Meno prediche, più azioni.
Se in alcuni casi le “incursioni verbali” che le alte gerarchie ecclesiastiche compiono nel campo del nostro Stato appaiono fuori luogo, dotandosi di una certa quantità di necessaria ironia non si possono che apprezzare le dichiarazioni che Angelo Bagnasco, capo dei vescovi italiani, ha rilasciato ieri da Madrid per esprimere il suo punto di vista su uno dei temi più delicati che il nostro paese, nel vivo di una stangata finanziaria senza precedenti, si trova ad affrontare: l’evasione fiscale. “Parole sante” (pardon), le sue: “Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti […] Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. Anche qui, la battuta arriva facile: da che pulpito vien la predica.
Proprio da uno dei massimi esponenti di uno Stato che vive in seno alla nostra Repubblica e che gode di privilegi per nulla indifferenti. Privilegi a cui, nello stato in cui versa attualmente l’Italia, si potrebbe rinunciare non solo a parole ma anche a fatti: è questo il grido che attraversa la rete immediatamente dopo le dichiarazioni dell’alto prelato, giunte del resto da una Madrid sempre più agitata dai numerosi movimenti, come gli Indignados, che hanno visto nella grande e dispendiosa organizzazione della Giornata Mondiale della Gioventù un ulteriore schiaffo verso una società già di per se martoriata dal peso della crisi economica. Il grande colpevole, la nota dolente di cui tanto si è detto e di cui molto di più sicuramente si dirà è, come al solito, l’esenzione dell’Ici per tutti i beni immobiliari appartenenti al Vaticano. Un patrimonio immenso, di cui gli edifici di culto veri e propri rappresentano solo una parte: alberghi, ospedali, centri conferenze, scuole che risultano liberi da vincoli fiscali; non si tratta di evasione, certo, perché è ovviamente tutto fissato da leggi che nessun governo ha mai osato intaccare. Un risparmio per le certamente non povere casse vaticane che si aggira, come segnalato da Massimo Gramellini nel suo quotidiano editoriale, in circa quattro miliardi di euro annui. Che da qui al 2014, fatidico anno del (supposto) pareggio di bilancio, farebbero una bella cifra, anche volendo escludere dalla tassazione gli edifici di culto. Sarebbe bello per una volta affrontare nel nostro Paese un dibattito serio e sereno sul tema, senza dover essere per forza tacciati di anticlericalismo o di integralismo cattolico, scindendo una buona volta la fede dall’istituzione. Mi stupisce non poco che i manifestanti madrileni se la stiano prendendo con i partecipanti ad una manifestazione che è, in cuore a quanti vi si recando anche da lontano, nient’altro che un momento di unità e condivisione di una fede, che è merce materialmente molto a buon mercato. Si fa presto a passare dall’indignazione ad una posizione “anti” che ha ben poco di costruttivo. Che uno Stato garantisca ai suoi cittadini il diritto alla pratica di (attenzione leghisti!) ogni culto religioso è “sacrosanto”. Ma il pagamento delle tasse su immobili che producono guadagno per i rispettivi proprietari, l’arroccarsi su posizioni di privilegio economico è ben altro discorso; al pari, ad esempio, del meccanismo di ripartizione dell’ “otto per mille” che non viene esplicitamente destinato (come avviene ad esempio per molti lavoratori dipendenti): un gettito fiscale che, anziché venire riassorbito dallo Stato, viene diviso secondo le percentuali delle scelte espresse. E che dire dei contributi statali alle scuole private, la maggior parte delle quali sono gestite dalla Chiesa?
Se la cinghia va stretta, stringiamola tutti. Ma si sa, le parole costano poco: sarebbe tanto difficile, nei fatti, rivedere queste norme? Non molto, credo, e sicuramente non di più che eliminare totalmente il parco delle auto blù in uso (ed abuso) a politici di ogni sorta, dimezzare numero e stipendi dei parlamentari, tassare in maniera equa i soldi “scudati”, abolire le province, ed accorpare tutte le feste, anche quelle religiose, con le domeniche: con buona pace del cardinale partenopeo Sepe, sono sicuro che a San Gennaro non basterà cosi poco per mancare l’appuntamento annuale con il miracolo.