Il senatore D’Alì e Trapani
Gli avvocati del senatore Tonino d’Alì, Stefano Pellegrino e Gino Bosco, hanno chiesto tempo alla Dda di Palermo per rispondere all’avviso di conclusione delle indagini per concorso esterno in associazione mafiosa. La magistratura palermitana ha racchiuso in un dossier di oltre 3 mila pagine l’atto di accusa contro l’ex sottosegretario all’Interno, dai rapporti con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro di Castelvetrano alle vicende più recenti, gli appalti pilotati e le forniture per i cantieri della Coppa America (Trapani, settembre 2005) finiti in mano a imprese della mafia, la “cacciata” da Trapani, nel 2003, dell’allora prefetto Fulvio Sodano, i rapporti con i mafiosi Virga e Pace. I suoi difensori hanno chiesto ai pm Paolo Guido ed Andrea Tarondo ulteriori accertamenti su due circostanze, ma hanno anticipato che faranno anche loro delle produzioni, per dimostrare, dicono, che le commissioni per le gare di quegli appalti indicati come truccati (anche quello per la Funivia Trapani Erice) sono stati sicuramente al di fuori almeno della sfera di influenza del senatore finito indagato. Fino ad oggi il parlamentare berlusconiano ha sempre scelto il silenzio sulla sua vicenda giudiziaria. Oggi lo rompe, ma parzialmente, accetta di parlarne, ma senza che sia, chiede, una vera e propria intervista. Preferisce affidarsi ancora agli atti depositati in procura antimafia (come la memoria difensiva), più che domande preferisce un colloquio, ma non nasconde di essere un fiume in piena. Il silenzio d’altra parte è ora che si rompa. Lo impongono gli adempimenti giudiziari. Girni addietro c’è stata anche la testimonianza in un processo di mafia, quello dove è imputato l’imprenditore valdericino Tommaso Coppola, uno di quelli che si dice si sarebbe molto bene raccordato con lui, “ma si dimentica che i rapporti politici lo portano a sinistra, ma di questo non si parla” si lamenta l’ex sottosegretario agli Interni.
La Dda di Palermo lo indaga per concorso esterno in associazione mafiosa, ha avuto notificato l’avviso di conclusione delle indagini, la situazione rispetto a sei mesi addietro si è ribaltata, da una richiesta di archiviazione, che in sostanza era lo stesso un atto di accusa che restava in piedi in attesa degli elementi di prova più consistenti, al preludio di una oramai quasi certa richiesta di rinvio a giudizio, ora che dentro la fascicolo sono entrate dentro confessioni anche nuove come quello dell’ex presidente del Consiglio Comunale di Villabate, Francesco Campanella, o ancora l’intervista al Fatto, poi ritrattata, dell’ex moglie Antonietta Aula che parlò di un telegramma di rimprovero che il marito avrebbe ricevuto da Francesco Virga, figlio del capo mafia di Trapani. Punto di partenza una vicenda archiviata e che però è tornata d’attualità, la fittizia compravendita di un terreno di proprietà dei D’Alì nella tenuta Zangara di Castelvetrano: lo comprarono i mafiosi che d’accordo con i D’Alì, secondo le accuse, avrebbero fatto solo finta di pagarlo.
Parla e si svela il senatore Antonio D’Alì, 60 anni a dicembre, parlamentare dal 1994, prima con Forza Italia poi ha seguito Berlusconi nel Pdl, e non poteva essere altrimenti, lui che dal premier fu personalmente scelto per essere il punto di riferimento in provincia di Trapani, sottosegretario all’interno per cinque anni, dal 2001 al 2006, adesso è presidente della commissione Ambiente del Senato. Seduto su un divano, in un piccolo salotto di casa sua dove si respira l’aria dei baroni trapanesi che hanno fatto nel bene e nel male la storia della città, padroni delle saline, e poi di una delle più famose banche siciliane, la Sicula, quella finita al centro di una indagine del vice questore Rino Germanà, il funzionario di polizia che nel 1992 sfuggì miracolosamente all’agguato di un commando mafioso composto da eccellenti, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano.
Solo in una occasione il senatore D’Alì ha parlato della mafia e dei contatti pericolosi della sua famiglia con i Messina Denaro di Castelvetrano. Raccontò ai microfoni di Blu Notte che la sua famiglia non è stata vittima meno di altri di Cosa nostra. Poi di nuovo il silenzio nonostante il suo nome per anni è continuato ad uscire dalle indagini che man mano a Trapani si facevano sulla mafia che ha avuto capacità a diventare impresa. In un processo il pentito Sinacori raccontò che nel 1994 mentre la mafia pensava a fare nascere un partito tutto suo, “Sicilia Libera”, da Trapani, guarda caso, partì l’ordine che bisognava votare Forza Italia. “Siamo dinanzi ad un accanimento nei miei confronti – si sfoga il senatore – non capisco perché si guarda a me e non a quei politici che invece sono sicuramente protagonisti di momenti di connessione pericolosa. Penso per esempio alla Provincia regionale, a quel funzionario arrestato mentre truccava gli appalti, alle vicende emersi dai processi su come gli appalti della Provincia erano in mano mafiosa, non ero io allora il presidente della Provincia, ma la signora Giulia Adamo, non capisco perché ci debba entrare io”. E poi aggiunge. “Quando fui io presidente della Provincia introdussi nei bandi di gara una norma precisa per la legalità nelle aggiudicazioni, perché venisse dichiarata decaduta dall’aggiudicazione l’impresa che risultava destinataria di estorsione e non avesse denunciato la pressione, ed ancora perché i materiali da usare dovevano essere presi in una certa percentuale presso le aziende confiscate, quel bando fu impugnato dinanzi al Tar dall’associazione degli industriali edili”.
Ma ci sono le intercettazioni che vedono imprenditori mafiosi parlare del senatore D’Alì, di esprimersi come se quello che accade dipende da interventi del parlamentare. “Non mi sono mai interessato di problemi di singoli, ma di problemi generali, delle categorie, delle associazioni”. D’Alì descrive uno scenario che secondo lui ha una sola unica conclusione, quella che gli imprenditori o gli stessi mafiosi che sono stati intercettati a parlare di lui lo hanno fatto a vanvera. “Io mi sono interessato a fare arrivare finanziamenti per la crescita di questo territorio, non per arricchire ora uno ora l’altro imprenditore, le dico di più, rifarei tutto quello che ho fatto”. E i rapporti con i Messina Denaro? “Li ho ereditati da mio nonno, lui li aveva come campieri, noi abbiamo subito anche la violenza mafiosa con il sequestro di un mio zio…spero che questo “mascalzone” di Matteo venga presto preso”.
“Non mi sono mai occupato di appalti e segnatamente anche di questi, c’erano commissioni di gara insediate a Roma, a Trapani, vigilavano la protezione civile (di Bertolaso sic! ndr), io apprendevo dai giornale delle imprese che si aggiudicavano i lavori, mai occupato di forniture, quello che si dice sul mio conto non è vero”. Anzi: “Non ci sono elementi che portano alla mia persona, ma ho come l’impressione che si attenda qualcuno che un giorno o l’altro finisca col parlare della mia persona”. Non alza la voce e non si irrita, ma si capisce che la tensione è tanta. E però restano le ombre. Alcuni degli imprenditori nel tempo arrestati, e condannati per mafia, non erano proprio del tutto distanti dal parlamentare. “Si tratta di personaggi – scrivono i suoi legali nella memoria difensiva – che fino al momento del loro arresto erano conosciuti come imprenditori e non certo come mafiosi”. E gli imprenditori intercettati a parlare del senatore secondo la difesa del parlamentare ne parlano come se ne può parlare al bar, “chiacchere da bar” sostengono nella memoria difensiva.
Contro D’Alì c’è poi l’ipotesi di avere “spinto” nel 2003 perché andasse via l’allora prefetto Fulvio Sodano, al suo posto giunse l’ex questore di Roma, Giovanni Finazzo. I rapporti con i due prefetti sono stati chiaramente diversi, con Finazzo il legame più forte, “anche se oggi ci diamo sempre del lei” dice D’Alì . Il contrasto con Sodano ci sarebbe stato all’epoca dell’intervento della prefettura a favore dell’azienda confiscata alla mafia, Calcestruzzi Ericina. Anche in questo caso il senatore nega di sue pressioni “al contrario” rispetto all’azione del prefetto. Delle pressioni ne parla Sodano, anche Birrittella che sostiene che la confidenza col senatore c’era, che non era solo riferita al calcio, ma anche alle campagne elettorali e che in occasione di una conviviale addirittura gli portò i saluti del capo mafia Francesco Pace. “Non è vero”, nella memoria difensiva l’affermazione è ripetuta più volte, “non ci sono prove e riscontri”. Anche sul trasferimento del prefetto Sodano. “Mai esercitato pressioni per il trasferimento, ci sono testimonianze a mio favore come quella dell’allora ministro dell’Interno Pisanu. Quello di Sodano fu un trasferimento nell’ambito di normali avvicendamenti”.
Il “potente” politico non si mostra indebolito ed è pronto a giocare la sua partita in sede giudiziaria e politica. Dentro casa sua, intesa politicamente, quella del Pdl, si è trovato di colpo un avversario inaspettato, l’ex fidato sindaco di Trapani, Girolamo Fazio. Un distinguo che pesa, fatto nel nome del rispetto delle regole e del rigore morale di chi fa politica. In questa maniera Fazio si è schierato affianco al neo coordinatore nazionale del Pdl, Angelino Alfano. “Quello di Fazio – dice D’Alì’ – è uno smarcarsi politico non personale, credo che sia naturale cercare di ottenere un riconoscimento personale, una via per avere riconosciuto un ruolo fuori dall’influenza che possa esercitare io, non è una azione che politicamente mi sorprende, vedremo i frutti che darà, io resto il riferimento del partito in questo territorio”.