Mamme della Sanità cuoche a domicilio
(di Alessandro Chetta e Marco Perillo)
«Il nostro ragù contro i mali del rione»Quattro signore della difficile zona dei Cristallini ingaggiate per pranzi e cene sociali nel quartiere
NAPOLI – «Il genere maschile è invidioso della potenza femminile di generare. Si è ritagliato per sé il potere, la guerra, la politica: spazi di governo minori di fronte all’immensità di far nascere». La pensa così Erri De Luca nel suo «Le rivolte inestirpabili». Una frase sulla potenza di genere che sembra scritta per le vulcaniche mamme del Rione Sanità di Napoli, o in questo caso della zona dei Cristallini, enclave suggestiva ma sfigurata dalle piazze o dai «bassi» dello spaccio di droga. Una vita, quella delle giovani donne del popolare rione, spesso in salita come le scale di basolato mangiato dal tempo che salgono fino a Capodimonte.
COPYRIGHT SOCIALE – Ecco: stanche della routine e dei luoghi comuni sul ghetto-Sanità, le mamme si sono organizzate. Sono quattro, tutte sulla trentina: le due Dora, Mary, Nunzia, tutte sposate e con figli. Al quartetto si aggiunge la preziosa supervisione ai fornelli di Miluccia, 63 anni, mater matuta del vicolo. Entusiasmo, solidarietà e grande perizia culinaria rappresentano la chiave per migliorarsi. Come? Attraverso un singolare progetto: cucinare i piatti «cult» della tradizione napoletana (quelli che in molti non sanno preparare più come si deve, dal ragù alla genovese) in occasione di pranzi e cene. Tavolate organizzate nel quartiere ma, nel caso, i sapori si possono esportare anche nelle zone più borghesi della città. Le mamme-cuoche della Sanità vantano un copyright sociale: a lanciare l’idea del catering fai-da-te è l’associazione «La casa dei Cristallini».
L’ASSOCIAZIONE – Il consesso nasce nel 2002 sotto l’ala di don Antonio Loffredo, sacerdote dell’immenso quartiere e macchina della solidarietà. Gli operatori sfruttano – nel senso che fanno fruttare per progetti e vitalità – una palazzina nel seminascosto vico Cristallini. Entriamo: ci fanno strada Gina Buonsangue, l’unica operatrice effettiva, e il presidente Elena Iannotti Della Valle. I volontari sono dieci. Cinque le ragazze del servizio civile. Lavorano coi bambini. Le pareti della casa sono affrescate dai dipinti degli ospiti del laboratorio estivo: russi, srilankesi, slovacchi. Il fiotto di colori a tempera ci porta al primo piano, sede delle attività. È qui che i ragazzi e le ragazze – dagli 8 ai 18 anni – vengono ogni pomeriggio. Un’esperienza che ricorda da vicino quella pionieristica della Mensa dei bambini proletari di Montesanto, nel ’73-76. Le mamme fanno gruppo durante i momenti di aggregazione. «Cosa possiamo fare?» hanno chiesto a Elena e Gina. Una scuola di cucito fu la prima idea, mutuata dai corsi del centro Hurtado di Scampia. Bocciata. «Le signore non avevano tempo e voglia di seguire corsi. Così siamo andate sul sicuro». La cucina. «Sì, ai fornelli sono delle artiste – argomenta Gina – e le capacità culinarie erano già, diciamo così, pronte per l’uso».
PASSAPAROLA – La promozione del catering di quartiere si affida al passaparola. «Per ora – ricorda Dora Cardamone, 36 anni e due figli – abbiamo cucinato per un paio di cene». Enormi tavoli da 40 persone. Pentoloni da grande mensa e quantità industriali di cibo da preparare. «Una bella prova del cuoco… il record lo abbiamo raggiunto con gli otto chili di alici fritte per l’associazione L’Altra Napoli. Diciamo anche che , oltre al gusto di cucinare in maniera retribuita (tra i 40 e i 60 euro a cena, ndr), a me piace stare con le persone, conoscere gente, essere felice con loro mangiando bene». «Ci divertiamo», aggiunge Nunzia, 31 anni, due figli, tratti somatici che ricordano l’est europeo più che i Vergini, «è importante per noi – prosegue – riuscire ad abbandonare per un attimo il ruolo di casalinghe». Fornelli a parte, da mamme tengono costantemente d’occhio i figli: cercano di tenerli lontani, lontanissimi, dal lato oscuro della Sanità, che inevitabilmente incombe: «Spero che studino – afferma Vittoria, che non è cuoca bensì fotografa provetta, «laureata» al corso di Sergio Siano – e vadano all’università, per poi trovarsi un lavoro decente». Amare sempre il proprio quartiere «però anche aprirsi – dice – conoscere il mondo». Infine, la sovrana del ragù, Miluccia: «Portiamo avanti con entusiasmo il progetto anche perché può essere utile per diffondere un’immagine positiva della nostra zona, i Cristallini: è così bella, non permettiamo a nessuno di vederla associata solo alla camorra». Un luogo, tra l’altro, amato da Eduardo, che vi ambientò la commedia Il cilindro. «Per le tante iniziative messe in campo per i Cristallini – riprende Miluccia – ringraziamo Gina e Elena». E poi, necessaria postilla: «Col mio ragù fanno un figurone…è obiettivamente irresistibile: ovunque è nu’ successone».
LE FONTI DI FINANZIAMENTO – Donne grate ad altre donne, le due factotum della Casa dei Cristallini, che pure fa i conti con la crisi di risorse (anche se il catering mammifero si autofinanzia) . Tante iniziative, anche campi estivi. Chi paga? Le fonti sono varie, e tutte fanno capo a privati. Tre su tutte: la fondazione Banconapoli per l’assistenza all’infanzia, l’associazione L’Altranapoli, nata nel 2004 dopo l’omicidio dell’ingegner albanese, consuocero di Dario Fo, la fondazione Cannavaro-Ferrara, attiva nel fundraising. Chi vuol saperne di più – sulle mamme cuoche e sul resto può scrivere una mail a casadeicristallini@libero.it
(pubblicato su corrieredelmezzogiorno.it il 30 marzo 2011)