La crociata contro i kebabbari
Nei decenni scorsi (ma pare stia tornando in auge) numerosi comuni piccoli e grandi sparsi su tutto il territorio italiano usavano fregiarsi del titolo di “comune denuclearizzato”, da apporre in forma di targa sotto il segnale stradale recante il nome della località. Credo dovesse avere in mente qualcosa del genere Massimo Bitonci, deputato leghista e sindaco di Cittadella, 20 mila abitanti in provincia di Padova, quando ha deciso di rendere il territorio governato dalla sua giunta il primo “comune dekebabizzato” d’Italia. Proprio cosi: in tutto il territorio del comune sarà vietata l’apertura di attività che vendono kebab e pietanze simili. La motivazione fornita dal primo cittadino sembra essere una crasi tra una battuta grottesca ed un insulto all’umana intelligenza: “non sono certamente alimenti che fanno parte della nostra tradizione e della nostra identità, senza considerare che, nei luoghi dove se ne è permessa l’indiscriminata apertura, le amministrazioni comunali e i cittadini si sono pentiti amaramente”. No, non è uno scherzo della fame.
Se il Bitonci è persona coerente, allora dovrebbe vietare anche la vendita di birra (inventata nel medio oriente anch’essa), di spaghetti (roba cinese) e di pizza (che pare fu creata addirittura nei dintorni di Roma). Sulla seconda affermazione non vale neanche la pena soffermarsi, anzi mi piacerebbe chiedere al signor sindaco sulla base di quali dati l’ha formulata.
Non credo si debbano spendere troppe parole per commentare un simile accaduto. Mettendo al bando un alimento, si vuole mettere al bando un’intera cultura, un modus vivendi si diverso dal nostro, ma non per questo peggiore. E’ questo concetto semplice e lineare che certa gente che si sente unta dal Signore non vuole proprio capire. In tal modo si mette una minoranza etnica ai margini della società, la si istiga all’odio nei nostri confronti, alla chiusura mentale, al ripiegamento. La tanto sbandierata integrazione si mette in pratica partendo dalle cose semplici, condividendo un piatto di polenta ed uno di kebab ed accorgendosi che messi insieme non sono affatto male. “Identità” è un concetto dinamico, non si può blindare la nostra identità, sarebbe anacronistico. “Kebabbaro” è ormai diventato, nella lingua parlata, un termine usuale come “pizzaiolo”, soprattutto tra i giovani: e questo perché la lingua, le abitudini, la struttura della nostra società cambia con il tempo. Con buona pace di quanti hanno in odio anche un panino.
Bitonci, ha mai pensato solo per un momento che per un immigrato vendere kebab può essere un’alternativa al praticare altre attività molto, ma molto meno ortodosse?
Il Bitonci prospetta anche scenari apocalittici, nel caso non si fosse intervenuti con un’ordinanza: “ci si potrebbe trovare in centro storico l’apertura di tali attività che diventerebbero il ritrovo di gruppi di consumatori tipici di queste pietanze mediorientali, già molto diffuse a Padova”. Caspita! Mi piacerebbe sapere cosa potrebbe fare un “consumatore tipico” – come me, che da quando ho scoperto il kebab non l’ho più lasciato – per rovinare il tranquillo centro storico di Cittadella.
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