Petru non suona più, Mirella piange ancora
(di Rossella Fierro)
Petru suonava la fisarmonica nella stazione della metro, regalava musica a persone poco sensibili alle note dell’est, rendeva viva quell’indifferenza chiassosa del via vai di gente che ogni giorno passa a Montesanto, nel cuore della Napoli dei panzarotti fritti, degli scugnizzi che tirano instancabilmente calci ad un pallone per ore ed ore. Il cuore di quella Napoli dove tutto è consentito ai signori della camorra dai colletti bianchi fino a scalare la piramide del Sistema ed arrivare alle vedette dei quartieri che bruciano nafta in quantità per controllare, portare ambasciate. Eppure alla cumana di Montesanto il tram tram della vita moderna sembra l’unico aspetto di normalità di una città metropolitana. Petru Birlandeanu è entrato così a far parte dell’infinito elenco delle vittime innocenti della camorra: era un martedì sera qualsiasi quello del 26 maggio 2009 quando un commando composto da 8 killer su quattro motociclette attraversa via Pignasecca fino alla stazione della Cumana. Iniziano a sparare in aria, ad altezza d’uomo, tra la gente terrorizzata. Sono gli uomini del clan Sarno di Ponticelli che vogliono lanciare un avvertimento al boss Salvatore Mariano pronto a ritornare in auge dopo il carcere. Fanno come i cani che urinano per tracciare il territorio, solo che loro sparano: colpiscono alla spalla un ragazzino di quattordici anni, non è grave. Petru viene colpito da un proiettile all’ascella che gli buca cuore e polmoni. Ma lui non si accascia a terra, cinge con il braccio il collo dell’amata moglie Mirella e la spinge all’interno della Cumana dove tutti scappano, cercano riparo dalla cieca furia omicida di cui solo le mafie sono capaci. Petru è forte: era un giocatore di calcio, centravanti del Poli Iasi squadra della serie A della Romania, venuto a Napoli insieme alla sua famiglia, nella speranza di una vita migliore per i suoi due bambini. Ve li immaginate Adriano o Di Canio costretti a lasciare bella vita, donne e festini, per andare a chiedere l’elemosina in un altro paese? Ironia della sorte un calciatore della serie A romena non riesce a dare da mangiare ai suoi figli. Erano le 19:40 circa, il resto, nell’epoca di youtube, è storia da migliaia di cliccate e visualizzazioni. Ma è una storia sbagliata, fatta di gambe che si allontanano, di cellulari che riprendono una donna, Mirella, che urla e si dispera sul sangue del marito, di gente che non conosce compassione né carità cristiana. “Il mio Petru è stato lasciato morire. C’ era una sola ambulanza e ha portato via il 14enne. Mio marito è rimasto a terra per 30 minuti. Se era italiano sarebbe stato diverso, a noi ci lasciano finire così”. E’ questo che la Napoli di Pulcinella, del sole e del mandolino ha lasciato a Mirella giovane donna rimasta vedova senza motivo. Per 30 minuti il corpo di Petru è rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. “Ci guardavano tutti e c’era anche chi mi scattava fotografie”. Il tutto a poco più di cento metri dall’ospedale dei Pellegrini. Petru muore come Silvia Ruotolo, come la piccola Annalisa Durante, per un errore, per un proiettile vagante, perché in quell’istante qualcuno arbitrariamente ha deciso che la loro vita doveva finire. Sono queste le vittime innocenti della camorra. Ma per Petru nessuna solidarietà è un romeno, uno di quelli che in Italia fanno notizia solo se violentano, picchiano, si ubriacano. E i romeni se li piangono i romeni. Mirella, solo Mirella è accanto a quel corpo ormai inerme, che non toccherà più la sua fisarmonica rossa, anch’essa sola e abbandonata sul sudicio pavimento della Cumana di Montesanto.
Ma cosa resta nella Napoli assuefatta ai “morti sparati” di quell’uomo strappato alla vita? Qualche fiore, una teca che custodisce la fisarmonica, un contributo alla famiglia da parte delle istituzioni. Più di tutto resta la musica: “Ma adesso, signori, me ne vado via ha fatto tardi anche la polizia ma l’ultimo pensiero va a Natasha mia, amore bevi per la gioia e non di nostalgia!”. Così cantano gli Shabadà Orchestra, gruppo folk rock di Napoli, a cui la storia di Petru non è passata inosservata. Fanno concerti in lungo e in largo per il sud Italia e cantano “Mia Natasha”. Ogni volta però Marino, il cantante, è costretto a spiegare chi era Petru e perché gli hanno dedicato un testo. E la reazione di meraviglia dei giovani che vanno ai loro concerti dimostra che questo è un Paese a cui scivola tutto addosso. Anche le lacrime di Mirella.