Destra e sinistra pari sono, faranno i conti con noi

(Di FRANCESCA PACI)

Gli “indignados” snobbano il voto: ci vuole tempo per cambiare il sistema

Non ci sono maxischermi da cui seguire gli exit poll in Puerta del Sol. La batosta dei socialisti di Zapatero lascia gli «indignados» indifferenti quanto l’affermazione del Partido Popular. Alle 21,30 al centro della piazza gremita decine di persone alzano le braccia agitando le mani come si usa per approvare un’idea dell’assemblea. I risultati elettorali non c’entrano. Il Comitato Informazione annuncia il vincitore di questa domenica 22 maggio: il popolo spagnolo che ha fatto sentire la sua voce e continuerà. Evviva.

«Ho votato scheda bianca e me ne vanto, tra i due litiganti il terzo gode» commenta Eduardo Ramirez, insegnante, 38 anni, un palloncino in mano con la scritta «Somos l@s invisibles», siamo gli invisibili. Il 15 maggio sono usciti dall’ombra e oggi celebrano la sconfitta dei politici che seppure ancora in sella dovranno fare i conti con la sfida popolare al bipartitismo.

A onor di cronaca la web-tv autogestita Emitiendo 24 horas aggiorna i risultati dello spoglio. Nessuno però sembra particolarmente interessato alle percentuali di quelli che comunque governeranno. A differenza della Tahrir egiziana, la piazza madrilena non puntava alla caduta di un tiranno e non ha bisogno dell’urlo catartico della liberazione.

«Tutti si aspettano che succeda qualcosa e invece non succederà niente perché sapevamo di non poter cambiare il sistema in una settimana», osserva l’educatore per l’infanzia José Ramon. La notte dorme qui e il mattino corre a timbrare il cartellino: «Resterò finché deciderà l’assemblea, è un sacrificio ma ne vale la pena». L’amica e collega Michela divide con lui la tenda e la certezza d’aver segnato un punto, pazienza se per il momento se ne avvantaggeranno i conservatori: la rivoluzione procede con metodo.

«È una vittoria di Pirro per i popolari, hanno battuto i socialisti ma devono affrontare la piazza» osserva lo scrittore Lorenzo Silva che ambienta il suo nuovo romanzo La strategia dell’acqua (Guanda) nella Spagna contemporanea, tra cervelli in fuga dalla disoccupazione e sindaci beccati a nascondere centinaia di migliaia di euro nella spazzatura. Il finale della protesta è aperto, concede: «Certo non ci sono leader né obiettivi chiari, Puerta del Sol è energia pura un po’ come in Egitto». Ma finora tiene: «Temevo che la nostra gioventù fosse diventata apatica e invece ha sorpreso tutti. Oggi può esercitare una pressione e chissà, magari far ripensare la legge elettorale».

Gli «indignados» non hanno fretta. Le scatole in cui raccolgono i desideri dei cittadini sono colme ma per organizzarli in forma di proposta politica ci vorrà tempo. «Ho votato perché non sono qualunquista ma per un partito piccolo», spiega Sara, responsabile dell’orto biologico in cui sono stati piantati pomodori, lattuga e il cartello «Yes we camp». Il messaggio è chiaro: cresceremo. Chi pensava che il movimento M-15 svanisse così, schiacciato tra l’avanzata dei popolari e lo smacco dello stesso Zapatero che a suo tempo aveva fatto sognare la riscossa ai socialisti europei oscurati dal neoliberismo, deve ricredersi. La contrapposizione destra-sinistra è roba passata, almeno oggi in Puerta del Sol.

«Vogliamo un sistema proporzionale più rappresentativo», insiste il grafico Carlos Yanel. Gli «indignados» rivendicano partecipazione. Il diciottenne Ricardo ha disertato convinto il suo primo voto, l’impiegata Carmen si è tappata il naso mettendo la X sul partito socialista e il pensionato Juan Pablo ha fatto lo stesso con il Pp. Molti hanno optato per la scheda-protesta come il matematico trentanovenne José Riballa che, all’uscita dell’Instituto San Isidro, auspica una nuova stagione politica: «Ho scelto Isquierda Unida, ma l’importante è che la finta democrazia in cui viviamo sia stata smascherata. Spero che inizi un mutamento culturale tipo il ’68». Tra un anno tocca alle politiche, il tempo stringe.

«Siamo un cantiere aperto che per ora non chiude, decidiamo cosa fare giorno per giorno ed è assai più onesto delle promesse bugiarde del governo» taglia corto Raul, uno dei «portavoz». La piazza Tahrir di Barcellona ha fatto sapere che non smobiliterà fino al 15 giugno, da Saragoza Radio Acampada rilancia sine die.

Poi certo ci sono tutti gli altri. I soddisfatti dello status quo (pochi) e gli «indignandos» non accampati, la maggioranza silenziosa degli spagnoli che disprezza il malgoverno, lo stallo economico e l’arroganza della politica ma dubita dell’efficacia rivoluzionaria della repubblica indipendente di Puerta del Sol. Basta allontanarsi qualche metro dalla colorata tendopoli madrilena per ascoltare voci differenti, specie ora che la decisione «popolare» di restare qui fino a domenica prossima rischia di mettere a dura prova la compiacenza dei negozianti.

«Cosa possono ottenere di più? È ora di tornare a lavorare» lamenta don Pedro, titolare d’uno degli storici caffè della piazza. Secondo il presidente dell’associazione commercianti di Madrid Hilario Alfaro il giro d’affari è già calato del 40 per cento.

«Ci dispiace, serviva una scossa, in fondo protestiamo anche per loro» concede Angelica, avvocato, 25 anni, t-shirt con un punto di domanda sul petto. Lo dice anche Mafalda sul cartello affisso al banco della Commissione Legale dietro cui la ragazza raccoglie firme contro i politici inquisiti per corruzione: «Pare che se uno non s’impegni a cambiare il mondo, il mondo poi cambi lui». La «joventud sin futuro» ha messo mano al presente, domani si vedrà.

(pubblicato su La Stampa del 23 maggio 2011)