Ma perché è ‘sto sciopero?

Me lo domanda questa mattina una signora sui settanta, seduta affianco a me su un treno regionale diretto a Roma, che come me ha aspettato per circa quaranta minuti; e ci sentiamo tutti e due, credo, più che fortunati di averne trovato uno proprio oggi. E’ stato indetto dalla Cigl, rispondo, ed aderiranno in tanti. Quasi a voler giustificare l’ingiustificabile ritardo del nostro treno. Ma l’arzilla pensionata la butta su un altro piano, e incalza nella sua parlata romanesca “No no, ho capito che so’ quelli d’a Camussi – Camusso, là, come se chiama – ma io nun ho capito il motivo per cui se sciopera: che altro hanno combinato ‘sti qua, nun ce sto più a capi niente”. E’ contro la manovra economica del Governo, faccio in tempo a rispondere prima che arrivi la mia fermata. E non faccio in tempo a scendere dal treno per pensare quanto riduttiva sia stata questa risposta. Ci sono talmente tante fonti di malcontento che ormai se ne può perdere il conto. Al di là delle dichiarazioni ufficiali di sindacalisti e politici, credo che una cosa (molto probabilmente l’unica e senza precedenti di pari livello) che questo governo ha equamente garantito alla grande maggioranza degli italiani sia stato un motivo per lamentarsi e, magari, protestare in forma di sciopero. Lo ha garantito perfino a pezzi del suo stesso elettorato. Come ai leghisti, per esempio, che a nord del Po’ hanno avuto i loro bravi ministeri-simulacro da riempire di statuine degli ideologi leghisti, ma per i quali il federalismo resta una promessa. Ed anche i pidiellini, che possono ben sentirsi traditi da chi da anni promette di “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, ed ora resosi conto che la pacchia doveva prima o poi finire, si è rimangiato tutto. E che dire dei lavoratori dipendenti, che vedono sempre più a rischio il proprio presente (a partire dalla “derogabilità” degli articoli dello Statuto del Lavoratori) e contemporaneamente sfumare il loro futuro di pensionati in un nero sempre più fitto? Ha ben da lamentarsi anche un genitore che per acquistare i libri scolastici al proprio figlio dovrà sostenere spese sempre più ingenti, anche alle scuole primarie. E possono dire la loro anche l’alunno ed il professore che devono trascorrere ore, e lavorare in una classe sempre più affollata, spesso al di sopra del tetto previsto dalle normative di sicurezza. Ha un che da lagnarsi anche il semplice consumatore che vedrà tutti i prezzi aumentare dell’ 1% insieme all’Iva, e vedere il proprio stipendio immutato da anni. Ed ha di cosa lamentarsi l’ammalato che si è visto aumentare i ticket sanitari. L’elenco sarebbe lunghissimo. Il tutto condito da una buona dose di “sentimento anti-casta”, magica locuzione creata per esprimere lo stato di quanti si accorgono che i primi a passare indenni da queste misure restrittive sono proprio coloro che ce le hanno imposte. E ben incorniciato da una sfiducia sempre più trasversale del mondo politico,un quadro in cui i partiti sembrano godere della stessa immagine dei tempi di Tangentopoli: si scoprono i medesimi vizietti bipartisan, e si giunge alla conclusione che “questi qui so’ tutti uguali, tutti in galera devono da anna’”, come direbbe la mia compagna di viaggio. In un clima del genere si rischia sicuramente di perdere di vista gli obiettivi e le emergenze reali; si deve prestare attenzione a che la protesta, il disagio di una parte tanto vasta della popolazione non diventi una la lagnanza che rimane fine a se stessa, si perde e muore, sterile, nel momento stesso in cui nasce. Credo che chi è sceso oggi in piazza lo ha fatto portandosi dietro una buona dose di ragioni, esercitando un diritto e, da un certo punto di vista, compiendo un dovere.

Mi hanno fatto parecchio sorridere (ed è un sorriso amaro) quanti, sindacalisti compresi, hanno ritenuto inopportuno scioperare in un tale momento di crisi. E a quali altri momenti sarebbe riservato uno sciopero? Si spera non di peggiori.