Massoni e politici, il terzo livello del caso Fortugno

Un summit tra i vertici della ‘ndrangheta e una trasferta a Prato dal boss Libri: tre giorni prima dell’assassinio due picciotti annunciano a don Mico, “Cose grosse, compra i giornali”. Un omicidio eccellente, l’assassinio di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, non poteva essere deciso senza il sì delle famiglie di ‘ndrangheta che contano. Prima di quel pomeriggio del 16 ottobre 2005, quando Fortugno viene freddato a Locri nel seggio delle elezioni primarie dell’Ulivo, ci sono riunioni, emissari dei boss che si spostano da una parte all’altra d’Italia. Un lavorio frenetico in parte documentato dagli atti del processo che anche in appello ha visto la condanna di Alessandro Marcianò e di suo figlio Giuseppe all’ergastolo in qualità di mandanti, e di Salvatore Ritorto e Domenico Audino, gli esecutori materiali, in parte inedito.

C’è una informativa della Squadra mobile di Reggio Calabria del 1 dicembre 2005 che racconta uno di questi summit, e forse spiega una frase del pentito Domenico Novella, nipote illegittimo dei Cordì: “C’è qualcosa della politica sotto l’omicidio Fortugno. Qualcosa di grosso. Una cosa misteriosa”.

È il 13 ottobre del 2005, mancano tre giorni all’omicidio, quando due emissari della cosca Libri si recano a Prato dal capo indiscusso della potente ‘ndrina, don Mico Libri. Si tratta di un boss di livello, insieme ai Tegano, ai De Stefano e ai Condello, ha in mano Reggio. È alta mafia, che ha rapporti con la politica e con la massoneria. Mancano otto minuti alle dieci della sera, quando Salvatore Tuscano, autista e uomo di fiducia dell’anziano boss, parla di un evento straordinario, una cosa grossa che – scrivono gli agenti della Mobile – avrebbe “generato imprevedibili conseguenze”. “Da lunedì in poi ridiamo”, dice Tuscano a don Mico Libri. Fortugno viene ammazzato nel primo pomeriggio di domenica 16 ottobre, il giorno dopo la notizia avrebbe occupato le prime pagine dei giornali. “Zio – dice Antonino Sinocropi, detto Antonello, un altro fedelissimo andato a Prato – da martedì in poi ti conserviamo tutti i giornali e te li mandiamo tutti in una volta”.
Il boss intuisce qualcosa, nella intercettazione ci sono passaggi disturbati, chiede spiegazioni. “Cosa succede da martedì in poi?”. Sinocopri, annotano gli agenti della Mobile, forse riferendosi “a rancori da parte di uno schieramento non meglio identificato”, parla con il linguaggio degli uomini di ‘ndrangheta: “L’hanno cucita nel cuore… lì (“verosimilmente nella Locride”) si fa tutto tranne il bene”. A Locri comandavano i Cordì, il “locale” era nelle loro mani, prima che scatenassero una sanguinosa guerra di mafia contro i Cataldo che lasciò sul campo decine di morti e allarmò le altre cosche della Jonica. Quando Fortugno viene ucciso, il “locale” di Locri è da tempo “posato”, in gergo mafioso commissariato.

Per questo è necessario l’assenso delle altre famiglie per realizzare un omicidio di alto livello. Il sì di Mico Libri è indispensabile. Il boss ascolta i suoi due fedelissimi, poi rivolto a Salvatore Tuscano: “Una sola cosa ti dico, tu ti devi stare attento che non succeda qualche cazzata, per il resto fate quello che volete, la ci sono… per i cazzi tuoi… tanto ormai il lavoro…”. Nell’intercettazione don Mico e i suoi due picciotti parlano anche di un summit che alle dieci del mattino del 16 ottobre, quando mancano cinque ore all’omicidio di Fortugno, si terrà a Reggio Calabria in una sala bingo. Gli agenti della Mobile filmano i partecipanti: sono esponenti delle cosche Libri, De Stefano e Tegano, Pasquale Condello, “‘o Supremo”, manda un suo emissario. A Prato il nome di Fortugno viene citato da Antonello Tuscano insieme a quello di un altro politico (un avvocato candidato al consiglio regionale e non eletto): “Se lo è dimenticato, compare Fortugno…”.

A quale livello è stato deciso l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, chi ha dato il suo ok a Santo Marcianò per ammazzare l’onorevole? Don Mico Libri non potrà più chiarire il senso di quelle conversazioni tre giorni prima l’omicidio: è morto nel 2007. Né potrà essere d’aiuto Salvatore Tuscano, ammazzato come un cane il 9 maggio del 2007 mentre era dal barbiere. Omicidio deciso ad altissimo livello di mafia, avvolto nei misteri della politica calabrese. I Libri hanno sempre avuto rapporti stretti con la politica e interessi anche nella sanità pubblica.

Secondo un rapporto della Guardia di Finanza del 21 ottobre 2005, le cosche Tegano e Libri “eserciterebbero un forte condizionamento sul regolare svolgimento delle gare d’appalto nel settore delle forniture e dei servizi sanitari”. Gli 007 della Gdf scrivono “che Pasquale Rappoccio (qualificato come prestanome della cosca Libri), unitamente al fratello Vincenzo, svolgerebbe per conto dei Libri una intensa attività di reimpiego di capitali illeciti”. È sempre la sanità al centro dell’omicidio Fortugno e dei misteri che ancora lo circondano. Pasquale Rappoccio, massone con rapporti politici in tutti gli schieramenti, nel dicembre scorso è stato rinviato a giudizio insieme all’onorevole Maria Grazia Laganà, la vedova di Fortugno, proprio per una vicenda di forniture sanitarie alla Asl di Locri attraverso la sua società Medinex.

(da Il Fatto Quotidiano del 3 maggio 2011)