La Fiat non preme (più) sull’acceleratore

Correvano i primi anni ’70 quando Henry Ford II, l’imprenditore che portò in Europa l’azienda automobilistica fondata dal celeberrimo nonno, decide di creare una vettura compatta per conquistare i clienti del Vecchio Continente. Il riferimento della categoria, all’epoca, era italiano: la Fiat 127, uscita nel ’71, cui la Fiesta del ’76 somiglia irrimediabilmente. E che dire delle affinità tra la Golf prima serie e la Fiat 128? Vuole la leggenda che lo stesso Giugiaro avesse trovato, con grande sorpresa, una 128 negli stabilimenti di Wolfsburg, sotto la lente dei progettisti tedeschi. Correvano gli anni ’70 e Fiat (un’azienda italiana dal reparto ricerca alla catena di montaggio) dettava i riferimenti delle auto di classe bassa e media in tutta Europa.

Agosto 2011, statistiche Acea (European Automobile Manufacturer’s Association) sulle vendite di autovetture in Europa. Rispetto allo stesso mese del 2010 le vendite di automobili sul mercato europeo hanno visto un incremento del 7,8%. Nonostante il dato positivo, continua la flessione delle vendite per l’Azienda torinese, che segna un -7,6%, con una quota di mercato scesa dall’8.2% al 7,3%. Tanto per fare un confronto con le Case citate prima, Volkswagen segna un +14,6%, totalizzando più del 23% del mercato europeo, e Ford un +19,7% (8% del mercato europeo). Il Lingotto si smarca immediatamente dai dati, sostenendo che il gruppo “sta attraversando una fase di profondo rinnovamento della gamme dei propri marchi”, ribadendo il proprio ruolo di leadership nel campo di auto piccole (Panda, 500 – ambedue prodotte in Polonia, per la cronaca) e multispazio (Qubo e Doblò – prodotti in Turchia). Che dalle parti di Torino l’amministrazione Marchionne abbia portato un impetuoso vento di cambiamento è innegabile. A partire dall’inseguimento della maggioranza di Chrysler: obiettivo raggiunto lo scorso luglio, da quando Torino controlla il 53% del gruppo di Auburn Hills. Innegabile anche che la casa americana abbia ricevuto benefici dai fondi torinesi, e dall’esperienza italiana in merito di motori; un po’ meno scontati i vantaggi in senso contrario, almeno nella strada imboccata dal gruppo.

E’ proprio sui modelli americani che dovrebbe gettare le basi il rinnovamento delle gamme del gruppo. A partire da Lancia, che al salone di Francoforte presenta ben tre nuovi modelli di derivazione Chrysler: l’ammiraglia Thema su base della nuova 300, la Voyager su base dell’omonima americana del 2008 e la cabrio Flavia su base Sebring anno 2007. Auto cui è stato semplicemente cambiato uno stemma sul cofano ed il motore. Cosi com’è stato per il Fiat Freemont, splendido macchinone raffazzonato a partire dal Dodge Journey del 2007, un’auto che non è piaciuta nemmeno agli stessi americani. E infatti le vendite del Freemont (auto “italiana” prodotta in Messico) sono state tutt’altro che brillanti.

Qui sta lo strabismo allucinante dei vertici Fiat, che prima realizzano un successo straordinario come la nuova 500, cosi legata agli stilemi storici della casa torinese, alla sua anima “made in Italy”, e che poi pensano di rilanciare un’intera gamma importando dagli Stati Uniti modelli ormai antiquati. L’italiano Walter de’ Silva, padre di due pietre miliari come l’Alfa Romeo 147 e 156, ora è capo del centro stile del gruppo Volkswagen. E noi italiani andiamo a copiare pari pari le auto degli americani. Ci sono, ci fanno, o cosa? Ai dati di vendita l’ardua sentenza.

Per non parlare del futuro Suv Alfa Romeo, da realizzare insieme a Jeep, al quale saranno destinate le linee (e la sopravvivenza) dello stabilimento di Mirafiori. Lo rivela in un editoriale Carlo Cavicchi, direttore del mensile Quattroruote, aggiungendo che “a Torino sanno bene che produrre altrove può essere più vantaggioso, ma Mirafiori è un simbolo che nessuno in Fiat si può permettere di indebolire: quindi il cuore, la riconoscenza e le radici l’hanno giustamente avuta vinta sulle fredde, aride logiche industriali e commerciali. Poi l’articolo 8, che risolve i problemi legati alla validità degli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori, ha dato una spinta ulteriore, e così tutto è tornato allo status quo ante”. Peccato che i bilanci non si tengono in ordine con il cuore, e che le spinte alla produzione non debbano venire dagli accordi sindacali: la risposta a tutto ciò si chiama modelli che vendono.

Altro dato: negli ultimi sei mesi il mercato automobilistico europeo ha subito una flessione del 1,3%, tutto sommato modesta rispetto al -12% delle vendite Italiane. Ed il governo cosa fa per risollevare questo bilancio in profondo rosso? Aumento dell’Iva e dell’Ipt. Lo strabismo dilaga.