Rifiuti tra epidemiologia e sociologia

(di Marina Bisogno)

Presso il museo di Mineralogia dell’Università Federico II di Napoli, è stato presentato il saggio “Corpi in trappola” (Editori riuniti University Press) a cura di Liliana Cori, coordinatrice dell’Unità di comunicazione presso l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, e di Vincenza Pellegrino, antropologa e sociologa. Si tratta di un testo corale, multidisciplinare, che affronta l’annosa questione dei rifiuti in Campania, coniugando l’indagine epidemiologica a quella sociologica. Fabrizio Bianchi, Valerio Boccone, Rossella Bonito Oliva, Cristian Fuschetto, Romualdo Gianoli, Pietro Greco, Amato Lamberti, Viola Sarnelli, Fulvia Signani, Daniela Testa, Adriana Valente, Anna Maria Valentino ed ovviamente le curatrici: ricercatori, antropologi, sociologi, giornalisti e docenti, che hanno ripercorso la storia di un’emergenza che tale non è, agendo sul territorio e parlando con la gente. L’idea risale al 2008, quando i ricercatori del Cnr vengono incaricati dalla Regione Campania di realizzare uno studio sanitario per monitorare lo stato di salute di quanti vivono nelle aree più bistrattate, per la presenza di discariche abusive, il cosiddetto studio Sebiorec, (Studio epidemiologico e di biomonitoraggio umano nella ragione Campania). Gli scienziati, allora, coadiuvati come detto da altri colleghi, decidono di affiancare all’indagine una serie di interviste, per comprendere quali fenomeni sociali stanno prendendo vita in un’area tanto inquinata, dove da tempo, la gente avverte l’insorgere incombente della malattia. “Abbiamo mappato interi nuclei familiari, esposti allo smaltimento illecito dei rifiuti. Famiglie che ogni giorno vedono bruciare cumuli di spazzatura e sentono la puzza acre sprigionarsi nell’aria. Siamo entrati nelle loro case e gli abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza di vita quotidiana, alle prese con un dramma ambientale immane” ha spiegato Vincenza Pellegrino. Ed è questa, invero, la particolarità del testo, che conta ben ottantasei interviste, rivelatrici da un lato, della nitida consapevolezza dei campani dello sfacelo ambientale, e dall’altro, della fine di un’epoca di rassegnazione a favore di una sfrenata lotta dal basso, che di rado, però, trova connettori tra i governanti. L’assenza di dialogo con le istituzioni locali e la certezza che i politici siedono allo stesso tavolo di imprenditori di bassa lega e di malavitosi, generano una comune sfiducia nei cittadini, che ormai preferiscono bypassare i loro rappresentanti, tutelandosi come meglio possono. La sfiducia lascia il passo a nuove forme di democrazia e di partecipazione, che secondo la Pellegrino, anticipano quanto avverrà anche in altre zone del nostro Paese. Il quadro emerso dalle interviste è variegato ed evidenzia in primis la spaccatura tra le precedenti generazioni e i trentenni di oggi, più o meno consapevoli della possibilità della trasmissione di malattie e malformazioni ai loro figli.
Il dato sociologicamente interessante e rimarcato dalla Pellegrino, è che anche i ceti sociali più umili hanno la percezione del collegamento profondo che esiste tra la malattia, la gestione illecita dei rifiuti, e gli affari economici tra imprenditori, politici collusi e camorra. Le radici di questo cancro sono profonde e risalgono, come spiega nel saggio il dott. Lamberti, agli anni Cinquanta.
I processi di urbanizzazione selvaggia hanno fatto sì che gli imprenditori scendessero a patti con la politica per lo smaltimento dei residui inerti. La conseguenza? Una rete di norme speciali che hanno legalizzato l’apertura di cave in ogni dove. La malavita ha ben presto fiutato l’affare, riuscendo ad inserirsi in un circuito redditizio e allo stesso tempo letale. In poco tempo le leggi speciali diventano la regola, incoraggiando il trivellamento della terra per seppellire rifiuti di ogni sorta. È l’inizio di un meccanismo mortifero, che richiama l’attenzione della magistratura solo negli anni Novanta. La prima indagine è chiara: la camorra detiene l’egemonia della gestione illecita solo grazie alla complicità di imprenditori e amministratori. A distanza di venti anni il quadro è il medesimo. Le discariche e gli inceneritori sono il frutto di un’emergenza creata a tavolino, senza la quale i governanti e gli industriali collusi non potrebbero giustificare la necessità dei lavori. Progetti economici stilati su scrivanie a cui siede anche la malavita. Il segreto, spiega Lamberti, è ampliare i passaggi, in modo che il denaro pubblico cada a pioggia e nelle tasche di quanti più soggetti è possibile. Ed è a questo punto che si inserisce lo sfascio dell’ambiente e della salute umana.
Il passaggio è illustrato perfettamente da Fabrizio Bianchi, dirigente di ricerca dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche e responsabile dell’Unità di epidemiologia ambientale. La certezza che la Campania si stesse ammalando ha indotto i cittadini ad interrogarsi, ad interrogare e a pretendere delle risposte. Nel 2004 il problema della tutela della salute pubblica in Campania è oggetto di un reportage pubblicato sulla rivista Lancet Oncology. L’intervento identifica un’area, il triangolo Acerra-Marigliano-Nola, come altamente tossica e segnata da un alto tasso di mortalità. I dati, seppur calibrati, lasciano spazio ad un’immagine, quella del triangolo della morte, tutt’oggi viva nella coscienza della gente. Il passo fino al Sebiorec è breve. Nel 2007 Bertolaso ordina al Cnr di realizzare uno studio per monitorare lo stato di salute delle persone. L’Istituto Superiore della Sanità ed il Cnr danno il via allo studio, mappando centonavantasei comuni tra Napoli e Caserta. L’obiettivo è rilevare quali tra questi comuni presentano un tasso di mortalità maggiore rispetto ad altri. “I risultati conclusivi del lavoro, divulgati in una conferenza pubblica tenuta a Napoli nell’Aprile del 2007, confermavano gli andamenti crescenti di mortalità e di alcuni tipi di malformazioni congenite con l’aumentare del livello di compromissione ambientale dovuta a rifiuti pericolosi, che assume valore più alto di rischio in aree interessate tra smaltimento illegale o incontrollato di rifiuti pericolosi, localizzate tra le province di Napoli e Caserta” scrive Bianchi.
Gli autori dello studio chiamano in causa anche le condizioni socio economiche precarie della popolazione, che di certo influenzano la compromissione dello stato di salute. L’indagine non rileva però un rapporto di causa effetto tra l’esposizione a fattori inquinanti e la malattia. Gli studiosi, allora, restringono il campo a duecentocinquantasei siti, i più pericolosi, ed effettivamente riscontrano che con l’aggravarsi della criticità ambientale aumenta anche l’ingerenza di malattie. È a questo punto che l’Assessorato alla salute della Regione Campania affida, nel 2008, all’Istituto Superiore di sanità, in collaborazione con l’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, il più grande studio di biomonitoraggio che sia mai stato realizzato in Europa: il Sebiorec. L’obiettivo che si pongono gli scienziati è svelare quanti inquinanti, tra mercurio, cadmio, arsenico, piombo, diossine ed altri composti, sono stati assorbiti dalla popolazione che vive a ridosso delle aree più inquinate.
Le modalità con cui l’analisi è stata portata avanti sono ampiamente illustrate nel libro. Quello che preme spiegare è che di certo il Sebiorec rivela delle criticità. Tra i segnali più interessanti sono da annoverare alcune associazioni tra la presenza di arsenico, mercurio e piombo in diverse comunità che hanno dichiarato un maggior consumo d’acqua da acquedotto. Inoltre la residenza vicino a siti di abbandono di rifiuti pericolosi ha indicato una maggiore esposizione a sostanze organiche, quali diossine, furani e poli-cloro-bifenili (pcb), probabilmente per il contributo di combustioni illegali. I dati sono tutti riportati nel testo. Secondo Bianchi meritano di essere approfonditi e comunicati. I risultati, infatti, non sono mai stati resi noti. Solo all’indomani di un articolo su L’Espresso, la Regione ha indetto una conferenza stampa, volta a sedare ogni focolaio d’allarme. Sta di fatto che gli autori dello studio sono intenzionati a rendere pubblici i risultati pubblicandoli su una rivista internazionale, consapevoli che spetta alla politica trarre delle conclusioni. Ed è proprio l’assenza di comunicazione scientifica ad alimentare le distanze tra i cittadini e le istituzioni. Il gap lascia spazio alla nascita di associazioni e di comitati, la cui azione garantisce la trasparenza e la circolazione di informazioni, che come detto, fanno della Campania un laboratorio di democrazia unico in Italia. Secondo la Pellegrino i risultati delle nuovi amministrative sono il segno tangibile del desiderio di invertire la rotta. E allora riuscirà il nuovo sindaco a farsi carico di queste istanze? Le intenzioni sembrano buone, ma debellare anni ed anni di malgoverno costa. Le cronache di Napoli ne sono la prova tangibile.