Mauro ucciso dalla mafia che parlava con la massoneria e la politica

C’è un rischio concreto cui va incontro il processo per il delitto di mafia di Mauro Rostagno cominciato lo scorso febbraio a Trapani. E cioè quello che si finisca con il fare il processo non agli imputati, che non sono, lo si ricorda, personaggi qualsiasi della Cosa nostra trapanese, ma due pezzi da 90, Vincenzo Virga, riconosciuto capo mandamento di Trapani per quasi 20 anni, dal 1983 al 2001, e Vito Mazzara, già riconosciuto killer di fiducia del boss Virga. Il pericolo è fare il processo a come sono state fatte le indagini. Ieri è toccato ancora ai carabinieri, interrogatori burrascosi, qualche udienza prima, non la stessa sorte, ma tra qualche domanda di quelle che mettono in difficoltà, perché alla fine non saltano fuori i riscontri, era toccato ai poliziotti della Digos che seguirono la pista interna alla Saman, indagine che però poi aprì gli scenari che oggi hanno portato la “potente” mafia a dibattimento.

Depistaggi che possono esserci o meno stati per la prima parte delle indagini, è oramai consolidata la circostanza che non furono fatte bene, ieri il fare tornare a testimoniare l’ex comandante del nucleo operativo dei Carabinieri, generale Nazareno Montanti, e il luogotenente Beniamino Cannas, è servito poco o nulla, lo scenario non è cambiato. Sulle omissioni e ritardi il generale Montanti si è giustificato dicendo che all’epoca aveva a disposizione pochi uomini, Cannas ha detto che le comunicazioni sui rapporti investigativi avvenivano per via gerarchica e quindi se il verbale di interrogatorio di Mauro Rostagno, sentito, qualche mese prima della sua uccisione, nell’ambito della indagini sulla loggia coperta Iside 2, scoperta in quel periodo, non transitò dentro il fascicolo di indagine sul suo omicidio, non lo si deve a lui, ma al superiore cui aveva comunicato quel rapporto.

Certo non escono a testa alta i carabinieri: il generale Montanti dinanzi all’incalzare delle domande dei pm Gaetano Paci e Francesco Del Bene, che hanno evidenziato l’incredibile sconoscenza di fatti che come comandante del nucleo operativo avrebbe dovuto conoscere, l’alto ufficiale, ora in pensione, ad un certo punto ha detto che «era un passacarte di lusso».

È emerso, ma lo si sapeva già dalle precedenti udienze, che non fu fatta una adeguata valutazione investigativa di elementi che avrebbero dovuto portare i carabinieri a non escludere, come hanno fatto, la pista mafiosa per il delitto Rostagno: «C’è una discrasia – ha detto il pm Paci – tra il patrimonio investigativo raccolto all’epoca e quello rappresentato all’autorità giudiziaria». Discrasia che nemmeno il teste successivo, il luogotenente Beniamino Cannas ha risolto e anche lui, come aveva fatto il generale Montanti, ha risposto dicendo «di non sapere rispondere a tutte le domande». Il suo negare poi un incontro con Chicca Roveri, compagna di Rostagno, nell’ufficio del procuratore dell’epoca, Antonino Coci, qualche mese dopo il delitto, la Roveri ha parlato di una convocazione anomala, con il procuratore che le chiese, per ragioni di sicurezza, di tenere riservata quella chiacchierata, ha indotto la Corte di Assise a disporre un confronto tra la Roveri, presente in aula, e il maresciallo. E durante il confronto le posizioni non sono cambiate. La Roveri ha contestato a Cannas che non si era comportato da amico di Mauro come diceva, in un rapporto gli ha dato dell’ambiguo, a lei avrebbe raccontato che la pista seguita era quella mafiosa, salvo poi vederla esclusa nel rapporto finale. La Roveri ha detto che nel 1994 prese consapevolezza del fatto che il brigadiere Cannas non aveva avuto un comportamento leale, nascondendo quella frase che Rostagno durante un incontro gli aveva riferito e cioè che gli avevano dato un mese di vita. Le cose non stanno così ha risposto Cannas, mi disse che se gli davano tempo sarebbe venuto a parlarmi.,Bugie per la Roveri, dichiarazioni originate da astio per Cannas. Il confronto si è chiuso senza cambiamenti di posizioni.

Il processo va però spogliato di gran parte delle cose che si sono sentite dire, per ricondurlo sulla strada giusta. Ed allora ci sono però due dati che sono entrati ieri nel processo per il delitto di Mauro Rostagno. E non sono secondari. Sono importanti e si spera trovino riflettori su di loro presto accesi. Non sono la chiave di volta del movente per l’omicidio, ma solo perchè il movente non fa parte di questo dibattimento, Virga è accusato di essere il mandante del delitto, Mazzara uno degli esecutori, i pm della Dda di Palermo sul movente hanno tenuta aperta un’altra indagine, ma se letti con attenzione questi elementi sembra che possano essere utili a riscontrare positivamente le responsabilità contestate dalla Procura in capo agli imputati Virga e Mazzara.

Di cosa stiamo parlando? Intanto della loggia massonica Iside 2, la loggia coperta che si celava dietro il circolo Scontrino di via Carreca, quella scoperta a metà degli anni ’80 dalla Squadra Mobile. Una indagine partita da un anonimo che diceva che era tutto pronto per far vincere il concorso per comandante dei vigili urbani. Il concorso saltò, a tantissimi anni di distanza il corpo resta occupato da un non ufficiale, il comandante con divisa e stellette continua da oltre 20 anni a non esserci. La loggia, dispensatrice di favori, guidata dal gran maestro, professore di filosofia, Gianni Grimaudo, si occupava di scuola, giustizia,affari politici: era super segreta, sconosciuta negli ambienti massonici, fuori da ogni ordinamento e a Trapani operava con la super visione di tale Pino Mandalari di Palermo, commercialista, il commercialista del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. Se dentro la loggia c’erano anche mafiosi dunque non è un caso, come il mazarese Mariano Agate o il castellammarese Mariano Asaro.. Per le stanze di quella loggia sarebbe passato il capo della P2 Licio Gelli, in un periodo in cui il suo nome era conosciuto certamente non a molti. La loggia, della quale si occupava il professore di filosofia, Gianni Grimaudo, intrecciava anche rapporti internazionali, con i bulgari che potevano essere dietro l’attentato a Giovanni Paolo II, sfuggito alla morte nel 1983 a Piazza San Pietro. Mauro Rostagno aveva messo il «naso» dentro quelle logge, dapprima presentandosi con un editoriale garantista, come se frenava sullo scandalo, poi con interventi precisi e netti, di forte contrasto. La loggia era frequentata da burocrati, questurini, dirigenti di prefettura e di banca, giudici e mogli di magistrati, ma anche da politici. Uno di questi era Francesco Canino, assessore e deputato regionale in quegli anni, finito sotto processo per mafia (dibattimento oggi sospeso per le sue gravi condizioni di salute). Canino vanta una archiviazione per l’appartenenza alla loggia (caso di omonimia decisero i giudici di Palermo) ma il suo nome è girato dapprima per gli affari tra massoneria segreta e politica, poi per le vicende mafia e politica. E qui entra in campo l’altro elemento. Lo aveva accennato nella precedente udienza Gianni Di Malta, collaboratore di Rostagno a Rtc e poi alla comunità Saman, ieri lo ha ripreso Giuseppe Aiello che lavorava a Rtc quando c’era Rostagno. Aiello ha riferito di un pranzo a Palermo dove accompagnò l’editore della tv, Puccio Bulgarella, al tavolo andò a sedere l’ing. Lodato, che si occupava di Fininvest, trattava con Bulgarella della cessione di canali per le sue reti, in quella chiaccherata Lodato parlò con Bulgarella del delitto Rostagno avvenuto un mese prima, l’editore rispose dicendo che una prima volta lo aveva salvato, una seconda non ci riuscì perchè non si trovava a Trapani, e che per quel delitto da un mese non si salutava con un politico che sedeva in altro tavolo nello stesso ristorante, l’on. Canino. Aiello ha riferito la discussione per come la sentì, poi non ci fu altra occasione di parlare della stessa cosa con Bulgarella, che nel frattempo è morto.

Non è poca cosa quello che è uscito fuori se si pensa che in altre indagini (operazione «Rino 3») gli investigatori hanno descritto come stretto il rapporto tra Vincenzo Virga e Francesco Canino. Cosa successe a questo punto solo l’on. Canino potrebbe venire a dirlo, visto il silenzio che Virga ha sempre opposto alle contestazioni. Bulgarella si rivolse al politico per fermare i killer mafiosi? È per questo che Rostagno firmò un editoriale con il quale si mostrava «garantista» nei confronti di Canino e della sua partecipazione alla loggia coperta Iside 2? Quell’editoriale per il quale il maresciallo Cannas definì «ambigua» l’azione di Rostagno e che forse andava letto meglio. Rostagno a Cannas avrebbe detto (riferito da Chicca Roveri) «mi hanno allungato la vita di un mese», il maresciallo ha negato la circostanza, la frase sarebbe stata altra, «parlavamo di alcune cose mi disse che se gli davano tempo ne avremmo discusso».

Un filo che porta alla mafia che all’epoca cambiava pelle e che con il boss Vincenzo Virga riusciva a entrare nei palazzi delle istituzioni e dentro l’imprese c’è, si scorge, cristallizzato in quel 1988, il processo con i prossimi testi è questo che certamente approfondirà. L’ultimo servizio Rostagno lo doveva realizzare dopo una serie di interviste fatte a Marsala, dove incontrò il sindacalista della Cisl Nino Santoro. Dopo quell’incontro Rostagno disse ai suoi collaboratori «ora ho capito tutto». La sua morte sta proprio lì, non in quello che aveva detto, ma in quello che si apprestava a dire, aveva completato forse un ragionamento sulle faccende trapanesi, troppo per una mafia che non ammetteva (ammette) la presenza di persone pronte a ragionare su come combatterla.

Non è un processo che riguarda un delitto di periferia. Basta ricordare, a parte gli imputati che sono pezzi da 90, gli atti della loggia coperta Iside 2, un maxi processo che si ridusse ad un dibattimento con 4 imputati, solo due condannati. E’ un delitto dal quale sono emerse forte compromissioni tra politici , giornalisti ed esponenti di forze dell’ordine, Iside 2 è il processo che trova un legame col traffico di droga internazionale scoperto il 30 aprile 1985 nella raffineria di droga di contrada Virgini, E’ il processo da dove passano certe trame, le trattative dei mafiosi,o addirittura la dissociazione, guarda caso gli appelli a favore dei detenuti al 41 bis nel tempo sono giunti sempre dalla cattolicissima Alcamo. Non è un processo di secondo piano e del quale scrivere una volta tanto, e nelle cronache locali, ogni udienza è una sorpresa, ma la matrice non si tocca, Mauro Rostagno ucciso dalla mafia, ma è forse di questo che non si vuole tanto parlare, meglio quando la pista da battere era quella interna, forse anche perché più pruriginosa. D’altra parte il capo mafia di Mazara Mariano Agate, che da Rostagno veniva preso di mira, aveva dato l’ordine del passa parola, quello doveva essere un delitto di corna, e così si è sentito dire fin dentro l’aula del processo e prima durante i 23 anni di inutili indagini, tranne quelle della parte finale condotte dalla Mobile diretta dal primo dirigente Giuseppe Linares. Linares che nel commentare i risultati delle indagini disse una cosa che continua a pesare come un macigno sul processo, Rostagno in quel 1988 era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato .Peppino Impastato a Cinisi era a 100 passi dalla mafia, Rostagno l’aveva a 10 passi quelli che dividevano la sua stanza dall’ufficio dell’editore, Puccio Bulgarella, l’uomo che al tempo si incontrava con i mafiosi palermitani per parlare di appalti e messe a posto.