Per L’Aquila
( di Samanta Di Persio da “Ju tarramutu”)
“Esco da una riunione dove i tecnici della protezione civile mi dicono che queste scosse sono normalmente monitorate. Non c’è alcun pericolo di nessun genere che queste scosse possano portare ad un effetto catastrofico. Pensate che anch’io che ho la delega alla protezione civile non dormo in tenda con le mie figlie. Solo il buon Dio sa quello che può succedere” Daniela Stati Assessore regione Abruzzo
da Tv-uno, 23 marzo 2009
Vittima della disinformazione
Mi piaceva stare ad Onna, qui avevo le mie radici, la mia famiglia. Ho ristrutturato la mia casa, le baracche intorno. Da gennaio stavo facendo dei lavori ad una vecchia stalla, dove volevo realizzarci un piccolo salottino. Avevo creato un piccolo borgo nel borgo. Negli anni ’90 ristrutturammo la parte dove dormiva mia figlia Maria Paola. Spesi molti soldi. Un po’ fui aiutato dall’incentivo dato con il terremoto del 1984, per il resto ho pagato con tutti i miei risparmi da quando ho cominciato a lavorare. Le ristrutturazioni, molte fatte più di dieci anni fa, sono state fatte in base alle normative di allora. Forse dovevano essere più serie. L’ingegnere che fece i lavori a casa mia, adottò criteri antisismici. Fu fatto il tetto in legno, i cordoli per rinforzare ecc. I solai sono crollati. Ma solo dopo il 6 aprile abbiamo scoperto che cosa è stato sbagliato. La rete elettrosaldata andava messa dentro e dietro e legato con dei tiranti. Nella stanza dove è morta mia figlia c’era solo dentro, il cordolo era caduto al centro della stanza, non poteva essere rimosso. Mio padre ed io eravamo convinti, non so per quale motivo, che le case appoggiate una all’altra, in un certo senso si tenessero. Invece la parte dove dormiva mio figlio Domenico, è crollata perché ha avuto la spinta dalla casa accanto, dove viveva mio padre Domenico, morto anche lui.
Il terremoto ad Onna è stato pazzesco. Il giorno dei funerali, il sindaco Cialente mi disse che dai loro rilievi la magnitudo massima di Onna è stata 7. Io e mia moglie ci siamo salvati perché la parte centrale ha retto. Il ricordo netto che ho è il rumore come uno shaker. Fino all’1.00 avevo rassicurato Maria Paola. Alle 3.32 è iniziata la scossa, mia moglie si è svegliata, l’ho stretta a me e mi ha detto: “E’ crollato qualcosa sul letto”. Mi sono alzato, ho raccolto il cellule da terra per farmi luce dovevo fare i cinque metri che mi portavano nella camera di mio figlio. Quando ho aperto la porta della sua stanza la scossa era finita, ma era già crollato tutto, lui gridava. La cosa assurda il silenzio subito dopo. È venuto mio fratello, si è salvato per miracolo anche lui. Quella notte c’era una luna che ti faceva vedere e non vedere. Guardavo verso Via dei Calzolai, dove è crollato tutto e sono morte una decina di persone, sembrava la scena di qualcosa terrificante. Scopri che in 20 secondi era finito tutto. Poi aspetti l’alba, con i figli morti sotto le macerie, perché di questo ce ne eravamo resi conto subito. Siamo scesi sotto, la mia macchina, ancora lì, è stata schiacciata da un edificio. Quella di mia moglie non era stata presa dalle macerie. Alle 6 di mattina, faceva freddo, eravamo in macchina. I soccorsi veri, al di là dei vicini di casa, sono arrivati alle 7 di mattina. Un vuoto di 3 ore. Non si riusciva a chiamare nessun numero, i telefoni non prendevano. Mia figlia è stata la prima ad essere tirata fuori dalla guardia di finanza. Mia madre è stata tirata fuori dai carabinieri alle 7.30/8.00 di mattina, è stata messa su una scala di fortuna. L’hanno portata sulla statale 17 dove hanno fermato una ambulanza che tornava vuota da Castel Nuovo. All’inizio si è diffusa la voce che i danni ed i morti erano lì. Paradossalmente passavano davanti ad Onna e non vedevano niente. Io non avevo la forza di fare nulla. L’unica cosa che sono riuscito a recuperare la biblioteca, un vecchio pagliaio che ho ristrutturato circa 4 anni fa. Non è crollato perché dentro c’era la rete elettrosaldata, non c’era solaio ma solo il tetto di legno. Ad Onna è tutto distrutto, forse si salveranno una decina di case, che comunque saranno da mettere a posto.
C’è stata da parte della protezione civile, dei sismologi un atteggiamento che ci ha tranquillizzati. Le scosse sono cominciate ufficialmente da dicembre. Come caporedattore del Il Centro ad ogni scossa chiamavamo l’Ingv, ed ogni volta ci veniva ribadito che quasi sicuramente non ci sarebbe stata la scossa distruttiva. Il direttore e caporedattore sono di Napoli, hanno vissuto l’esperienza dell’Irpinia, perciò volevano che facessimo informazione, che seguissimo le scosse, le faglie. Quando passano tre mesi, inizi a scherzarci sulla cosa, a fine marzo avevo scritto un pezzo su Il Centro: “Alzi la mano chi non dorme con un piede fuori dal letto?” Ormai non è tanto se faceva il terremoto ma si correva a vedere l’intensità, ormai facevano il toto magnitudo. Non pensavi mai al peggio, perché forse abbiamo la memoria corta. Il libro dello scrittore Muro Di Giangregorio(?) spiega che già dal 1800 L’aquila era pericolosa.
Aspettavamo il risultato della riunione del 1 aprile con la commissione Grandi rischi, il sindaco, assessori, perchè il giornale aveva preparato un paginone con il numero delle scosse… mentre loro hanno detto: “E’ tutto a posto!”. Ora si scoprono le varie faglie, compresa quella di Paganica che non era stata studiata molto. Loro dovevano dire che questo sciame sismico può presupporre una forte scossa. Se state in una casa in cemento armato, potete stare abbastanza tranquilli, in una casa in pietre fate attenzione. Se io fossi stato messo in allarme in quel modo, forse farebbe venuto in mente anche a me di uscire fuori, di dormire in auto. Come operatore dell’informazione venivo informato male, e di conseguenza informavo male. Il paradosso è che la prima vittima sono stato io.
Gli esperti e le autorità locali dov’erano? Il sindaco è la massima autorità di protezione civile, può fare e disfare. Mi chiedevo come mai il comune non ci diceva nulla, perciò chiamai il vice sindaco Riga e gli chiesi: “Siccome ci sono tutte queste scosse, è stato previsto un piano di evacuazione?” lui rispose di sì, allora aggiunsi: “Facciamolo passare su tutti i mezzi di informazione locale.” Lui replicò: “Non possiamo fare una conferenza stampa, altrimenti rischiamo di fare allarmismo.” I lettori in quel periodo mi chiamavano al giornale, uno in particolare mi chiamò tre giorni prima del 6 aprile, abitava a Pettino, mi disse: “Ma è possibile che con tutte queste scosse non dicono nulla, dove dobbiamo andare…” Richiamai al comune ottenendo sempre le stesse risposte. Mi cercarono anche amici di Onna. Luana era preoccupata, mi chiamò molte volte, aveva una bambina di 2 anni. È morta sotto le macerie. Un giorno incontrai Gabriella davanti casa e lo stesso mi fece domande. È morta anche lei. Si è giocato sulla vita delle persone.
La scossa del lunedì 30 marzo. Ero a casa sul divano, subito dopo uscii fuori, trovai mia madre le dissi di non preoccuparsi. Mia figlia era in biblioteca è caduta una chitarra dietro di lei. Trovai altra gente per strada. Ma poi tutti a casa. Negli anni ’50, l’ignoranza aiutava quando c’era il terremoto si andava a dormire fuori. C’è stata una sottovalutazione enorme. Questo terremoto è stato devastante, non me ne sono reso conto subito, nel mio paese si vede l’effetto frullato. Tanti anni fa ho trovato un libro, scritto da un prete di Onna. Nell’elenco dei morti lessi annotazioni risalenti al 1703, scrisse che un orrendo scossone aveva fatto una sola vittima, le case (meno rispetto oggi) erano in piedi. Nel 2009 la chiesa è crollata, le vittime sono state 41 e decine di feriti. Gli esperti ci dicono che la scossa che c’è stata adesso è simile a quella del 1461, furono semi distrutti gli stessi paesi. Avevo la convinzione che il mio paese stando in piano non avrebbe avuto danni. Invece si scopre: Onna è su un terreno che accelera l’energia del terremoto, mentre Monticchio, a due chilometri, è su un terreno roccioso, quindi assorbe meglio la forza del terremoto.
Nel 1944 Onna ha subito una strage nazista. Sono state fucilate 17 persone e furono minate delle abitazioni. Fu un simbolo dell’assurdità della guerra e della violenza provocata dall’uomo. La stessa distruzione oggi è stata provocata dalla natura. In particolare c’è un’immagine di una casa, in via del Fiume, oggi via dei Martiri, sventrata completamente, come adesso. L’ho chiamato il paese del doppio dolore. Quando è venuto il primo ministro tedesco Angela Merkel si è rivolta alle donne dicendo: “State vicine ai vostri uomini, siete voi che dovete avere il coraggio di andare avanti” con un riferimento palese al 1944. Il 25 aprile ho incontrato Berardino, ha 80 anni. Nella strage perse il fratello. Un dolore immenso, alleviato solo con il tempo. Si è costruito una famiglia, ha avuto 4 figli. Mi ha detto: “Pure questo mi dovevo ricordare!” Per gli anziani il terremoto è un dramma, anche se non hanno perso affetti, è una vita che si ferma. Una vita stravolta senza più la tua casa, quindi senza niente. Chi si è trovato il paese distrutto allora, se lo trova distrutto anche ora. Il figlio di Berardino, mi ha detto che il papà piange tutti i giorni soprattutto per mio padre, erano molto amici, coltivavano l’orto, chiacchieravano, discutevano ed oggi si ripete: “Con chi parlo, con chi parlo ora?”. Dopo il 1984 a L’Aquila, c’era l’obbligo di controlli massicci, edificio per edificio e dove mancavano i criteri antisismici bisognava farli adottare. Questo doveva fare una pubblica amministrazione. Le ristrutturazioni fatte bene non hanno avuto danni. Ci sono tecniche che consentono di ricostruire e reggere al terremoto. A distanza di quattro mesi, non si sta rimettendo in piedi niente. Il dato è che oggi ci sono problemi normativi per le riparazioni delle case classificate A e B. Nel centro storico ci sono i puntellamenti, ma ancora non si comincia la vera ricostruzione. Sono convinto che non tutto verrà ricostruito, dipende dal cittadino singolo. Le case di Bazzano, non sono L’Aquila. Molti se ne stanno andando. Questo è il primo terremoto dell’era moderna. Cinquant’anni fa avremmo avuto meno esigenze, forse noi cittadini staremmo già ricostruendo. Il 6 aprile ci siamo ritrovati ad avere meno di quello che si poteva avere negli anni ’50. Quando diciamo ci ha sconvolto la vita, significa non poter più andare in bagno, non poter prendere la macchina ed uscire, improvvisamente ti ritrovi sotto una tenda ad aprile al freddo, a luglio al caldo. Ricostruire L’Aquila, non significa dare solo un tetto. Quello che fa male è non trovare più le tue cose, quell’angolo, quei colori e quegli odori che ti appartenevano. Anche se Onna la ricostruisci uguale non sarà mai più come prima, sentirai l’odore del nuovo. Il 15 settembre verranno consegnate le casette in legno, io sarò lì. Poi cercherò di fare il possibile per ricostruire la mia casa dov’era o in un altro posto, ma comunque ad Onna.
Per me che ho 50 anni, avevo costruito una serie di cose che all’improvviso mi crollano tutte, non mi posso fermare. Devo ricominciare cercando di salvare quel poco che posso salvare. Penso di aver cresciuto due ragazzi educati, io e mia moglie abbiamo cercato di dar loro dei valori. Abbiamo cercato di trasmettere l’amore per la famiglia ed il paese. Domenico curava il sito della Biblioteca del Cespo, aveva fatto delle foto a febbraio. Aveva nevicato e non andò a scuola. Uscì e fece delle foto a tutti gli angoli di Onna. Nel mio libro che uscirà ad agosto, inserirò quelle foto. Domenico aveva uno spirito solidale, parlava spesso di protezione civile. Una volta mi disse: “Non ti preoccupare se fa il terremoto, ci sono io!” Una delle cose che più mi fa male, al di là della morte, è che si è interrotta una cosa, che non doveva interrompersi. Maria Paola aveva 16 anni e Domenico 18, l’età in cui si sboccia alla vita. Potevano dare molto alla società, avere dei figli, delle passioni. In mio figlio rivedevo me, fisicamente eravamo simili, con le mie stesse difficoltà in matematica. Un genitore lo mette in conto che possa accadere qualcosa ai propri figli: un incidente, una malattia. Qualche anno fa, ci siamo preoccupati molto per mia figlia, poi fortunatamente si è trattato di una semplice ciste.
A me come ad altri, il terremoto veramente ci ha tolto tutto. Non abbiamo potuto fare un funerale intimo, li abbiamo portati al cimitero a Pizzoli, perché a Paganica era inagibile. Un dramma totale. Il fatto che i miei figli non ci siano più, di fatto è come se non ci fossi più nemmeno io. Andare avanti è difficile, devi cercare una ragione di vita. Ogni cosa che fai, ogni luogo, te li fa tornare in mente. Qualsiasi cosa ho scritto, c’è sempre un pensiero per loro e mio padre. L’unica cosa che ci resta da fare ricordarli in ogni modo. Essere genitore diventa un fatto intimo, non esserlo più non può essere sostituito da nulla.
( a raccontare è Giustino Parisse, giornalista de Il Centro, che nel terremoto ha perso i suoi due figli)