel 1987 il siciliano Leonardo Sciascia aveva scritto esattamente la stessa cosa sugli attivisti antimafia nel suo indimenticabile articolo sul „Corriere della Sera“, „I professionisti dell’antimafia“?
Sbano e Ulrich vengono incessantemente attaccati dalla coppia Reski-Viscone anche perché i primi incontrano i boss della mafia quando svolgono i reportage sul tema. Ma come fate a chiamarvi giornaliste? Il metodo di Sbano e Ulrich é assolutamente legittimo. Esistono le leggi sulla libertá di stampa ed esistono le leggi che regolano anche la protezione delle fonti informative da parte della stampa. Reski e Viscone, come fate ad ignorarlo? Perché vi scatenate ogni volta che Sbano pubblica un lavoro? State tentando di ristabilire la censura? Oppure sperate, comportandovi come due politiche in caccia di streghe, di occupare in futuro una delle poltrone nella commissione antimafia?
Egregio signore, la sua lunghissima difesa di Sbano è apprezzabile, ma ci lasci la libertà di non condividerla. La tolleranza che ci anima ci consente di evitare di replicare alle sue accuse (la Reski e i suoi amici de Il Fatto, e cose di questo tipo) ritenendole il frutto di una sua totale e acritica adesione al lavoro di Sbano e dei giornalisti tedeschi che lei ha citato. Detto questo, come vede al suo confronto siamo telegrafici, noi continuiamo a ritenere la mafia in tutte le sue forme un male, non un fenomeno folklorico da rappresentare con compiacimento. Continueremo a scrivere dei suoi rapporti con la politica in Italia e continueremo a criticare, ritenendole pericolosissime, tutte quelle analisi e forme di rappresentazioni che facciano apparire le mafie italiane come dei fenomeni tutto sommato simpatici. Lei coltivi le sue idee e la sua visione dle mondo criminale, noi continueremo a fare il nostro mestiere.
Il 21 settembre ad Amburgo è stato presentato il libro del sedicente giornalista Francesco Sbano: Giuliano Belfiore. Die Ehre des Schweigens. Ein Mafiaboss packt aus. (Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio. Un boss della mafia parla.) L’autore era già finito al centro di un aspro dibattito a causa della sua raccolta di romantiche canzoni di ndrangheta ( ‘Musulinu galantomu‘, ‘Ammazzaru lu Generali‘ – Dalla Chiesa -, ecc.), inserite nel volume fotografico Malacarne. Esso contiene anche testi di personalità come Roberto Saviano, Rita Borsellino e Nicola Gratteri, senza però che questi fossero stati precedentemente informati del contesto in cui le proprie parole dovevano essere inserite. Mentre il volume, dopo le sconcertate proteste degli interpellati, venne in Italia ritirato dalla casa editrice, restò ed è tuttora acquistabile in Germania e continua a nutrire quel bisogno di sicurezza insito nell’anima tedesca, infondendovi la sensazione di come le mafie continuino ad essere un fenomeno folcloristicamente tipico italiano.
È scabrosa la pena che s’insinua negli spettatori al racconto di Sbano. La cosiddetta analisi del sedicente giornalista è chiara: non esistono alternative per i nati nel Meridione se non entrare a far parte della mafia. Eccole, le vere vittime, dunque: poveri giovani costretti ad ammazzare. Mitra, acido, esplosivo.
L’altro pilastro del grandioso lavoro di Sbano, il giornalista del notissimo settimanale tedesco Der Spiegel Andreas Ulrich, non trova evidentemente termine più adatto a descrivere la realtà ndranghetista calabrese se non quello di “bizarr”, mentre altri penserebbero forse alle parole di Saviano “la morte fa schifo”. Ma intanto il pubblico, per lo più tedesco, sorride ai racconti da feulleton su corruzione e impotenza delle istituzioni italiane.
Sbano sembra non sapere quanto il fenomeno delle mafie abbia da tempo oltrepassato i confini e il pubblico ascolta compiacente. Dopo tutto si tratta di miliardi che arricchiscono ormai anche numerose lobbi sul territorio tedesco, europeo, mondiale e non tutti vorrebbero o potrebbero rinunciarvi. È facile quindi appiattire la rappresentazione di fatti sconcertanti colorandoli di particolari ed allusioni estremamente fuori luogo. Ad esempio le pillole dimagranti ingerite da Antonio Pelle che andrebbero inserite nel disegno da lui perseguito di costringere i giudici responsabili a tramutare la propria pena in arresti domiciliari e successivamente rendere attuabile la fuga. Le stesse pillole diventano nel racconto di Sbano un mero segno della vanità del boss latino e Nicola Gratteri, che ne aveva reso possibile la cattura, un semplice e povero simbolo dell’impotenza istituzionale.
La mafia viene banalmente considerata come uno stato nello stato senza che si ritenga opportuno accennare almeno fugacemente alla questione dell’osmosi fra stato e mafie o ai confini sempre meno definiti fra criminalità economica e criminalità organizzata.
Anzicché soffermarsi sulla brutalità die crimini di stampo mafioso, quant’è bello cullarsi nell’integrità di questi uomini e nei loro – seppure arcaici -„valori“.
La donna ad esempio, essere puro ed inviolabile. E Maria Concetta Cacciola, anni 31, suicidata tramite ingerimento di acido muriatico dopo che lo scorso maggio aveva coraggiosamente deciso di collaborare con la giustizia? Lea Garofalo, 35, rapita, ammazzata e fatta scomparire, sempre con l’acido, due anni fa, dopo che anche lei aveva iniziato nel 2009 una collaborazione con la giustizia? E Tita Buccafusca? Stessa fine. Per non parlare delle numerose donne uccise per aver imbrattato l’onore della famiglia. Neanche i bambini si possono sottrarre a questa enorme integrità, come accadde ad esempio a Marcella Tassone, il viso trucidato da 7 colpi di arma da fuoco.
Una serata pericolosa quella del 21 settembre ad Amburgo. A chi, col dovuto rispetto, ma con indignazione (e un po’ di noia), aveva pazientemente aspettato il dibattito, non è rimasta che un’enorme delusione: per annotazioni critiche non era previsto alcuno spazio. Resta una domanda da rivolgere agli organizzatori del festival HarbourFront: sapevano chi avevano invitato a presentare in luogo sacro (la St. Pauli Kirche) il proprio “romanzo”? Evidentemente no. Un gioco col fuoco per il quale gli organizzatori del festival andrebbero chiamati a rispondere.