Le grandi discariche del nord est
(di Roberto Giurastante)
Il terrapieno di Barcola è una delle grandi discariche a mare realizzata a Trieste nel cinquantennio del grande saccheggio del territorio della Venezia Giulia. E’ una discarica molto particolare in quanto, pur costituendo la parte terminale del Porto Franco Nord di Trieste, si trova in piena area balneare; a Nord del terrapieno la riviera Barcolana, zona di elezione della balneazione triestina, a Sud – immediatamente adiacente – il bagno del dopolavoro Ferroviario. Sempre a Nord, a circa 3 km, la riserva marina di Miramare.
Lo stesso terrapieno è sede di attività nautiche e sportive ed ospita la SVBG (Società Velica Barcola Grignano) organizzatrice della famosa regata velica Barcolana.
La discarica/terrapieno di Barcola rappresenta, con la gemella Pineta, l’estremo punto settentrionale dell’avanzata sulle coste del sistema istituzionalizzato dello smaltimento illecito dei rifiuti che ha devastato l’intera provincia di Trieste; una trentina di chilometri di discariche costiere che da Barcola proseguono ininterrotte fino al confine con la Slovenia.
Ma il terrapieno di Barcola non serviva solo a scaricare rifiuti tossico nocivi in quantità industriale (la superfice della discarica è di circa 120.000 metri quadrati per un volume di oltre 600.000 metri cubi di materiale). Il sistema di smaltimento dei rifiuti di cui stiamo parlando era funzionale a coprire traffici ed attività dei servizi segreti nazionali che a Trieste potevano vantare, e tuttora vantano, una struttura poderosa con infiltrati in ogni amministrazione pubblica. Servizi segreti militari e civili a copertura a loro volta della rete di Stay behind, più comunemente conosciuta come Gladio e della derivazione di questa: Gladio 2. Servizi, spesso deviati, che utilizzavano le discariche (sul Carso anche le grotte) per i loro depositi di armi. E proprio la zona di Barcola era ritenuta strategica per questo tipo di attività. Chi avrebbe mai sospettato che la fiorente “copacabana” giuliana celasse armi da fuoco, munizioni, bombe, esplosivi, accuratamente nascosti sotto metri di rifiuti?
Ecco quindi che quando nell’agosto del 2005 io denunciai, come responsabile degli Amici della Terra del Friuli Venezia Giulia, ai Carabinieri del NOE la pericolosa discarica/terrapieno di Barcola e i rischi per la salute pubblica, una specie di terremoto percorse le sedi istituzionali. Fino a quel momento vi era stata solo una “blanda” azione del WWF risalente al 1981; un esposto finito nel nulla senza particolari opposizioni da parte dell’associazione ambientalista. Ma quella che stava arrivando dopo ventiquattro anni era un’azione estremamente pericolosa per le massomafie triestine. Un’associazione ambientalista “non controllabile” aveva puntato al cuore di questo sistema di illegalità e lo minacciava seriamente. La mia denuncia metteva infatti direttamente in collegamento il terrapieno di Barcola alle altre discariche realizzate con le stesse modalità nella provincia di Trieste: avevamo scoperto la rete. Ecco quindi da una parte la necessità di respingere la minaccia chiudendo la breccia aperta dalla mia denuncia, e dall’altra di mettere a tacere la nostra associazione. E così venne fatto. L’inchiesta venne archiviata rapidamente dopo due anni di infruttuose indagini, servite più che altro a mettere in “sicurezza” il terrapieno sequestrandolo e impedendone l’accesso, per prescrizione del reato. Ma il reato che io avevo denunciato era associativo, riguardava un disastro ambientale di cui la discarica di Barcola era solo una parte, e come tale non poteva essere dichiarato prescritto.
Chiaro che la nostra presenza in un processo sarebbe stata imbarazzante per il sistema. Perciò a quel processo non ci si doveva arrivare. E così ci fecero fuori. Contro la nostra associazione venne avviata un’operazione di denigrazione pubblica, intensificata l’aggressione giudiziaria già in corso, e venimmo espulsi dagli Amici della Terra. La stessa associazione nazionale che ci aveva epurati presentò contro di noi denunce penali e avviò cause civili dandone notizia agli organi di informazione. Motivo ufficiale: non avevamo versato tutte le quote di iscrizione al nazionale (qualche centinaio di Euro)… Ma da qui venne montata ad arte un’accusa che ci presentò in pubblico come dei truffatori, diffamatori (perché ci difendevamo dalle calunnie…), persone indegne. Tutto questo si potè svolgere perché Procura della Repubblica e Tribunale di Trieste diedero il loro appoggio a questa campagna. Una vera tempesta giudiziaria che consentì l’archiviazione incontrastata dell’inchiesta scottante sul “sistema massomafioso” delle discariche della Venezia Giulia, di cui il terrapieno di Barcola rappresentava la punta dell’iceberg. L’archiviazione venne decisa nel settembre del 2007 dal G.I.P. Paolo Vascotto su richiesta del P.M. Cristina Bacer e senza informarne il denunciante (io). Questi due magistrati li ritroveremo anche in altre contrastate e anomale inchieste sul malaffare e i traffici di questa zona di confine.
Ad archiviazione avvenuta mi fu anche negato l’accesso al fascicolo processuale, accesso che fu invece autorizzato al WWF e ad altri che nulla avevano a che fare con la denuncia da cui aveva preso avvio l’indagine. Massoneria all’opera? Chi lo sa… Certo è che in questo modo i segreti del terrapieno/discarica dei “servizi” rimasero tali, perché il WWF, che pur non avendone diritto aveva ottenuto il via libera alla consultazione dell’intero fascicolo processuale, nulla fece… Tutto nell’oblio quindi, come da copione… Eliminati gli ambientalisti pericolosi nessuno doveva e poteva più indagare su questi sporchi affari di Stato. Ma dopo due anni e mezzo il file Barcola si riaprì. Dopo essere stati cacciati dagli Amici della Terra avevamo creato una nuova associazione (Greenaction Transnational) e con questa proseguito le nostre attività. E nel febbraio del 2010 io riuscì ad ottenere finalmente l’accesso al fascicolo processuale. Due mesi dopo ricevetti una minaccia di morte di stampo mafioso: una testa di capra mozzata davanti alla porta della mia abitazione… Ma questa è un’altra storia… forse…